È la mirabolante tesi di Rampini espressa l’altro ieri sul Corriere della Sera, frutto di qualche disavventura con il servizio ferroviario durante le sue vacanze in Italia, di ritorno dagli States. Ne parla Tiziano Trobia, uno dei coordinatori delle Camere del Lavoro Autonomo e Precario, anche a seguito della pubblicazione dell’ultima nota OCSE sull’occupazione in Italia
Il rapporto dell’OCSE ha fotografato la realtà che vivono milioni di lavoratrici e lavoratori italiani: il maggior calo dei salari reali tra tutti i paesi OCSE (6,9%in meno rispetto al periodo pre-pandemico), con l’inflazione che divora il potere d’acquisto e aumenta il numero di persone sulla soglia della povertà assoluta.
Ci saremmo aspettati di veder rimbalzare questa notizia su tutti i principali quotidiani nazionali, magari qualche riflessione sulla distanza tra questi numeri e le dichiarazioni del governo, che pochi mesi fa si è opposto al salario minimo legale. Invece, aprendo le pagine del Corriere della Sera, è possibile incontrare un affilato corsivo di Federico Rampini, intento a raccontare le disavventure delle sue vacanze nel “Bel Paese”.
Il prode Rampini ha dovuto subire il disagio, appena arrivato per trascorrere i “pochi giorni di vacanza” che gli sono concessi, di uno dei “riti più discutibili” del nostro Paese: gli scioperi nei servizi pubblici. A partire da questa terrificante disavventura Rampini riflette sull’inutilità dello sciopero, definito come una ritualità ideologica, portando dei dati incontrovertibili: in Italia, dove si sciopera molto, i salari restano bassi, negli USA invece dove non si sciopera praticamente mai i salari sono molto più alti. Stesso confronto all’interno dei paesi europei, dove lavoratrici e lavoratori tedeschi guadagnano più dei francesi pur scioperando di meno. Rampini non si limita a sottolineare quella che secondo lui sarebbe la scarsa utilità dello sciopero, ma si lancia addirittura in una acrobatica correlazione, imputando lo sciopero di essere tra le cause “dell’impoverimento dei lavoratori dipendenti del Paese”.
Non l’inflazione quindi, o i salari fermi da 35 anni, non i profitti che continuano ad aumentare senza un conseguente aumento dei salari, non la classe politica e industriale peggiore del continente, non la proliferazione di lavoro nero e grigio, il part-time involontario, l’assenza di un welfare degno di questo nome: sono gli scioperi ad impoverire lavoratrici e lavoratori.
Speriamo che i lavoratori Samsung, che hanno iniziato proprio in questi giorni uno sciopero ad oltranza in Corea del Sud per chiedere aumenti salariali e maggiori diritti, leggano le parole di Federico Rampini e si rendano immediatamente conto dell’errore che stanno commettendo! Certo, la Corea del Sud ha percentuali di sciopero inesistenti e salari non esattamente corposi, ma si tratterà sicuramente di un errore di prospettiva, dettato dal dogmatismo di chi scrive.
Attendiamo fiduciosi un prossimo editoriale dove arriveranno suggerimenti su come fare in modo che i salari aumentino senza riprodurre la stanca ritualità dello sciopero. Magari bisognerebbe farla finita con una serie di vecchissimi strumenti non più adatti all’epoca che viviamo: le ferie ad esempio, quanto tempo fanno perdere ai poveri cittadini/consumatori? O magari la malattia pagata, una spesa ingiustificabile e un peso per le casse pubbliche.
Nella trepidante attesa suggeriamo a tutte le lavoratrici e i lavoratori del Bel Paese di fare come Rampini, e farsi pagare decine di migliaia di euro per intervenire in convegni e conferenze in giro per il mondo: siamo sicuri che la percentuale di scioperi si abbasserebbe drasticamente.