- Antonio Minaldi - CONTRO IL GOVERNO MELONI E IL TRIONFO DEL PRIVATO
Il governo Meloni è ormai oltre l’agenda Draghi. La via che si percorre è certo la stessa: quella del trionfo del privato e delle più becere politiche neo liberiste, ma il processo sembra oggi subire una evidente accelerazione
E’ di questi giorni la
notizia che il governo ha chiesto alla Conferenza delle Regioni un parere sulle
assicurazioni sanitarie private, sulle quali pare voglia proporre uno specifico
disegno di legge. Intanto il ministro dell’istruzione e (si badi bene) del
merito Valditara non si ferma più! Prima ha proposto che la scuola pubblica sia
finanziata dai privati, poi ha ipotizzato che gli insegnanti vengano pagati
secondo il costo della vita dei loro luoghi di lavoro. (In pratica stipendi più
alti al nord rispetto al sud, in una logica di perfetta distinzione tra il
centro dell’impero e la periferia colonizzata, nella quale a minori servizi e
minori opportunità si vuole ora aggiungere anche minori redditi, giusto per
chiudere il cerchio!).
Quello che veramente
bisogna capire, ed anche sottolineare con forza, è il fatto che le attuali
tendenze e le relative proposte vanno molto oltre la semplice logica della
privatizzazione dei servizi pubblici, che ha dominato la politica italiana
negli ultimi trent’anni.
Il cammino del neo
liberismo ha iniziato la sua lunga marcia dentro le istituzioni e nella
dialettica politica, già ai tempi dei cosiddetti “trenta gloriosi”, in pratica
il trentennio che va dalla fine del secondo conflitto mondiale alla metà degli
anni settanta, quando le politiche del compromesso keynesiano di sostegno
(spesso anche abbastanza “timido”) ai servizi pubblici, soprattutto scuola e
sanità, venivano bilanciate con la difesa dei diritti dei “privati” in
un’ottica di parità (scuole paritarie, cliniche private ecc.), che si
sostanziava spesso attraverso politiche fatte di specifici riconoscimenti
normativi e di agevolazioni fiscali.
Poi venne la grande
tempesta degli anni novanta, quando a seguito della sconfitta storica dei
movimenti di classe e popolari, e in nome del nuovo credo secondo il quale
“privato è bello”, tutto il patrimonio pubblico è stato di fatto svenduto. Così
è stato in tutta Europa, ma in Italia in particolare e con più convinzione. Ed
anche col decisivo contributo degli ex comunisti del PCI, perché, lo diciamo
qui per inciso, non c’è peggiore estremista di chi deve dimostrare il proprio
pentimento.
Oggi siamo alla terza
fase: quella in cui una competizione tra il pubblico e il privato praticamente
non esiste più, per il semplice motivo che tutto è ormai privato, anche ciò che
risulta ancora essere di proprietà statale. Il pubblico, inteso nel suo senso
originario e più proprio, di ciò che riguarda “l’interesse collettivo” è stato
semplicemente cancellato. Ciò che ha reso possibile il misfatto è stata anche
una ambiguità sempre esistita tra “pubblico e “statale”. I servizi pubblici,
scuola e sanità in primis, sono stati gestiti da sempre dagli apparati statali,
con l’esclusione delle istituzioni locali e soprattutto, e a maggior ragione,
delle comunità di base che delle loro prestazioni erano i beneficiari.
Nell’attuale apoteosi
neo liberista, la proprietà statale, lungi dall’essere un valore
“pubblico”, viene gestita sul mercato, (peraltro spesso in maniera
pessima anche da questo punto di vista) secondo principi di efficienza
produttiva esattamente come qualsiasi altra azienda privata. Colossi
industriali come ENI ed ENEL (giusto per fare un esempio) che sono ancora a
maggioranza di proprietà statale, non agiscono certo nell’interesse del popolo
utente, ma esclusivamente a profitto degli azionisti (di maggioranza e di
minoranza). Non si spiegherebbe altrimenti l’incredibile (apparente)
paradosso di due aziende di fatto in mano pubblica che hanno sede fiscale, e
pagano dunque le tasse, in Olanda!
Altro esempio di
presenza statale nel mercato è quella di Cassa Depositi e Prestiti, che pur
vedendo nel ministero dell’Economia e delle Finanze il socio di maggioranza,
agisce sul mercato finanziario come qualunque altra banca privata (ovviamente
anche quando concede prestiti a istituzioni pubbliche). Per non parlare di
Leonardo, anch’essa a maggioranza di capitali pubblici, che producendo armi,
non ha neppure bisogno di rendere conto ad un ”popolo utente”, essendo i suoi
interlocutori gli Stati, che più sono guerrafondai e portatori di morte, meglio
è!
In sostanza nell’ottica
neo liberista, lo Stato agisce in una doppia veste. La prima è quella classica
marxiana del capitalista collettivo (nel senso di riprodurre i rapporti sociali
esistenti). L’altra è quella (secondaria) che lo porta a volte ad agire come
soggetto privato di mercato.
Le cose però diventano
più complesse rispetto a scuola e sanità, per varie ragioni. La prima è che,
malgrado tutto, esiste ancora a livello popolare, una memoria diffusa del
valore pubblico (nel senso di “bene comune”) che queste istituzioni avevano
nelle vecchie politiche del welfare. Nel recente passato i nostri governanti hanno
provato a invertire la rotta affermando una logica privatizzante attraverso
processi di aziendalizzazione. Ma i risultati non sono evidentemente ancora
soddisfacenti per gli estremisti del libero mercato. Ora il governo Meloni
sembra disposto al passo decisivo: quello di attirare i capitali privati. Non è
necessario che ospedali e scuole vengano ceduti dallo Stato. Quello che conta è
che vengano trasformati in società per azioni, nelle quali i rispettivi
ministeri possono tranquillamente continuare ad essere gli azionisti di
riferimento.
Ma come sia possibile
mettere in pratica simili scelte è tutt’altro che semplice. L’investitore ha
infatti bisogno di essere allettato con la prospettiva degli utili, se non
certi almeno probabili, e a breve scadenza. Al momento, specialmente il
nostro sistema scolastico sembrerebbe avere bisogno di profonde e radicali
trasformazioni per potere compiere il salto definitivo dentro l’agone del
mercato. Una cosa tuttavia appare certa: se si lascia al governo il tempo
d’agire una qualche catastrofica soluzione, state sicuri, la trova.
L’unica vera possibilità
di fermare i processi di privatizzazione e le martellanti narrazioni che li
accompagnano, sta solo in una rinascita dei movimenti di massa, di lotta e di
opposizione, che sappiano superare quella che sembra essere oggi una sorta di
passiva rassegnazione. Bisogna ripartire dall’idea che la prospettiva neo
liberista non è un inevitabile destino, e che una società basata sul valore dei
beni comuni, per quanto difficile, è comunque possibile. Bisogna che le forze
politiche che si posizionano a sinistra di un agonizzante Partito Democratico
(da rottamare ma recuperandone tanti sinceri militanti), a cominciare da Unione
Popolare e passando per la sinistra sindacale e il sindacalismo di base, fino a
coinvolgere il movimento 5Stelle ridestandone l’anima popolare, si coalizzino
in una sorta di “ALLEANZA DELLA PIAZZA”. (Invece di pensare, come
spesso avviene, a difficili alleanze elettorali, che caso mai, del trovarsi a
fianco nella lotta, possono essere la conseguenza e non la premessa).
Il cammino è difficile.
Ma se anche solo una piccola e fioca luce si intravedesse alla fine del tunnel,
sarebbe comunque nostro dovere percorrerla.