- Roberto Ciccarelli -
La terza grande ondata editoriale dei lavori del filosofo della biopolitica
"dopo quella
iniziata nel 1994 con la pubblicazione dei testi e delle interviste nei Dits et Écrits, e quella dei corsi tenuti dal 1970 al 1984 al Collège de France
iniziata nel 1997 e terminata nel 2015. Davanti alla ricchezza quasi
inesauribile di questo laboratorio nel quale Foucault ha sperimentato il
pensiero nel suo farsi, la nuova stagione della ricerca può modificare alcuni
malintesi emersi nel corso dell’attualità politica anche in Italia, un paese
che si è contraddistinto per la solerzia della pubblicazione anche dei tredici
corsi al Collège de France"
Otto nuovi importanti volumi di inediti di Michel Foucault, di cui quattro già pubblicati in Francia, attendono la traduzione in Italia. Parliamo de La sexualité che contiene due corsi tenuti da uno dei filosofi più rivoluzionari del nostro tempo a Clermont Ferrand nel 1964 e a Vincennes nel 1969 (2018), Binswanger et l’analyse existentielle (2021), Phénoménologie et psychologie (2021) e La question anthropologique 1954-1955 (2022), volumi in cui Foucault prende le distanze dalla fenomenologia esistenziale diffusa negli anni Cinquanta. Foucault formula una prima critica dell’«anti-umanismo», cioè la critica della filosofia del soggetto che ricorre ancora oggi quando si pensa la colonizzazione e le impasse dei processi di decolonizzazione. Questi libri saranno presentati e discussi in un convegno internazionale di due giorni organizzato da domani all’università di Parigi 8. Sono inoltre in corso di preparazione per la prestigiosa collana Hautes études della casa editrice Ehess-Gallimard-Seuil un consistente saggio su Le discours philosophique; i volumi sui corsi e le conferenze su Nietzsche tenuti tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni’70; il corso svolto a Tunisi sul ruolo dell’«uomo» nel pensiero occidentale moderno, e quello tenuto a São Paulo in Brasile nel ’65 su Le parole e le cose che anticipa il celebre libro pubblicato l’anno seguente.
SIAMO ARRIVATI alla terza grande ondata editoriale dei lavori di Foucault, dopo quella iniziata nel 1994 con la pubblicazione dei testi e delle interviste nei Dits et Écrits, e quella dei corsi tenuti dal 1970 al 1984 al Collège de France iniziata nel 1997 e terminata nel 2015. Davanti alla ricchezza quasi inesauribile di questo laboratorio nel quale Foucault ha sperimentato il pensiero nel suo farsi, la nuova stagione della ricerca può modificare alcuni malintesi emersi nel corso dell’attualità politica anche in Italia, un paese che si è contraddistinto per la solerzia della pubblicazione anche dei tredici corsi al Collège de France.
Oggi invece assistiamo a una strana indecisione mescolata con il sospetto e un’irritazione. Ed è interessante approfondire i motivi in un momento in cui ha destato scalpore la scoperta di 4 mila pagine di appunti inediti di Hegel sulle sue lezioni di storia della filosofia, mentre passano inosservate le quasi 40 mila di Foucault che stanno alimentando una nuova stagione di conoscenza e dibattiti in tutto il mondo. Questa sensazione può essere la conseguenza di un’intossicazione avvenuta nei tragici primi mesi del Covid. Allora si è diffusa un’interpretazione di una «biopolitica» che, da un lato, ha capovolto l’interpretazione che ne ha dato per primo Foucault tra il ’76 e il ’79 e, dall’altro, ha assimilato il filosofo a un discorso «libertariano» contro i vaccini ispirato a una logica immemoriale del potere e a uno «stato di eccezione permanente».
L’ANALISI DELLA «BIOPOLITICA», invece, permette di comprendere il nesso tra la produzione dei virus, il governo della salute pubblica e l’economia. Inoltre, la teoria totalizzante del potere è stata contestata da Foucault che ha posto, nei corsi al Collège de France, un nuovo problema: la «soggettivazione» oltre «le linee del potere», o ai limiti delle sue soglie di tolleranza, e la ricerca di una forza, di un «fuori», di un evento all’interno dei quali si pone sia il potere che la resistenza ad esso.
Sull’emersione di questo continente filosofico può avere pesato la furiosa campagna ideologica che ha attribuito una presunta complicità di Foucault con la politica che egli stesso criticava, cioè il neoliberalismo. A suggello di questa tendenza può essere intervenuto il pregiudizio contro il pensiero critico associato al «complottismo». Tale associazione è infondata, ma ha dato fuoco alle polveri dell’offensiva reazionaria di cui si nutre la nuova stagione del neoliberalismo autoritario. Il pensiero critico, invece, incoraggia tattiche e strategie di contestazione che permettono di comprendere, e scardinare, i modi di governare la vita.
Da questo accerchiamento si può sfuggire facendo un’inchiesta sulle passioni di chi continua a studiare Foucault negli immensi archivi che ha lasciato e adotta i suoi metodi per pensare il presente. Sono centinaia i ricercatori, e gli studenti, che da tutto il mondo continuano a frequentare la sala dei manoscritti della Biblioteca nazionale di Francia. La pratica della genealogia e la gioia di incontrare un simile ingegno acuminato si riflettono nella produzione di tesi, libri e articoli che continuano a scavare nelle prospettive aperte da un’opera unica e plurale.
I FOGLI E I DATTILOSCRITTI, gli schemi di libri in bozze, un diario intellettuale degli anni Sessanta e Settanta, i dossier contenuti nei più di cento faldoni acquisiti nel 2012 dalla Bnf dal compagno del filosofo Daniel Defert hanno riacceso l’entusiasmo nell’intelletto collettivo. Nel 2015 si sono aggiunti nuovi materiali concessi dal nipote di Foucault, Henri-Paul Fruchaud, che ha donato un’altra serie di documenti che coprono il periodo che va dalla fine degli anni Quaranta alla metà degli anni Cinquanta, quando Foucault lasciò la Francia per diventare direttore della Maison de France di Uppsala in Svezia. Da queste 117 scatole sono state lavorate le nuove pubblicazioni. Scritti che fanno parte di un archivio gigantesco che comprende le registrazioni dei corsi al Collège de France, le interviste e le trasmissioni radiofoniche conservate all’Institut mémoires de l’édition contemporaine (Imec) che ha sede nell’Abbazia d’Ardenne nella Bassa Normandia. Orientarsi in questo labirinto ha qualcosa di avventuroso per i lettori curiosi e impegnati.
A Orazio Irrera, Maître de conférences all’università Parigi 8, direttore della rivista Materiali foucaultiani e curatore con Daniele Lorenzini del prossimo volume in uscita su Le discours philosophique, abbiamo chiesto quali sono le ragioni dei malintesi in cui siamo inciampati e come ricentrare il lavoro critico su Foucault.
«In Italia – osserva – forse oggi sfugge l’importanza di un progetto editoriale che evidenzia i modi in cui l’opera di Foucault si è progressivamente politicizzata incontrando le pratiche concrete e rischiose di contestazione, per esempio a Tunisi dove insegnò tra il 1966 e il 1968». «Foucault – racconta Irrera – non era a Parigi nel maggio 68. Lo visse nel marzo dello stesso anno a Tunisi. Conobbe e sostenne strenuamente gli studenti marxisti del collettivo Perspectives, protagonisti della rivolta contro Bourguiba, all’indomani della reazione nel mondo arabo alla “guerra dei Sei Giorni”. La sua filosofia si trovò allora dislocata in uno spazio di enunciazione postcoloniale in cui i suoi studenti lo aiutarono a interpretare le nuove tensioni del “loro” presente in un modo che non si poteva osservare in Europa. Per Foucault fu un’esperienza rivelatrice che, pur senza sofisticate costruzioni teoriche, questi studenti fossero determinati a mettere in gioco la loro vita contro un potere oppressivo. Questa esperienza svolse un ruolo considerevole quando, tre anni dopo, già in cattedra al Collège de France, partecipò, insieme ad altri intellettuali, al Groupe d’information sur les prisons (Gip.)».
«Nei prossimi volumi di inediti – aggiunge Irrera – sarà ancor più evidente che la filosofia non parla più solo di sé stessa, né fonda o legittima gli altri discorsi, ma ha a che fare con un’attualità che non smette di creare uno scarto rispetto al passato e al futuro. In questo spazio interstiziale Foucault prende posizione e vi si muove da “intellettuale specifico”. Nei limiti del proprio sapere e delle proprie capacità di azione, si mette al fianco di chi è oppresso, senza per questo diventarne il portavoce, come accadeva all’“intellettuale universale” di Sartre. Attraverso una storia delle razionalità che guidano l’esercizio del potere, soprattutto là dove diventa intollerabile, egli mette in luce tanto le sue linee di fragilità che le possibilità strategiche di contestazione a disposizione dell’immaginazione politica di coloro che ne subiscono gli abusi. È nel difficile legame tra lotte e produzione di saperi che si esprime il legame della filosofia con l’attualità e, ieri come oggi, si manifesta il pensiero critico».
Questo articolo è stato pubblicato per il manifesto il 7 dicembre 2022. Foto di copertina di thierry ehrmann su Flickr.