lunedì 24 luglio 2023

CONFERENZA INTERNAZIONALE SU SVILUPPO E MIGRAZIONI NEL MEDITERRANEO

 ma silenzio assoluto sulle zone-SAR 
 - Fulvio Vassallo Paleologo -

Si riunisce a Roma la “Conferenza internazionale su migrazioni e sviluppo nel Mediterraneo” fortemente voluta dalla Meloni e dal ministro dell’interno Piantedosi per propagandare il cd. Piano Mattei per l’Africa, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione Europea e Tunisia, che si voleva portare come modello delle politiche di esternalizzazione delle frontiere


Nessun paese del nord-africa accetterà mai sul suo territorio persone migranti provenienti da paesi terzi e respinti direttamente dall’Italia. Un fallimento evidente non solo se si pensa alla mancanza di un vero accordo tra le parti, ed alle numerose violazioni del diritto internazionale, ma anche se si prende atto della mancata approvazione da parte del Consiglio europeo di fine giugno e dei dubbi che stanno sorgendo nel Parlamento europeo, finora tenuto ai margini delle trattative con Saied, sul rispetto dei diritti umani in Tunisia e negli altri paesi di transito.

Al di la degli impegni presi dall’Unione Europea per supportare l’economia tunisina, e per favorire progetti di mobilità e di collaborazione in campo energetico ed ambientale, al centro delle trattative ancora aperte, anche durante la Conferenza internazionale di Roma, rimane il nodo cruciale della diminuzione, se non del blocco, delle partenze verso l’Italia. Una questione che non si potrà risolvere aumentando il numero delle motovedette in uso alla Guardia costiera tunisina, o favorendo i respingimenti collettivi dalla Tunisia verso i paesi confinanti, la Libia e l’Algeria, soprattutto considerando che il target di queste attività illegali ordinati da Saied saranno migranti che non sono neppure cittadini di questi paesi ma che provengono da paesi della fascia subsahariana, come la Nigeria, il Sudan, la Costa d’Avorio, il Gambia. Paesi che in nessun caso possono definirsi come “paesi terzi sicuri”, ammesso che in base alle Convenzioni internazionali la stessa Tunisia possa ancora definirsi come un paese sicuro per quanti di diversa nazionalità, vengono respinti in un territorio statale nel quale sono continuamente esposti a violenze e non possono avere accesso alle procedure di asilo o ad una difesa effettiva davanti un tribunale.

Gli effetti delle politiche di respingimento messe in atto dal presidente tunisino Saied sono sempre più evidenti, ed è criminale che l’Italia e l’Unione Europea si propongano di fornire aiuti economici e assetti operativi per facilitare espulsioni di massa verso aree desertiche che hanno già prodotto vittime. Vedremo in faccia domenica 23 luglio a Roma i mandanti politici ed i responsabili diretti di veri e propri crimini contro l’umanità, perché le poche immagini che filtrano, seppure sconvolgenti, rappresentano vittime isolate, mentre le politiche di morte e di abbandono, nei deserti africani, come nelle acque internazionali del Mediterraneo sono veri e propri crimini di sistema, denunciati da anni, ma ormai al centro delle politiche di partiti che proprio su queste politiche hanno conquistato una ampia base elettorale.


Non deve sorprendere come mentre si stia insistendo molto sul ruolo di guardiani delle frontiere europee dei regimi che governano i paesi nord-africani, sembra scomparso qualunque riferimento al cd. blocco navale o a politiche di contrasto dell0immigrazione via mare. E non è affatto vero che il “blocco navale” viene realizzato dall’Italia attraverso gli accordi bilaterali, che prevedono la cessione di motovedette, sistemi di coordinamento delle intercettazioni e consistenti accordi economici come contropartita, sul modello “libico”, come sostenuto ancora di recente dal ministro dell’interno Piantedosi.

Dietro l’intento esplicitato negli accordi bilaterali operativi (spesso coperti da segreto) e nei Memorandum d’intesa, sul maggiore coordinamento nelle attività di ricerca e salvataggio (SAR – Search and rescue), con un crescente ruolo assegnato a Frontex, si nasconde il piano comune di facilitare le attività di intercettazione in acque internazionali e di riconduzione a terra operate dai paesi nordafricani. Come conseguenze di questi accordi, e lo vediamo da anni, migliaia di vittime per abbandono in mare, ed altre vittime, spesso nascoste, tra le persone riportate a terra e vittime di detenzione arbitraria, di estorsioni, torture e stupri, o di ulteriori respingimenti collettivi, come si sta verificando sempre più spesso in queste ultime settimane. Ma tutto questo disastro umanitario, frutto di crimini contro l’umanità deve rimanere nascosto.

Non è quindi casuale che tra gli argomenti oggetto della Conferenza internazionale di Roma su sviluppo e migrazioni nel Mediterraneo manchi del tutto qualsiasi riferimento alla suddivisione delle acque internazionali in diverse zone di ricerca e salvataggio tra gli Stati costieri. Una ripartizione che secondo le Convenzioni internazionali doveva essere finalizzata alla salvaguardia della vita umana in mare, anche perché persino i Protocolli allegati alla Convenzione di Palermo contro il crimine transnazionale del 2001 affermano la prevalenza del diritto alla vita e dei diritti fondamentali della persona, tra i quali i diritto di chiedere asilo, sulla lotta contro le migrazioni irregolari (law enforcement). E invece la suddivisione delle zone SAR nel Mediterraneo, e la stessa invenzione di una zona SAR “libica” nel 2018, con la conseguente guerra ai soccorsi umanitari operati dalle ONG, non è stata certo finalizzata alla salvaguardia effettiva del diritto al soccorso. Ma è finita per legittimare una trasformazione delle stesse zone SAR da aree di responsabilità per ricerca e salvataggio di persone in pericolo, in aree di giurisdizione esclusiva dove difendere anche con le armi precisi interessi commerciali ( nel settore della pesca e delle attività estrattive) e fare valere una competenza “esclusiva” nelle attività di intercettazione, remunerate da quei paesi europei che con il supporto di Frontex collaborano tra loro, e con gli Stati terzi, all’esclusivo fine di ridurre gli arrivi di persone migranti e cancellare di fatto il diritto di asilo in Europa.


Anche se in occasione della Conferenza internazionale di Roma non si parlerà di una diversa ripartizione delle zone di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale, e se ci si limiterà ad una vuota enunciazione di principi in materia di ricerca e salvataggio per intensificare sottotraccia i respingimenti su delega delle autorità europee, precisi elementi di fatto condannano al fallimento politiche di collaborazione che si basano su presupposti inesistenti, che dovrebbero imporre all’IMO ( Organizzazione internazionale delle migrazioni) una profonda revisione dei criteri di riconoscimento delle zone SAR di ricerca e salvataggio, innanzitutto per una effettiva tutela della vita umana in mare, ma anche per garantire la sicurezza dei traffici commerciali e di quanti lavorano in mare. Si è visto come l’assegnazione di una enorme zona di ricerca e salvataggio (SAR) alle diverse autorità libiche, ancora in conflitto tra loro, abbia portato ad attacchi sempre più frequenti contro pescherecci e navi umanitarie, in acque che dovrebbero essere saldamente presidiate da navi militari italiane dell’operazione Mediterraneo sicuro e dalle invisibili unità navali della missione europea IRINI – Eunavformed, assetti navali che riescono a materializzarsi soltanto nei rapporti annuali di attività e quando in un processo penale occorre difendere un ministro dalle accuse di una Organizzazione non governativa.


La conferenza internazionale di Roma su migrazioni e sviluppo nel Mediterraneo proporrà ancora una volta politiche basate su dati di fatto inesistenti e sulla ricorrente violazione del diritto internazionale è destinata comunque a fallire. Come si verifica puntualmente quando i politici assumono decisioni che non tengono conto della realtà di fatto nella quale devono calare le loro scelte. E in questo ambito la ripartizione delle acque internazionali del Mediterraneo centrale in tante zone SAR di ricerca e salvataggio sotto la responsabilità (esclusiva?) dei singoli Stati costieri, rimane una questione ineludibile, affrontata da tempo, soprattutto dopo il Memorandum d’intesa tra Italia e governo di Tripoli siglato il 2 febbraio 2017, sulla base di una ricorrente distorsione della realtà, e di una serie di gravi violazioni del diritto internazionale. Come è confermato dal fallimento del cosiddetto Accordo di Malta del 23 settembre 2019, siglato in occasione di un vertice ristretto a La Valletta, dai ministri dell’interno di Francia, Germania, Italia e Malta, alla presenza della presidenza finlandese di turno al Consiglio dell’Unione Europea. Un “Accordo” che avrebbe dovuto essere approvato dalla Commissione europea, ma che alla fine rimase soltanto una dichiarazione di intenti alla quale nessun paese europeo ha dato una vera attuazione. Come potrebbe succedere di nuovo con il Memorandum d’intesa tra Tunisia ed Unione Europea siglato domenica 16 luglio scorso soltanto dal sottosegretario al ministero degli esteri tunisino e dal responsabile della Commissione europea per l’allargamento e le relazioni esterne. Senza che la Meloni, la Von der Leyen, Rutte, per l’Unione europea, o il presidente tunisino Saied, apponessero la propria firma. Una firma che evidentemente non potevano e non volevano apporre. Abbiamo già visto come la zona SAR tunisina di fatto non esista e come le autorità marittime tunisine limitino i propri interventi alla fascia delle acque territoriali ( 12 miglia dalla costa), lasciando di fatto libere di proseguire la loro navigazione tutte le imbarcazioni che partite da Sfax o da Madhia riescano a raggiungere la zona SAR maltese, e questa circostanza è confermata, e sarò confermata ancora in futuro, dalla crescita esponenziale degli arrivi su Lampedusa, salvo i periodi di tempo perturbato, che non possono essere certo utilizzati dai governi per vantare successi inesistenti nella lotta contro scafisti e trafficanti. Nulla si sa della sorte di decine di migliaia di persone provenienti da paesi terzi, intercettati in acque tunisine e riportati a terra. Di certo una parte di loro viene riportata nel deserto ai confini con la Libia o con l’Algeria. 

La zona SAR “libica” di fatto non esiste come zona di ricerca e salvataggi coordinata da una unica centrale nazionale (MRCC), o centrale congiunta (JRCC), e nelle intrecettazioni operate dai libici risulta essenziale il tracciamento garantito dagli assetti aerei di Frontex e la collaborazione, in prevalenza segreta, ma evidente negli avvisi diramati ai naviganti, delle autorità italiane che vengono raggiunte da chiamate di soccorso o da notizie sulla presenza di imbarcazioni in situazione di distress nelle acque rientranti nella cd. zona SAR “libica”. 

La zona SAR “libica” deve essere cancellata dall’elenco delle sone SAR riconosciute dall’Organizzazione marittina internazionale (agenzia delle Nazioni Unite) con sede a Londra. La Libia è divisa tra due governi, tra Tripolitania e Cirenaica, nelle acque attribuite ai libici operano diverse guardie costiere che non rispondono allo stesso governo e che neppure hanno un coordinamento centrale unitario. I soccorsi operati in autonomia dai libici non coprono l’intera zona SAR che si sono attribuiti. Mentre invece spadroneggiano in acque internazionali, anche a 90 miglia dalle loro coste, con le motovedette regalate dagli italiani, per mitragliare pescherecci italiani. La parte della SAR libica controllata da Haftar è il principale snodo dei trafficanti che operano sotto la copertura delle milizie del generale, corteggiato da tempo anche dai governi itaiani. La corruzione è diffusa, in tutta la Libia, come sono ricorrenti le violenze ai danni delle persone intercettate in mare. Lo confermano da anni i rapporti dele Nazioni Unite.  

La zona SAR maltese di enorme estensione rispetto alle capacità reali di coordinamento e di intervento delle autorità di La Valletta, non può essere considerata come effettivamente operante in tutta la sua estensione per due ragioni principali. Malta non ha mai sottoscritto gli emendamenti del 2004 alle Convenzioni SAR e SOLAS, che specificano gli obbighi di ricerca e soccorso fino allo sbarco in un porto sicuro, e dunque omette di intervenire nella quasi totalità dei casi nei quali riceve chiamate di soccorso. Inoltre, come se non bastasse, dal 2020 Malta ha rinforzato gli accordi con le autorità libiche e permette alle motovedette libche di arrivare nelle acque che rinentrerebbero nella zona SAR di propria competenza, intercettando i barconi carichi di migranti e consentendo così con una vera e propria complicità diretta in respingimenti collettivi che si trasformano in sequestri di persona. Con una precisa responsabilità nei trattamenti disumani o degradanti inflitti alle persone migranti una volta che sono state riportate indietro in Libia. Ricorre in questi casi, per le autorità maltesi, una grave violazione non solo delle Convenzioni intarenazionali di diritto marittimo e in materia di asilo, ma anche delle Direttive e dei Regolamenti europei (come il Regolamento Frontex n.656 del 2014) al quale Malta dovrebbe essere direttamente vincolata. 

Nella zona SAR italiana le autorità politiche e marittime italiane, dopo la strage di Cutro, e la sentenza del Tribunale di Roma sul naufragio dei bambini dell’11 ottobre 2013 stanno operando un numero maggiore di soccorsi, anche se per gli interventi di trasbordo si attende generalmente che le imbarcazioni, sia pure tracciate, raggiungano le acque territoriali italiane, o la zona contigua (12 o 24 miglia dalla costa). Le capacità e l’abnegazione della Guardia costiera italiana rimangono fuori discusssione, ma gli indirizzi politici provenienti dal coordinamento ministeriale limitano gli interventi, che pure vengono operati, nelle acque che ricadono nelle zone SAR di altri paesi. Soltanto nel caso della zona SAR maltese, quando si verifica una situazione di distress, di pericolo grave per le persone, da parte italiana si realizzano interventi di ricerca e soccorso anche al di fuori dell’area SAR di specifica competenza nazionale. 

Le scelte del governo italiano, che assegna alle navi delle ONG che hanno operato soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale, porti di sbarco sempre più lontani, oltre a penalizzare i naufraghi innanzitutto, e poi le stesse ONG, esposte a costi enormi per singola missione, comporta la impossibilità di programmare gli sbarchi in modo da decongestionare la situazione insostenibile di Lampedusa con un maggiore impegno delle navi del soccorso civile, che potrebbero come in passato contribuire ad una riduzione degli arrivi in autonomia.


La sovrapposizione tra politiche di blocco delle migrazioni e le attività di ricerca e soccorso (SAR) dovute dagli Stati in acque internazionali ha comportato accordi bilaterali con un coordinamento finalizzato esclusivamente a respingimenti collettivi delegati a paesi del nordafrica. Malgrado le conseguenze evidenti di queste politiche, e delle vittime che si contano, ma anche di quelle invisibili, sia nelle acque del Mediterraneo che ai confini desertici dei paesi nordafricani, si può essere certi che la Conferenza internazionale di Roma, dietro agli argomenti di facciata riguardanti il sostegno econonico e gli scambi commerciali e culturali, riproporrà questo modello di “dimensione esterna” delle frontiere dell’Unione Europea. Un modello, basato su elementi di fatto inesistenti, o gravemente strumentalizzati, e sulla violazione di fonti normative di rango primario, come le Convenzioni internazionali, che appare destinato inesorabilmente a fallire. Le conferme di questo fallimento annunciato e dei suoi strazianti costi umani, le vediamo ancora in questi giorni ai confini della Tunisia con la Libia, nella zona SAR maltese, sulla rotta tra Sfax e Lampedusa, e nei centri Hotspot, nei quali in condizioni di estremo disagio e di negazione dei diritti fondamentali, si continuano ad ammassare persone in fuga, ma anche testimoni diretti della morte di frontiera. Anche se riusciranno a nascondere questa realtà nella giornata del vertice internazionale di Roma, le conseguenze di politiche basate soltanto sulla repressione della mobilità umana, e sul contrasto delle attività di soccorso umanitario operate dalle ONG, saranno sempre pià percepibii sull’intero territorio nazionale. E fino a quando non metteranno sotto controllo anche la magistratura, denunce e processi continueranno ad essere occasione di smascheramento di falsità e di teoremi di Stato, oltre che di accertamento di responsabilità penali, politiche e amministrative.

Mentre i prossimi vertici internazionali evidenzieranno divisioni tra i paesi che si interessano soltanto della ricaduta elettorale delle politiche di contrasto delle migrazioni, di tutte le migrazioni, a livello di base, nella società civile, si stanno rafforzando le solidarientà da una parte e dall’altra del Mediterraneo. Come riferisce ANSA, “Su iniziativa delle organizzazioni della società civile tunisina, nordafricana e africana, nonché dei movimenti civili e giovanili locali”, l’Ong Forum tunisino per i diritti economici e sociali ha promosso l’organizzazione a Tunisi il 20 e 21 luglio “un incontro militante dal titolo “Incontro dei popoli contro le politiche migratorie europee disumane e in solidarietà con i migranti”. Agli eventi, secondo gli organizzatori, hanno partecipato “rappresentanti della società civile, sindacati e movimenti sociali e civili provenienti da Tunisia, Algeria, Libia, Marocco, Niger, Mali ed Europa”. 

In Europa numerose associazioni, italiane ma anche tunisine ed egiziane, si sono espresse contro le iniziative italiane ed europee per esternalizzare le frontiere europee nei paesi di transito che si affacciano sul Mediterraneo. Le conseguenze mortali di queste politiche sono ormai sotto gli occhi di tutti.

Se le prossime elezioni europee del 2024 si giocheranno sulla lotta all’immigrazione irregolare, e dunque anche sulla dimensione esterna delle frontiere europee e sugli accordi con i paesi terzi, la Conferenza internazionale di Roma su migrazioni e sviluppo nel Mediterraneo sarà occasione per verificare tra qualche mese la distanza tra i piani anunciati dalla Meloni e da Piantedosi, nei rapporti con le autorità di governo dei paesi nordafricani, e il successivo verificarsi degli eventi, anche a livello di istituzioni europee e di Consiglio d’Europa. Prima o poi anche gli elettori più infarciti dalla propaganda dei partiti di governo scopriranno su quali menzogne è stato conquistato il loro consenso.