– Francesco Maria Pezzulli - INTERVISTA A GIORGIO GRIZIOTTI
Uno dei tanti meriti del tuo lavoro è legato al concetto di «Bioipermedia», ovvero un ambiente immateriale, fatto di tecnologie connesse, che influisce sui cambiamenti di soggettività ed è in grado di esercitare un controllo su ogni aspetto della vita dei singoli. Puoi raccontarci la formazione e lo sviluppo di questo concetto?
Ho introdotto una
decina di anni fa il concetto di Bioipermedia, un termine derivato
dall’assemblaggio di bios/biopolitica e ipermedia, in un numero speciale da me
curato della rivista Alfabeta2 di Nanni Balestrini dal titolo
“AlfaBioipermedia”[i] e poi l’ho ripreso e sviluppato in Neurocapitalismo[ii].
In quell’epoca
internet e dispositivi mobili hard et soft (soprattutto gli smartphones e le
loro “app”), da cui stavamo diventando inseparabili e dipendenti, creavano di
fatto un nuovo ambito in cui, forse per la prima volta, il corpo nella sua
integralità si connetteva in rete in modo talmente intimo da entrare in una
simbiosi in cui avvenivano modificazioni e simulazioni reciproche.
Si tratta di una sfera
di intra-azioni neurali in cui emozioni, affetti e più in generale desideri,
comportamenti e coscienze sono sempre più sollecitate ed implicate. Nel
bioipermedia si esercitano sulle soggettività influenze e pressioni a cui
spesso è quasi impossibile resistere. Le generazioni che non hanno conosciuto
il mondo prima dell’esistenza del bioipermedia avranno ancora più difficoltà a
prenderne le distanze.
È certo che, come tu
dici, controllando il bioipermedia la Governance Neoliberale è in grado di
esercitare un controllo su ogni aspetto della vita dei singoli, ma non per
questo si tratta del mondo descritto da Orwell in 1984. La differenza è
costituita dall’innegabile aspetto di “servitù volontaria” caratteristica delle
mediazioni tecnologiche contemporanee che ricorda, aggiornandolo il “discorso”
di Etienne de La Boétie[iii].
Questa servitù
volontaria del XXI secolo non cade dal cielo ma è stata concepita ed
implementata di proposito. Sono i tecno-tycoon (termine che ormai utilizzo per
definire gli oligarchi a capo delle grandi platform) che esercitano per conto
della Governance la massima influenza su coscienze, affetti e desideri.
Orientare per esempio le soggettività verso riflessi di individualismo e di
consumismo (solo per citare due modalità) con ogni tipo di algoritmo assicura
la massimizzazione dei loro profitti e quindi rientra nei loro obbiettivi principali.
Rispetto all’inizio
secolo la pressione esercitata nel bioipermedia sotto controllo delle macchine
Stato-Capitale è passata ad uno stadio molto più pervasivo facendo entrare in
ballo gamification e memification del reale. Insomma come aveva immaginato
Baudrillard è veramente diventato possibile: «mettere in dubbio il principio di
referenza delle immagini grazie al quale sembrano riprodurre qualcosa di
logicamente e cronologicamente a loro anteriore. Nulla di tutto questo è ormai
più vero. In quanto simulacri, le immagini precedono il reale al punto da
invertire l’ordine causale e logico del reale e della sua riproduzione»[iv].
Uno degli esempi fondatori della memificazione del reale è stata l’invasione di
Capitol Hill lanciata dall’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump ma
ho l’impressione che i casi eclatanti abbondino, dalla gestione del Covid di
Bolsonaro all’operazione militare speciale di Vladimir Vladimirovich.
Le “piattaforme globali” sono le megamacchine del presente che
caratterizzano il neurocapitalismo. In che termini? Puoi approfondire?
Tu fai riferimento ad
un saggio del 2017 che avevo dedicato a questo tema[v]. Quello della
megamacchina è un concetto inventato da Lewis Mumford nel 1967 come complesso
sociale e tecnologico che modellizza le grandi organizzazioni e progetti dove
gli umani diventano pezzi intercambiabili, servo-unità[vi]. Per dirla con
Deleuze e Guattari si tratta di moduli “dividuali” che si plasmano nelle
interfacce con le macchine[vii].
Mumford, che applica
il concetto risalendo addirittura alla costruzione delle piramidi in Egitto,
aveva considerato che le megamacchine più rappresentative della sua epoca,
quella del capitalismo industriale, fossero i grandi complessi
militari-tecnocratici che gestivano il potere nucleare all’epoca della guerra
fredda.
Nel mio saggio avevo
adottato l’ipotesi che le grandi Piattaforme Globali o Global Platform fossero
le megamacchine del Neurocapitalismo in cui i dividuali o gli schiavi volontari
sono tutti gli utenti e quindi una buona parte dell’umanità.
L’ambiente
bioipermediatico è quindi percorso dai flussi che sono generati e che
attraversano sia le piattaforme che gli utenti dove questi ultimi sono una
moltitudine di dividuali che si costituiscono in un continuum fra soggetto e
oggetto, umano e macchina.
Man mano che le
megamacchine del neurocapitalismo evolvono, flussi sempre nuovi mettono in
connessione i sensi, i processi e le carte della mente con le funzioni della
macchina e si sviluppano nell’interazione nomade. Le emozioni ed i segni
a-significanti rimpiazzano o si intrecciano con il linguaggio ed i processi
razionali.
A capo delle
megamacchine egizie c’erano dinastie di faraoni mentre quelle della guerra
fredda avevano dato vita a personaggi simbolici come il Dr. Stranamore (Dr
Strangelove) protagonista dell’omonimo film cult di Stanley Kubrick del
1964. Una pellicola che celebrava e sbeffeggiava nello stesso tempo
il rischio di mutua distruzione totale favorito dalla sfrenata corsa alle armi
nucleari, ed ora ritornato d’attualità.
Le megamacchine
odierne diventano egemoniche nel bioipermedia: GAFAM[viii] è
l’acronimo più conosciuto designa quelle del paese imperialista per eccellenza
ma in declino, gli Stati Uniti, e non a caso ora si aggiunge BATX[ix]
quello dei loro concorrenti cinesi in ascesa.
Da una decina d’anni
siamo entrati in una nuova fase caratterizzata dalla diversificazione delle
attività dei tecno-tycoon. Mi è parso significativo, quasi simbolico, che
alcuni di loro abbiano deciso di lanciarsi nelle attività spaziali. A molti
questa è sembrata un’originalità da miliardari, visto che avevano inaugurato
personalmente, anche in età avanzata, il turismo spaziale. È invece
una mossa riflettuta, complessa e con molteplici sfaccettature ed implicazioni.
Per esempio consente ai tecno-tycoon di diventare i primi beneficiari della
privatizzazione dell’industria spaziale, oppure di mettere in orbita numerose
costellazioni di migliaia di satelliti per “migliorare internet”, con
l’obbiettivo di rendere connesso, e controllabile, ogni metro quadro della
superficie terrestre anche dove le reti esistenti non arrivano. Abbiamo sotto
gli occhi come la costellazione internet dei duemila satelliti Starlink di Elon
Musk estenda il bioipermedia alla guerra in Ucraina. È la dimostrazione di come
un esercito possa coordinare gli andamenti sul terreno tramite una
comunicazione reticolare e satellitare delle truppe e la trasmissione criptata
delle posizioni del nemico riprese dai droni.
La vocazione spaziale
dei tecno-tycoon non è però solo business ma prefigura in filigrana una loro
chimera transumanista: la Grande Fuga spaziale delle élite. Una Grande Fuga che
dovrebbe consentire a chi può permetterselo di abbandonare la Terra una volta
che il degrado della biosfera, da me definito “setticemia di Gaia”, avrà
generato il caos[x].
Ma qui entriamo già
nella fabulazione…
Ti occupi da decenni di capitalismo digitale ed il tuo Neurocapitalismo,
del 2016, è un riferimento per chi si occupa della tematica. È successo
qualcosa in questi ultimi anni per cui cambieresti qualcosa al volume? In
sintesi, come immagini lo sviluppo del capitalismo digitale?
Ti ringrazio
dell’apprezzamento, con Neurocapitalismo ed altri scritti la mia riflessione si
era focalizzata sulle importanti trasformazioni tecnologiche, economiche e
sociali avvenute a cavallo del cambio di secolo e millennio cercando di
coniugare lo sguardo tecnico con la prospettiva politica. Il cambiamento di
paradigma era cominciato negli anni 90 con internet ed i dispositivi mobili che
aprivano l’era dell’economia della conoscenza. In questa impressionante
transizione la produzione biocognitiva diventava un motore centrale della
macchina bicefala Capitale-Stato, specie nel Nord. Ovviamente non bisogna
trascurare il fatto che questo passaggio “flamboyant” del capitale, fondato
sulla da lui vantata disruption tecnologica, non sarebbe stato possibile senza
il lavoro sottopagato, svalorizzato o gratuito di sterminate moltitudini, senza
l’espropriazione e l’estrattivismo selvaggi praticati soprattutto al Sud, ma
anche al Nord se si pensa al lavoro domestico gratuito o alla dilagante
precarizzazione.
In quella fase mi
sembrava quindi importante estendere l’indagine sulle modalità con cui le
tecnologie della disruption venivano utilizzate nelle produzioni immateriali
tanto sul piano individuale che su quello collettivo.
Per rispondere alla
tua domanda sulle evoluzioni degli ultimi due decenni mi pare che l’analisi
della genesi del capitalismo digitale sia ancora valida. Alcune intuizioni sui
comportamenti sociali, come il nomadismo e le mobilità, sono evocate persino
nell’immagine di copertina del libro dove lo sfondo, costituito dal profilo di
migranti che cercano il segnale con il loro cellulare, è tratto da “Signal”
foto dell’anno nel 2014.
Il mio tono non era
molto ottimista, ma avevo auspicato che internet e le tecnologie potessero
servire a costruire un comune che interrompesse l’egemonia del capitalismo
digitale. Non solo questo per ora non è avvenuto ma siamo entrati in una fase
di collassi in cui il sistema-mondo del capitalismo, se non la civilizzazione
stessa, sembrano meno perenni. Di fronte ad una tale situazione, le modalità
saggistiche utilizzate in Neurocapitalismo mi sono sembrate inadeguate per
parlare di una realtà in preda a trasformazioni improvvise e difficilmente
previsibili.
In un tuo recente lavoro, di prossima pubblicazione, ritieni che il genere
della fabula speculativa è più adatto della saggistica a dar conto del
paradigma tecnologico capitalistico attuale e dei suoi effetti sociali e sulla
soggettività. Puoi specificare?
Sì come ti dicevo c’è
stato un cambiamento di scenario vitale che mi ha impedito di continuare ad
occuparmi del (solo) capitalismo digitale come avevo fatto in precedenza.
Nel limbo della
sospensione del tempo e nel surreale delle città deserte d’inizio pandemia
Covid 19 molte ipotesi sulle quali stavo lavorando cominciarono a vacillare. Ci
siamo trovati di fronte a trasformazioni della realtà talmente imprevedibili da
rendere obsoleti i classici temi della fantascienza distopica. Non è forse la
stessa ragione per cui la produzione cinematografica contemporanea propone
sempre più spesso film “basati su fatti reali” e biopics, come se questi
fossero ormai più interessanti e strabilianti dei migliori prodotti
dell’immaginazione creativa? E questo spiega forse perché già dagli anni
Ottanta sia stata annunciata la morte della fantascienza[xi]. O perlomeno la
fine delle potenzialità cognitive della fantascienza del periodo aureo che va
da Philip Dick al Cyberpunk.
Nello stesso tempo è
rimasto il bisogno di un dispositivo che nella sua ambiguità possegga però
ancora la capacità di reinventarsi come spazio aperto per nuove
risignificazioni del reale.
Ed è in tale contesto
e spirito che il registro di una fabulazione speculativa mi è sembrato più
pertinente delle forme della saggistica per esplorare il nostro difficile
divenire ed i rapporti politici nel campo del possibile.
Se poi si ha la mia
ventura d’incontrare nella “Twilight zone”[xii] un viaggiatore dello
spaziotempo, da me denominato il Boomernauta[xiii], capace di vedere la realtà
come fosse fantascienza e di raccontare la caduta del cielo dell’immaginario
sulla terra del reale allora vale la pena di ascoltarlo e cercare di
trascrivere al meglio la sua storia.
Il lungo racconto del
boomernauta, che ho appena finito e che spero di pubblicare prossimamente, è
ambientato in un mondo FS, un acronimo che, secondo Donna Haraway, sta per
FantaScienza, Femminismo Speculativo, Fabula Speculativa, Fatto Scientifico.
Eccone una breve e
parziale sintesi:
Gli ultimi decenni del
XXI secolo vedono l’affermarsi ed il dominio di una Governance Quantistica (Gov
Q), degna erede di quella Neoliberista, capace di raccogliere e trattare i data
Tsunami (universi di dati) provenienti da ogni recondito angolo della biosfera
e da ogni palpito del vivente tramite reti e dispositivi di calcolo
quantistico.
Nel frattempo Gaia è
sempre più in preda ad una setticemia che distrugge tante reti della vita. In
un’epoca in cui i memi erano diventati un importante canale di comunicazione e
d’azione politica in diversi ambiti, l’accertata responsabilità degli umani (o
comunque di certe classi di umani) nell’aggravarsi della sepsi di Gaia aveva
contribuito a far emergere l’ipotesi di un legame fra questi due aspetti.
Nacque così la teoria
di una malattia dovuta ad una tipologia di memi che possedevano la specificità
di infettare gli umani e renderli contagiosi, proprio come certi tipi di virus
e batteri responsabili di malattie infettive. In questo caso, a differenza di
virus e batteri, però, ci sarebbe stato di un contagio immateriale che avrebbe
indotto nell’umano infetto un particolare comportamento patologico distruttivo
di Gaia. Si sarebbe trattato quindi di un morbo ecomemetico legato
probabilmente ad un uso improprio della meta-tecnica (intesa come capacità di
creare nuove tecniche che, all’interno di Gaia, è detenuta per il momento solo
dagli umani).
In questo contesto i
tentativi tecnologici della Gov Q di guarire o perlomeno di far recedere la
setticemia di Gaia si rivelano rimedi che aggravano il male.
Note
[i] Bioipermedia è l’attuale dimensione della mediazione tecnologica. Una nuova
generazione di dispositivi mobili si affianca ai media tradizionali ed alla
generazione dei desktop nel disegnare e plasmare l’esperienza del quotidiano di
vita; è l’intera esistenza ad essere coinvolta nell’iper-realtà. I device,
quali smartphone, tablet, ultrabook, reader ed ibridi sono gli strumenti fisici
di mediazione dell’homo cognitivus con lo spazio-tempo in un continuum in cui
interagiscono corpi viventi, macchine, codici, dati e reti: l’ambiente del
Bioipermedia, termine derivato dall’assemblaggio di bios/biopolitica e ipermedia. Le tecnologie
connesse ed “indossabili” ci sottomettono ad una percezione multisensoriale in
cui spazio reale e virtuale si confondono estendendo ed amplificando gli
stimoli emozionali. Griziotti, G. Introduzione allo Speciale AlfaBioipermedia.
Alfabeta2 (maggio 2013) p. 2 https://www.academia.edu/5020664/alfaBioipermedia_MOLTITUDINI_CONNESSE_a_cura_di_Giorgio_Griziotti_Alfabeta2
[ii] G. Griziotti, Neurocapitalismo – Mediazioni tecnologiche e linee di
fuga, Mimesis, 2016, Milano
disponibile in Open Access
https://www.academia.edu/67598978/Neurocapitalismo_Mediazioni_tecnologiche_e_linee_di_fuga_TUTTO_IL_LIBRO_in_OPEN_ACCESS
[iii]
https://www.scuolafilosofia.it/wp-content/uploads/2018/01/boetie-servitu-volontaria.pdf
[iv] Jean Baudrillard, The evil demon of image, The Power Institute of Fine
Arts, 1984
(https://monoskop.org/images/4/47/Baudrillard_Jean_The_evil_demon_of_images_1987.pdf)
[v] http://effimera.org/megamacchine-del-neurocapitalismo-genesi-delle-piattaforme-gobali-giorgio-griziotti/
[vi] Edizione italiana: L. Mumford, Il mito della macchina, Il saggiatore,
2011
[vii] «gli individui sono diventati “dividuali” e le masse [sono diventate]
dei campioni, dei dati, dei mercati o delle “banche”. Il dividuale funziona
nell’asservimento come parti “non umane” di macchine tecniche, come procedure
organizzative, come la semiotica» Cfr. M. Lazzarato, Signs and Machines.
Capitalism and the Production of Subjectivity, Semiotexte 2014)
[viii] Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft
[ix] Baidu, Alibaba, Tencent et Xiaomi
[x] Ho ripreso l’ipotesi di Gaia emessa
negli anni ’60 da James Lovelock e Lynn Margulis che considera la
biosfera come un’entità vivente. In seguito l’ipotesi di Gaia è stata adottata
da molti autori, fra cui Bruno Latour e Isabelle Stengers.
[xi] La fantascienza ha finito la propria funzione di dispositivo… Ciò
significa, inoltre, che parlare di morte della fantascienza, come ha fatto
Caronia suscitando lo scandalo di tutti gli appassionati (indifferentemente di
destra come di sinistra), vuol dire semplicemente riconoscere ciò che è sotto
gli occhi di tutti, cioè che la fantascienza è caduta vittima di quel processo
che ha saputo così bene illustrare, e nei casi migliori interpretare, quello
della caduta del cielo dell’immaginario sulla terra del reale. Giuliano
Spagnul, Che fare della fantascienza?. http://effimera.org/che-fare-della-fantascienza-di-giuliano-spagnul/
visto il 12-9-22
[xii] “Twilight zone” era anche il titolo originale della serie televisiva
di genere fantascientifico “Ai confini della realtà” trasmessa inizialmente fra
il 1959 ed il 1964.
[xiii] La figura del Boomernauta è ispirata a quella dell’Eternauta
protagonista e titolo di un fumetto argentino degli anni 60, un capolavoro
secondo gli esperti, divenuto in seguito uno dei grandi classici della
metascienza. L’Eternauta ed il Boomernauta appartengono a generazioni ben
diverse, come il nome del secondo indica, ma hanno in comune di essere stati
costretti a vagare nello spaziotempo alla ricerca della loro epoca e del loro
mondo.
Giorgio Griziotti, tra i primi ingegneri informatici laureati al Politecnico di Milano, ha esercitato la professione presso grandi aziende ICT, in Francia, dove ha vissuto in seguito alla sua partecipazione al movimento autonomo italiano degli anni ’70.
L’intervista viene pubblicata contemporaneamente da Effimera
e Machina.
Immagine di copertina: Omaggio a Laurence Gartel, Lip Service, 1986
(particolare)