- Michele Ambrogio -
Nei prossimi dieci anni, leggo su Il Messaggero, entro il 2034, ci saranno 1,4 milioni circa di bambini e ragazzi tra i tre e i diciotto anni in meno. Un calo di oltre 100 mila alunni l’anno.
Da qui a 8 anni, ne consegue, che saranno tagliati circa 600 istituti, mentre il numero degli attuali dirigenti scolastici sarà quasi dimezzato.
Già con le relazioni che riguardano il Pnrr è stato quantificata una perdita di personale scolastico di circa 60 mila unità.
La notizia affianca la classifica di Eduscopio, che stila una hit parade delle scuole, misurandone i risultati; alcuni, come quelli ottenuti dagli studenti che ne escono per accedere all’università, sono dati rilevati con imparzialità. Dalle scuole si esce con un voto, e si cerca lavoro (i numeri di questa ricerca sono noti) o si va all’università, dove si conseguono altri risultati.
Anche questi sono numeri.
Leggo una critica soft alla presunzione di queste classifiche: un giudizio valutativo non è una conta, non può limitarsi alla registrazione di quantità. Ebbene, la stessa difesa d’ufficio si estende ai tagli legati al calo demografico: il numero delle scuole diminuisce con gli alunni e, poi, dopo aver fatto i conti coi numeri, verrebbe una valutazione e infine intervento mirato alla qualità.
Così facendo il pregiudizio qualitativo e la scelta di un punto di vista si occulta nella procedura, che è inoppugnabile. Perché come dicevano Marx, i fratelli e non il filosofo: signori questa scuola, a dispetto di quel che vedete è proprio quello che dice di essere, è proprio quella che vi appare. Sembra, ma lo è! Classista, selettiva, scadente, di massa senza qualità, serva del capitale e conformista.
E non lo nasconde. Non c’è molto da valutare, perché la sua misura è esatta.
I numeri: se dividi 7.000.000 per 25, sono gli alunni per classe tra dieci anni in base ai parametri attuali, avremo 280.000 classi; che potrebbero invece essere 466.000 se in ogni classe avessimo 15 alunni.
Attualmente sono 8.500.000 alunni stipati in 350.000 classi, classi che diverrebbero 566.000 se si riducesse a 15 il numero degli alunni.
In dieci anni questo comporterebbe un passaggio graduale ad una scuola differente, che potremmo valutare con un giudizio di qualità difficilmente opinabile. “Che è meglio” dice il grande Puffo.
I numeri sono lì, e le disquisizioni docimologiche o le classifiche ce li mostrano. In quei numeri letti con naturalezza ci stanno anche delle scelte, non dei giudizi ma i pregiudizi, che sono altrettanto evidenti: le classifiche dicono alle famiglie quali sono le scuole più legate al successo, e il numero dei dirigenti ci dice quante scuole vogliamo tagliare, punto.
.pressenza.com/it/oto MARTA D’AVANZO (DinamoPress)