Un film come si diceva dalla lavorazione lunghissima, dieci anni addirittura. Perché come si fa a misurarsi con una storia così enorme, che esisteva già da vent’anni all’epoca delle prime riprese (febbraio 2012)? Nel corso di quest’ultimo decennio è andata sempre più complicandosi, con la crescente militarizzazione, la quantità dei processi inflitti a pioggia sugli attivisti più in vista, la cocente delusione vissuta con i 5 Stelle dopo la speranza di una soluzione finalmente possibile a livello istituzionale – fino alla saracinesca del lockdown che è calata poi su tutti i fronti, e lo stato d’eccezione esteso a colpi di DPCM ben oltre la Val Susa…
“La proposta è partita da Stefano Barabino” rievoca Carlo Bachschmidt, che con Barabino alla (splendida) fotografia e con Marco Ruvioli ha realizzato e prodotto questo film in modalità totalmente indipendente, grazie a una serie di fund raising anche dalla valle. “In quel periodo io ero a Roma, alle prese con il mio documentario sui Black Block, e per di più impegnato nell’organizzazione del decennale del G8 di Genova. Ciò che accadeva in Val Susa riuscivo a seguirlo solo da lontano, su Internet. Stefano invece era già stato varie volte in valle, si era entusiasmato per come il Movimento No Tav si era organizzato per opporti all’apertura del cantiere di Chiomonte in Val Clarea. E dunque ci stimolava a raggiungerlo quanto prima, per verificare tutti insieme le possibilità di questo nuovo progetto. E quando questo è successo erano già i primi di febbraio del 2012, in coincidenza con uno degli episodi più drammatici nella storia del Movimento No Tav: la caduta di Luca Abbà da quel traliccio ad alta tensione su cui si era inerpicato, e poi il ricovero in ospedale più morto che vivo, con gli episodi di tensione che seguirono nei giorni successivi, e lo strascico giudiziario che per molti continua tuttora. Fu un momento molto forte anche sul piano mediatico, che ci permise di entrare fin da subito in contatto con molti esponenti del movimento, in particolare con Nicoletta Dosio, che ci ha letteralmente accolto, in tutti i sensi, non solo offrendoci ospitalità nei locali de La Credenza.
E da lì è partito questo nostro lungo viaggio, o meglio via vai, che a ogni visita in valle ci portava a contatto con nuove storie e persone, e con ognuna di loro partivano nuove perlustrazioni, nuove occasioni di condivisione. Tutto questo è successo con particolare assiduità il primo anno, durante il quale io continuavo a essere consulente tecnico come gruppo audiovisivo dei processi in corso a Torino: una consulenza che era iniziata con i fatti del G8, e furono gli stessi avvocati impegnati a Genova a chiamarci sui processi a carico dei NoTav a Torino, per cui veniva facile alternare i giorni di riprese in valle con quelli in aula. Ma poi abbiamo continuato a frequentare la valle per anni, tra gli alti e bassi del Movimento, che per un attimo ha intravisto una soluzione votando i 5Stelle e poi ha dovuto fare i conti con la resa del Governo Conti… mentre a qualcuno veniva in mente l’idea di un Festival dell’Alta Felicità, che effettivamente è servito a portare in valle migliaia di giovanissimi e quindi appunto: come la racconti una storia così? La racconti mettendo a fuoco un piccolo gruppo di persone, disposte a farsi riprendere nell’irriducibilità delle loro scelte.”
Ed ecco Nicoletta Dosio ripresa nella grande cucina de La Credenza nel ruolo di cuoca mentre ascolta Radio Black out (perché oltre all’impegno di insegnante di Liceo, c’è da mandare avanti un ristorante che è diventato ormai un luogo d’aggregazione); oppure mentre nutre le sue caprette con le erbette raccolte nel prato di casa sua; o quando alla fine di una dimostrazione, si confronta con gli agenti in tenuta antisommossa con le parole “voi non lo sapete, ma avete perso anche questa volta”. Ecco Marisa, sempre in prima fila, sempre disposta a mettersi in gioco, nonostante l’età e gli acciacchi: “I rapporti di forza li cambi con i numeri, se non ci sono i numeri è un problema…” Ecco il gruppo dei Cattolici per la Vita della Valle, che periodicamente si recano in visita alle recinzioni del cantiere come Gruppo di Preghiera, perché la valle ha bisogno anche di fede. E già che ci sono, tentano un impossibile dialogo con i militari al di là delle reti, oppure addobbano le recinzioni con fantasiose decorazioni, perché anche la creatività è un modo di pregare. Ecco emergere in particolare le figure di Paolo e Gabriella, per la fermezza delle loro posizioni. “La vita dell’uomo è importante” ci dice Paolo (e il primo piano è tale che sembra parlare proprio a ciascuno di noi) “ma la vita delle piante, degli animali, non è meno importante. Senza la loro vita non ci sarebbe la nostra vita, la vita è una sola.” Ecco a un certo punto anche Davide Grasso, reduce dall’esperienza intensissima nel Rojava, e incredibilmente chiamato a risponderne in Tribunale come fosse un potenziale criminale, insieme a Eddi (Marcucci) e Jacopo (Bindi) – solo perché tutti e tre sono stati in precedenza attenzionati nelle fila dei NoTav.
Ma è soprattutto sulla storia di Luca Abbà che il film si sofferma. Luca che dopo la caduta riprende a fare serenamente il contadino (e anche questa è stata una scelta, anni prima), e con la compagna Emanuela mette al mondo un figlio. Un parto che avviene nell’intimità della loro casa, alla luce delle candele accese, il grido rauco di lei che annuncia la nuova vita: un momento di grande intensità.
“Abbiamo voluto mettere a fuoco – perché è questo che ci ha colpito – le motivazioni più strettamente personali che hanno spinto queste persone a continuare nel loro percorso di lotta, che ormai coincideva con quella della loro vita, malgrado il costo altissimo che hanno dovuto pagare. Le storie di queste persone ci sono sembrate uno spunto per riflettere sulla capacità, anzi volontà, appunto scelta, dell’essere umano di restare fedele a sé stesso, contando sulla fiducia della comunità in cui vive e di cui è solidale, in cui ritrova un senso per la propria vita. Il tutt’uno di vita personale e impegno politico: questo è ciò che ci ha colpito. La loro vita è stata stravolta dal TAV, che li ha messi di fronte a situazioni che mai avrebbero previsto. Ma è proprio in questa capacità di risposta, in questo impegno nel non mollare, in questa affermazione del proprio convincimento, che l’essere umano si rafforza innanzitutto per sé stesso e poi con gli altri, nella scelta di una vita spesa nella massima pienezza e sincerità. Ed è questa per noi la carta vincente anche politicamente (perché questo è anche un film politico).
E’ un tema che ci sta molto a cuore e che riguarda non solo il contesto NoTav, ma qualsiasi altro contesto, riguarda la vita personale di ciascuno di noi, nel momento in cui ci troviamo di fronte a delle scelte: decidere che strada prendere, se accettare il compromesso, oppure esprimerci in dissonanza, e batterci per affermare ciò che ci sta a cuore – è un tema che ci riguarda tutti.”
Tutt’intorno, a fare da cornice a questi incontri, interni, testimonianze, dichiarazioni, a fare da contrappunto alle manifestazioni in valle oppure a Torino, eccoci ad ammirare una natura che ci parla anche senza alcun bisogno di voci fuori campo, che ci parla nel silenzio in cui vorrebbe essere rispettata, nel trascorrere delle stagioni, con le acque che sgorgano copiose dagli anfratti delle montagne, con i camosci che per un attimo si fermano a guardarci da lontano, con quell’aquila che sorvola il mondo dall’alto dei cieli. Il mondo creato, che ci è stato donato, che avremmo il dovere di preservare per le future generazioni, che vorrebbe solo essere lasciato in pace – in stridente contrasto con quello della cosiddetta modernità, con l’allucinazione di quell’autostrada, quel nastro di cemento con tutti i suoi orribili piloni, che è stato il primo affronto alla Val Susa anni fa, creando i presupposti della più decisa opposizione al Tav, vissuta come ennesimo scempio, un’ennesima scellerata cantierizzazione, un’ennesima devastazione. E quindi appunto: dove la metti la parola fine a una storia che benché data ormai per finita sui media, continua a succedere e aggravarsi giorno dopo giorno?
“Non sai con quanti premontati ci siamo misurati, nel corso di questi anni” mi conferma infatti il regista. “Non sai quanti finali ci siamo trovati poi a scartare. E un paio di volte mi è capitato di scherzarci su anche con Daniele Gaglianone, quando era alle prese con il suo progetto di film sulla Val Susa, nel periodo in cui noi tre continuavamo nelle nostre periodiche visite in valle, a volte solo per farci vivi, capire come andava – e ogni volta aggiungendo altre ore di riprese, alle tante che avevamo già…
Ma arriva un certo punto in cui bisogna fare La scelta, appunto: a dover scegliere ci siamo trovati anche noi, in quanto autori. Decidere che il film doveva concludersi. Una decisione che si è imposta in un certo senso da sola con l’inizio del lockdown, quando abbiamo dovuto prendere atto che eravamo tutti e tre dislocati da qualche parte, e chissà quando avremmo potuto tornare in valle. E’ stato in quel momento che ci siamo detti: basta così, e abbiamo cominciato il lavoro di montaggio. E non sai quante ore di girato abbiamo dovuto scartare.”
Il film si conclude infatti con le ultime riprese effettuate in quel fine anno del 2019 che coincise con l’arresto di Nicoletta Dosio. La camera si sofferma su Silvano, il marito di Nicoletta, ripreso rispettosamente dal di qua di una finestra di casa sua, mentre calmissimo risponde a qualcuno che gli chiede notizie sul cellulare. E l’immagine successiva è sempre lui, ripreso di spalle, che mestamente si unisce alla fiaccolata di solidarietà immediatamente convocata nel centro storico di Bussoleno.
Alla luce della recente condanna di otto mesi inflitta di nuovo a Nicoletta Dosio, è il finale più giusto che si potesse immaginare, per questa storia di infinito accanimento giudiziario. Che continuerà per chissà quanti anni a venire, per l’intera valle. Un finale che dice come meglio non si potrebbe: “La storia continua… in questo modo vergognoso… e a che prezzo…”
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