mercoledì 16 novembre 2022

NON SI TRATTA SOLO DI SBARCHI

 - Fulvio Vassallo Paleologo -

     A rischio democrazia, 

 Europa e principio di legalità 

 Violati Regolamenti europei e norme interne derivanti da Convenzioni internazionali


1, Rischio democratico e principio di legalità in Italia

Quando un governo persegue finalità politiche a livello interno ed internazionale arrivando alla disapplicazione o alla aperta violazione di Convenzioni internazionali, di Regolamenti europei e di normative nazionali, si può davvero dire che sono a rischio la democrazia costituzionale e il principio di legalità. Per non parlare della collocazione dell’Italia nell’Unione Europea in un momento in cui le politiche di coesione sono fondamentali per superare la crisi indotta prima dal Covid e poi dalla guerra in Ucraina,

La Meloni, che insiste sulle politiche di chiusura dei porti, già sconfitte dai fatti, si scontra pure con il principio di realtà, ed apre uno scontro gravissimo in Europa, perché non può ritenere ingiustificata la reazione della Francia adducendo che l’Italia quest’anno ha accolto più di 90.000 persone giunte via mare, mentre il governo francese starebbe esasperando la sua reazione dopo lo sbarco dei 234 naufraghi della Ocean Viking a Tolone. Le politiche di redistribuzione a livello europeo ( derivanti dal Regolamento Dublino III del 2013), contrastate proprio dai partiti europei più vicini all’attuale governo italiano, che adesso sono state compromesse dalle scelte di Piantedosi e Salvini, non si possono fare valere mentre i naufraghi sono in mare, ma scattano solo dopo lo sbarco dei naufraghi a terra, nel porto sicuro più vicino. Come avevano ammonito il governo francese e la Commissione europea dopo i decreti Piantedosi. E’ del resto noto che una parte consistente delle persone che sbarcano in Italia prosegue il viaggio verso altri paesi europei, mentre la Francia riceve un nmero di richieste di asilo superiore a quello dell’Italia. In ogni caso dopo le misure ritorsive che si anunciano, consistenti anche nel pattugliamento rinforzato dei confini interni, nei prossimi mesi invernali, lo sbarramento delle frontiere francesi, soprattutto a Ventimiglia, potrà fare altre vittime. E non sono da escludere ulteriori misure ritorsive che adotteranno altri paesi dell’Unione Europea con il blocco del trasferimento dei richiedenti asilo già in programma.

Di fronte ad un ribaltamento di senso ed a un capovolgimento del sistema normativo che fanno pensare ad un sovvertimento dell’ordine costituzionale, occorre ribadire che il soccorso in mare non può essere scambiato per “trasporto di clandestini” come “merce di scarto” (carico residuale) da respingere indistintamente. Le regole internazionali ed europee sui soccorsi in mare valgono sia per i soccorsi occasionali delle navi commerciali che per le attività di ricerca e salvataggio (SAR) che le Organizzazioni non governative svolgono in acque internazionali, Da quando gli Stati, per ridurre gli arrivi, hanno ritirato i propri assetti navali di soccorso e concluso accordi con autorità di governi che non rispettano i diritti umani, dalla presenza in acque internazionali delle ONG dipende la vita o la morte delle persone. Nessuna Convenzione internazionale di diritto del mare prevede regole diverse a seconda della bandiera o della natura dell’attività della nave soccorritrice. In ogni caso deve prevalere la salvaguardia della vita umana ed il principio di non respingimento affermato dall’art.33 della Convenzione di Ginevra.

A chi parla di legalità occorrerebbe ricordare i respingimenti illegali praticati da Malta in combutta con loschi affaristi, e chi costituisce la sedicente Guardia costiera “libica”, che fa riferimento al governo di Tripoli con il quale dal 2017 è stato stipulato un Memorandum d’intesa, tacitamente rinnovato di recente anche dal nuovo governo. Sono criminali appartenenti a milizie responsabili di torture, di contrabbando, di traffico di esseri umani. Lo dicono le inchieste delle Nazioni Unite e persino qualche sentenza dei Tribunali italiani ( Milano e Messina). Anche di questo dovrà rendere conto il governo italiano che si appresta a rafforzare, con i nuovi piani sull’Africa quegli accordi che non riducono affatto i morti in mare, ma accrescono le sofferenze e gli abusi ai quali sono esposte tutte le persone straniere intrappolate in Libia e nei paesi circostanti.

2.La Meloni e l’intero governo italiano hanno violato Regolamenti europei e norme interne derivanti da Convenzioni internazionali

Già nelle giornate in cui il nuovo governo nasceva nel corso della intervista a “Porta a Porta” Salvini aveva minacciato: “Fermeremo le navi delle ong. E’ l’unico modo. Andranno a cercare rifugio nei porti di nazionalità delle navi che fanno soccorso”Tesi sostenuta in passato anche dal neo-ministro della Giustizia Nordio. Salvini riproponeva così la imposizione di divieti che la legge e le normative europee ed internazionali non prevedono, esattamente la stessa serie di decisioni per cui il ministro delle infrastrutture è ancora sotto processo a Palermo per il caso Open Arms. Secondo le memorie difensive del senatore Salvini nel processo Open Arms a Palermo, per il quale è stato rinviato a giudizio, “l’Italia non era lo stato competente ad indicare il Pos” (ovvero il cosiddetto “Place of safety”) per Open Arms, in quanto “secondo il diritto internazionale” sarebbe dovuta essere responsabile la Spagna “quale stato di bandiera della nave Open Arms, e, limitatamente al terzo episodio, Malta”. Come richiamato dai giudici del Tribunale dei ministri di Palermo nel caso Open Arms,“deve escludersi che lo Stato di “primo contatto” si identifichi con quello di bandiera della nave che ha provveduto al salvataggio; tale individuazione, invero, confligge innanzitutto con la stessa lettera del testo normativo di riferimento (Risoluzione MSC 167-78), che al punto 6.7 fa esplicito riferimento al “primo RCC contattato”, esigendo, dunque che il “contatto” sia realizzato con il centro di coordinamento per le attività di ricerca e soccorso costituito, in ottemperanza alle linee guida IMO, presso ogni Stato aderente alle convenzioni in materia; essa, poi, appare incoerente con lo scopo perseguito dalle richiamate linee guida (criterio ermeneutico, questo, di primaria rilevanza nell’applicazione dei trattati e delle convenzioni internazionali), scopo che, come s’è detto, consiste nel far sì che la collaborazione degli Stati converga verso il risultato di consentire alle persone soccorse di raggiungere quanto prima un posto sicuro, arrecando alla nave soccorritrice il minimo sacrificio possibile”. Le prossime udienze del proceso Salvini a Palermo non potranno non risentire di quanto è emerso in questi giorni, sulla pervicace volontà del ministro di imporre al governo, e dunque di reiterare, gli stessi atti per cui è stato chiamato a giudizio. mentre rimangono ancora nel vago le nuove contestazioni che si vorrebbero muovere alle ONG per legittimare le politiche governative di chiusura dei porti.

ll nuovo ministro dell’Interno, nel giorno del voto di fiducia al governo in Parlamento, ha emanato, in qualità di Autorità nazionale di pubblica sicurezza, una direttiva ai vertici delle Forze di polizia e della Capitaneria di porto “perché informino le articolazioni operative che il ministero degli Affari esteri, con note verbali alle due ambasciate degli Stati di bandiera (Norvegia e Germania), ha rilevato che le condotte delle due navi Ocean Viking e della Humanity 1 attualmente in navigazione nel Mediterraneo non sono «in linea con lo spirito delle norme europee e italiane in materia di sicurezza e controllo delle frontiere e di contrasto all’immigrazione illegale“.

Per ottenere il risultato di criminalizzare di nuovo le attività SAR delle ONG, si è tornati a seguire la linea interpretativa, adottata anche dai precedenti governi, secondo cui sarebbero solo le autorità statali a decidere quando ricorre un evento di soccorso SAR con persone in stato di pericolo (distress) e quando invece ricorre soltanto un evento di immigrazione irregolare. Le attività di soccorso svolte in modo sistematico dalle ONG sarebbero contrarie “allo spirito della normativa europea, Ma non si precisa quali norme sarebbero violate, anzi nei decreti Piantedosi indirizzati alle navi umanitarie si riporta perfino un Regolamento abrogato, il n. 1624 del 2016, mentre non si riporta il Regolamento Frontex n. 656 del 2014 che disciplina la materia dei soccorsi in mare. Da qui la distinzione tra “migranti” e “naufraghi”. Una distinzione arbitraria, perché tutte le imbarcazioni sovraccariche, in alto mare, e senza dotazioni di sicurezza, contengono persone in stato di pericolo (distress), una distinzione che ha permesso continui rimpalli di responsabilita con ritardi che sono costati la vita di centinaia di persone, come si verificò in occasione del “naufragio dei bambini” dell’11 ottobre 2013.

In base al Regolamento 656/2014 (art.4) Nessuno può, in violazione del principio di non respingimento, essere sbarcato, costretto a entrare, condotto o altrimenti consegnato alle autorità di un paese in cui esista, tra l’altro, un rischio grave di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura, alla persecuzione o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, o in cui la vita o la libertà dell’interessato sarebbero minacciate a causa della razza, della religione, della cittadinanza, dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale o delle opinioni politiche dell’interessato stesso, o nel quale sussista un reale rischio di espulsione, rimpatrio o estradizione verso un altro paese in violazione del principio di non respingimento”Questa norma esclude dunque, ove il soccorso avvenga nella cd. Zona SAR “libica”, qualsiasi obbligo a carico dei comandanti delle navi soccorritrici, siano esse commerciali o umanitarie, di sbarcare naufraghi in Libia o di consegnarli alla sedicente Guardia costiera “libica”.

Secondo il Regolamento UE n.656 del 2014, (al Considerando 8)“durante operazioni di sorveglianza di frontiera in mare, gli Stati membri dovrebbero rispettare i rispettivi obblighi loro incombenti ai sensi del diritto internazionale, in particolare della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, della Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, della Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e del suo protocollo per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, della Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo”. Tutte queste Convenzioni contengono disposizioni relative alla tutela dei diritti fondamentali delle persone soccorse in mare, fino a comprendere il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro, ed una tutela rafforzata per i minori, che avrebbero dovuto impedire l’assimilazione dell’attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali ad una attività di immigrazione irregolare, ad un mero “evento migratorio..

Il Regolamento Frontex n.656/2014, che ha carattere vincolante per le autorità italiane e per i ministri della Repubblica, precisa all’art. 9 il principio di non discriminazione e i concetti di stato di pericolo (distress) e di porto sicuro più vicino (place of safety-POS). Secondo questa norma: “Gli Stati membri osservano l’obbligo di prestare assistenza a qualunque natante o persona in pericolo in mare e durante un’operazione marittima assicurano che le rispettive unità partecipanti si attengano a tale obbligo, conforme mente al diritto internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione giuridica dell’interessato o dalle circostanze in cui si trova”. Nessuna distinzione è dunque possibile tra “migranti irregolari” o peggio “clandestini” e naufraghi, e le attività di soccorso devono svolgersi in conformità al diritto internazionale generalmente riconosciuto.

La Convenzione SAR definisce la “fase di emergenza” (distress) come una “situazione in cui vi è la ragionevole certezza che una persona, nave o altra imbarcazione è minacciata da un pericolo grave e imminente e necessita di assistenza immediata” : In questi termini l’ Allegato alla Convenzione, paragrafo 1.3.11 e 13. Un elenco di fattori da prendere in considerazione, al fine di determinare se una nave è in una fase di incertezza, allerta o pericolo è inclusa nell’articolo 9, paragrafo 2, lettera f), del Regolamento UE 656/2014

In base al Regolamento Frontex n.656 del 2014 “per valutare se un natante si trovi in una fase di incertezza, allarme o pericolo, le unità partecipanti tengono in conto, e trasmettono al centro di coordinamento del soccorso competente, tutte le informazioni e osservazioni pertinenti, anche per quanto riguarda: l’esistenza di una richiesta di assistenza, anche se tale richiesta non è l’unico fattore per determinare l’esistenza di una situazione di pericolo; la navigabilità del natante e la probabilità che questo non raggiunga la destinazione finale; il numero di persone a bordo rispetto al tipo di natante e alle condizioni in cui si trova; la disponibilità di scorte necessarie per raggiungere la costa, quali carburante, acqua e cibo; la presenza di un equipaggio qualificato e del comandante del natante; l’esistenza e la funzionalità di dispositivi di sicurezza, apparecchiature di navigazione e comunicazione; la presenza a bordo di persone che necessitano di assistenza medica urgentela presenza a bordo di persone decedute; la presenza a bordo di donne in stato di gravidanza o di bambini; le condizioni e previsioni meteorologiche e marine”.

La primo ministro Giorgia Meloni, il suo governo, le autorità maruttime e militari, non possono ignorare il rispetto di queste norme, restando indignati per le reazioni degli altri paesi europei, se Francia e Germania, presto seguiti da altri, applicano la logica della ritorsione contro un governo che ha violato palesemente obblighi derivanti dal diritto internazionale ed euro.unitario.

3. Continua la guerra alle ONG che trasportano “clandestini” : i migranti non sono naufraghi

Secondo le prime dichiarazioni del ministro Piantedosi, appena insediato al Viminale, le condotte delle navi Ocean Viking e della Humanity in navigazione nel Mediterraneo non erano“in linea con lo spirito delle norme europee e italiane in materia di sicurezza e controllo delle frontiere e di contrasto all’immigrazione illegale”. Le stesse condotte, secondo il neo-mimistro, sarebbero dunque “sulla base dell’articolo 19 della Convenzione internazionale delle Nazioni unite sul diritto del mare, saranno valutate ai fini dell’adozione da parte del titolare del Viminale, in qualita’ di Autorita’ nazionale di pubblica sicurezza, del divieto di ingresso nelle acque territoriali.”

Appare evidente come il nuovo ministro dell’interno, già braccio destro di Salvini, voglia ripristinare per via amministrativa i divieti di ingresso previsti dal Decreto sicurezza bis n.53 del 2019,normativa che non appare sostanzialmente cambiata con le successive modifiche introdotte dal Decreto n.130 del 2020, che all’art. 1, comma 2, riconosce ancora le autorità libiche “competenti “per la ricerca e soccorso in mare nella ampia zona SAR loro riconosciuta, e mantiene la previgente previsione del potere del Ministro dell’Interno di limitare o vietare il transito o la sosta di navi di soccorso nel mare territoriale, tutte le volte in cui queste ultime non si siano attenute alle indicazioni di quelle autorità. Un potere discrezionale enorme che viene esercitato ancora oggi con le conseguenze che stiamo vedendo a livello europeo. Un potere discrezionale che si traduce nella violazione delle Convenzioni internazionali e dei Regolamenti europei con conseguenti gravi ritorsioni da parte degli altri paesi dell’Unione Europea.

Secondo l’art. 98 della Convenzione UNCLOS, “in base all’art. 98 della Convenzione Unclos del 1982, (Obbligo di prestare soccorso), “ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri:1.presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; 2.proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa. In base alla stessa Convenzione, ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali”.

La Convenzione SOLAS obbliga il “comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione” … [Capitolo V, Regola 33)

L’art. 10, par 1, della Convenzione SAR di Amburgo del 1979 prevede che ogni comandante è obbligato, nella misura in cui lo possa fare senza serio pericolo per la propria nave e le persone a bordo, a rendere assistenza a qualsiasi persona che rischia di perire in mare.  Il comandante di una nave in navigazione che sia in grado di poter prestare assistenza, al ricevimento di un segnale da qualsiasi provenienza indicante che delle persone si trovano in pericolo in mare, è obbligato a portarsi a tutta velocità ad assisterle, se possibile informando tali persone o il servizio di ricerca e soccorso di quanto la nave sta facendo.

Il Piano nazionale SAR 2020, in linea con le Convenzioni internazionalie con il Manuale IAMSAR distingue diversi livelli di pericolo per ciascuna operazione di ricerca e salvataggio, affermando il principio che in caso di pericolo per la vita umana in mare, comunque siano pervenute le informazioni, in base ad una presunzione di generale credibilità, si devono disporre i primi interventi operativi ed informativi, avviando le operazioni di soccorso con tutti i mezzi nella propria disponibilità.  Si ribadisce l’immediata responsabilità di coordinamento del Comando centrale della Guardia costiera (IMRCC)  tenuto a coordinare direttamente il soccorso se si verifica un disastro in mare di notevoli proporzioni, oppure quando l’area di responsabilità sia particolarmente ampia, oppure ancora ,come previsto al punto  C del paragrafo 234, quando l’intervento avvenga ai limiti esterni della zona di competenza italiana e, dunque in particolare, si prevede lo sconfinamento in acque internazionali o di competenza di altri paesi al fine di garantire una effettiva salvaguardia della vita umana in mare.

Si devono ricordare a questo riguardo le decisioni che hanno archiviato il caso Rackete sulla base di quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.122 del 16-20 gennaio 2020. Secondo la Corte di Cassazione, “Nè si potrebbe ritenere, come argomenta il ricorrente, che l’attività di salvataggio dei naufraghi si fosse esaurita con il loro recupero a bordo della nave. L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “piace of safety”). Il punto 3.1.9 della citata Convenzione SAR dispone: «Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve empo ragionevolmente possibile».
Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) allegate alla Convenzione SAR, dispongono che il Governo responsabile per la regione SAR in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito. Per l’Italia, il piace of safety è determinato dall’Autorità SAR in coordinamento con il Ministero dell’Interno. Secondo le citate Linee guida, «un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse; dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale» (par. 6.12). «Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative». (par. 6.13)”.

Per gli stessi giudici :”Né può considerarsi compiuto il dovere di soccorso con il salvataggio dei naufraghi sulla nave e con la loro permanenza su di essa, poiché tali persone hanno diritto a presentare domanda di protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, operazione che non può certo essere effettuata sulla nave”. Secondo la Corte di Cassazione, dunque lo sbarco dei naufraghi deve avvenire “nel più breve empo ragionevolmente possibile” ed in un “porto sicuro” nel quale i naufraghi possano presentare una istanza di protezione, dunque certamente non in Libia, paese nel quale per unanime giurisprudenza, ed anche in base allla decisione della Corte europea sul caso Hirsi, questa possibilità deve ritenersi ancora oggi esclusa. Chi oggi parla di rispetto del principio di legalità dovrebbe conformare i propri atti e le proprie scelte politiche alle norme di diritto internazionale ed intereo nella interpretazione che ne ha fornito la Corte di Cassazione in conformità agli articoli 10,11 e 117 della Costituzione.

4. La trasformazione delle attività di soccorso in alto mare (SAR) in eventi di immigrazione irregolare

Ancora una volta le attività di ricerca e salvataggio (Sar) operate dalle ONG vengono qualificate come “eventi di immigrazione illegale” al fine di utilizzare strumentalmente l’art. 19 della Convenzione UNCLOS. che consente agli Stati costieri di vietare l’ingresso nelle acque territoriali, qualificando il passaggio della nave come “non inoffensivo”, perchè da parte delle autorità statali si assume che sia in contrasto con le norme in materia di immigrazione. Una interpretazione fuorviante che in Italia è stata già demolita dalle corti e dalle procure che se ne sono occupate, archiviando i procedimenti contro le ONG, procedimenti penali che si basavano proprio sull’assunto, del carattere illegale delle atività SAR operate dalle Organizzazioni umanitarie.

Con riferimento all’art. 19 della Convenzione UNCLOS si è già osservato da parte della dottrina come “Questa previsione, a ben guardare, non può essere riferita ad imbarcazioni impegnate in attività di soccorso: detto altrimenti, non è applicabile al caso in cui le attività di «imbarco» consistano nel tirare a bordo persone che si trovino in situazione di pericolo («distress») ai sensi delle relative convenzioni (SOLAS, SAR); e quelle di «sbarco» consistano non genericamente nel farle scendere a terra, ma consegnarle in un luogo sicuro («place of safety»).

Secondo questa stessa interpretazione (Di Martino-Ricci) “L’illiceità dello sbarco, pertanto, non può dipendere dalla stessa fonte – il provvedimento di limitazione o divieto – che ne sanziona la violazione. Il carattere offensivo del passaggio dev’essere dunque precedente alla realizzazione della condotta, perché soltanto esso fonda il potere di emanare il provvedimento amministrativo. Questa conclusione è confermata dalla stessa indicazione spaziale contenuta nell’art. 19(2)(g) UNCLOS. Le condotte connotate dal carattere “non inoffensivo” devono esser commesse nel mare territoriale. Ciò che dev’essere contrario alle leggi in materia di immigrazione, dunque, è l’imbarco o sbarco nel mare territoriale. Il problema centrale si sposta dunque sulla liceità delle operazioni di salvataggio: se queste devono esser considerate lecite alla stregua del diritto internazionale, il transito e la sosta non possono esser considerati offensivi e dunque il provvedimento amministrativo non potrà essere emanato su questa base. Potrà solo esserlo adducendo ragioni di ordine pubblico e sicurezza pubblica, supportate da apposita motivazione”.

Nel caso Open Arms del 2019 il Tribunale amministrativo del Lazio in accoglimento del ricorso presentato dalla Ong spagnola, rilevando una violazione delle norme di diritto internazionale del mare in materia di soccorso e riconoscendo una situazione di “eccezionale gravità e urgenza”,disponeva la sospensione del divieto di ingresso della stessa nave nelle acque territoriali italiane. Da quella pronuncia cautelare del Tar Lazio che il governo dell’epoca, malgrado gli annunci, nemmeno impugnò, scaturì il processo Open Arms nei confronti dell’attuale ministro delle infrastrutture Matteo Salvini.

Sempre nel 2019, in una audizione alla Camera dei Deputati, l’Ammiraglio LIARDO affermava anche che “L’obbligo del S.A.R. prescinde dai limiti della piena giurisdizione marittima di uno Stato costiero (non è neppure limitato, alla specifica area di responsabilità S.A.R., che comunque non è un’area di giurisdizione e, pertanto, si estende di norma ben oltre le acque territoriali e l’eventuale zona contigua), mentre l’attività di polizia, “law enforcement”, al di fuori delle acque territoriali è soggetta a ben precisi limiti, stabiliti dalla normativa nazionale e nel rispetto di quella internazionale. La conseguenza pratica di ciò è che se un’imbarcazione carica di migranti localizzata al di fuori delle acque territoriali di uno Stato costiero è ritenuta versare in una situazione di potenziale pericolo (caso S.A.R.), scatta l’obbligo di immediato intervento e, quindi, del successivo trasporto a POS delle persone soccorse. Lo stato costiero non può dunque qualificare come “evento di immigrazione clandestina” o “illegale” un attività di ricerca e salvataggio che si svolge al di fuori delle sue acque internazionali in conformità con gli obblighi di soccorso imposti dalle Convenzioni internazionali e nel rispetto del principio di non respingimento sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati.

5. La giurisprudenza riconosce l’attività delle ONG come adempimento degli obblighi di soccorso previsti dal diritto interbazionale

Come ricorda Giuseppe Cataldi, ordinario di Diritto internazionale presso l’Università “L’Orientale” di Napoli, Sul diritto di passaggio inoffensivo nel mare territoriale va subito chiarito che l’ingresso di una nave che trasporta persone soccorse in adempimento dell’obbligo internazionale di salvare la vita umana in mare non può considerarsi come attività compiuta in violazione delle leggi nazionali sull’immigrazione, a condizione che l’obiettivo della nave sia semplicemente quello di far sbarcare le persone soccorse. Sul punto la giurisprudenza italiana è copiosa e pressoché unanime, L’obbligo di salvare la vita umana in mare, infatti, vincola sia gli Stati (ai sensi dell’art. 98, par. 1 Unclos) sia i comandanti di navi (ai sensi del Capitolo V, reg. 33 Solas, nonché delle norme nazionali in materia, quali ad esempio l’art. 489 cod. nav.). Tale obbligo richiede al comandante di assistere le persone in pericolo e di condurle in un luogo sicuro “nel più breve tempo possibile”. In altri termini, la fattispecie del salvataggio in mare continua fino a quando il comandante non abbia fatto sbarcare le persone in luogo sicuro, e il suo ingresso nel mare territoriale e nei porti di uno Stato non può essere visto sotto luce diversa”.

Tra le tante decisioni della giurisprudenza italiana richiamate da Cataldi possiamo ricordare le seguenti : “Tribunale di Agrigento del 7 ottobre 2009, n. 954 nel caso Cap Anamur; richiesta di archiviazione della Procura di Palermo del 15 giugno 2018, nella vicenda che ha coinvolto la nave Golfo Azzurro della Ong Iuventa; decreto di rigetto di richiesta di sequestro preventivo del 16 aprile 2018 del Tribunale di Ragusa, ufficio per indagini preliminari, confermato dal Tribunale del riesame di Ragusa in data 11 maggio 2018 nel caso Open Arms; Cassazione, sez. I pen., sentenza del 27 marzo 2014, n. 14510 e Cassazione, sez. IV pen., sentenza del 30 marzo 2018, n. 14709, che in tema di sussistenza della giurisdizione italiana in relazione a condotte, alternativamente qualificabili come operazioni di soccorso umanitario o concorso in favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, avvenute in alto mare, ha avuto modo di notare che «l’intervento di soccorso è doveroso ai sensi delle Convenzioni internazionali sul diritto del mare»; Tribunale di Catania, dicembre 2018, che con riferimento al caso Diciotti sottolinea che “l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”; gip di Trapani del 3 giugno 2019 (cit.); Cassazione penale, Sez. I, 23 gennaio 2015, n. 3345, in tema di “autore mediato”, e cioè di operazioni di soccorso provocate dagli stessi scafisti che determinano la responsabilità di questi ultimi ma non certo di chi presta il soccorso in mare”.

6. Il ricatto sulla pelle dei naufraghi per aggirare il Regolamento Dublino III del 2013

Il tentativo di utilizzare la politica della chiusura dei porti per scardinare gli obblighi di accoglienza derivanti dal Regolamento Dublino III non è affatto nuovo. Nel corso di un incontro con alcuni rappresentanti delle Ong nel mese di maggio del 2021, l’ex ministro dell’interno Lamorgese chiedeva ai rappresentanti delle stesse ONG di “fare pressione sugli Stati europei che, nonostante l’insistenza dell’Italia, continuano a non dare segni di concreta disponibilità nella condivisione delle responsabilità nella gestione dei flussi migratori, quantomeno nella relocation dei migranti che sbarcano nei Paesi costieri. Condivisione di cui c’è una ” esigenza immediata”.  Adesso questa “pressione” che in realtà si traduce in un ricatto sulla pelle dei naufraghi, la fa il governo italiano, rifiutando lo sbarco dei naufraghi definiti “migranti” e costringendo le ONG a fare rotta verso porti di altri paesi dell’Unione Europea.

Nei confronti della Geo Barents di MSF, come in precedenza conto la Humanity 1, poco prima del suo ingresso nel porto di Catania, è stato notificato un decreto fotocopia, firmato anche dal ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, insieme ai colleghi di Interno, Matteo Piantedosi, e Difesa, Guido Crosetto, Ai comandanti della Humanity 1 e della Geo Barents, si è vietato “di sostare nelle acque territoriali nazionali oltre il termine necessario ad assicurare le operazioni di soccorso e assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali e in precarie condizioni di salute segnalate dalle competenti Autorità nazionali”. “A tutte le persone che restano sulla imbarcazione – si era comunicato – sarà comunque assicurata l’assistenza occorrente per l’uscita dalle acque territoriali”. Un decreto che si è dimostato inapplicabile perchè le “autorità nazionali” degli Stati di bandiera delle navi delle ONG non hanno segnalato le vulnerabilità dei naufraghi che invece sono state accertate da medici italiani dell’USMAF (sanità marittima) e della CRI.

Secondo il ministro Tajani, “gli Stati devono farsi carico delle navi che portano la loro bandiera”, che non sarebbe un problema di singoli Paesi, ma di “rispetto delle regole generali”. “Siamo d’accordo con il ministro Piantedosi: la priorità è accogliere i fragili, i malati, le donne, i bambini, le donne incinte”. Ma la responsabilità è dei comandanti. Non possiamo agire sugli Stati, ma su di loro sì. Con l’intervento della magistratura laddove si configurasse un reato in acque italiane”. Sotto questo profilo dal Viminale era arrivato un avvertimento preciso quando si era contestato che “le operazioni della norvegese Ocean Viking e della tedesca Sos Humanity erano state svolte “in piena autonomia e in modo sistematico, senza ricevere indicazioni dall’Autorità statale responsabile di quell’area Sar, Libia e Malta, che è stata informata solo a operazioni avvenute”, e anche l’Italia sarebbe stata informata “solo a operazioni effettuate“.

Si tratta di accuse di vecchio stampo, che nel 2004 erano servite a montare l’acceusa nel processo Cap Anamur, poi concluso nel 2009 con una sentenza del Tribunale di Agrigento che ha fatto scuola, con l’assoluzione piena del comandante della nave e del capo-missione. Anche in quel caso si era paventata la possibilità di far partire dalla nave, che era già entrata nelle acque territoriali italiane, una richiesta di asilo rivolta alle autorità del paese di bandiera, la Germania, una ipotesi che venne immediatamente respinta dall’Ufficio federale di Norimberga, tanto che dopo lo sbarco a Porto Empedocle i naufraghi presentarono la loro richiesta di asilo in Italia.

Nei decreti a firma del ministro Piantedosi indirizzati alle navi Humanity 1 e Geo Barents si fa di nuovo implicito riferimento alla possibilità di chiedere asilo direttamente dalla nave al paese di bandiera, che poi sarebbe obbligato anche ad indicare un porto di sbarco sicuro. I decreti citano la Risoluzione IMO, la 167(78) del 20 maggio 2004, di cui non riportano specificamente le norme richiamate, norme che se fossero esplicitate si rivelerebbero orientate in senso opposto rispetto a quanto disposto dal Viminale.

In base alla Risoluzione IMO 167(78) del 20 maggio 2004, al punto 6.13: “Una nave che presta assistenza non deve essere considerata un luogo sicuro esclusivamente sulla base del fatto che i sopravvissuti non sono più in pericolo immediato una volta a bordo della nave. Una nave che presta assistenza può non avere strutture e attrezzature adeguate per sostenere altre persone a bordo senza mettere in pericolo la propria sicurezza o per prendersi cura adeguatamente dei sopravvissuti. Anche se la nave è in grado di ospitare in sicurezza i sopravvissuti e può servire come luogo temporaneo di sicurezzadeve essere sollevata da questa responsabilità non appena possono essere stabiliti accordi alternativi”

Secondo l’Ammiraglio Fabio Caffio, “L’idea per cui salire su una nave equivale a entrare nel Paese di cui l’imbarcazione ha la bandiera si basa su un principio che deve essere richiamato dal regolamento di Dublino. Non risulta che l’accordo preveda questo richiamo: parla di territorio e di frontiere”. Secondo Caffio“Certamente, lo Stato deve essere coinvolto per il principio del “genuine link’, il collegamento tra nave e Paese di cui è parte. Il problema è che la normativa è vaga. Si parla di informare lo Stato ma non dice che devintervenire e prendersi i migranti”

il Regolamento Dublino III si applica solo dopo la fase dello sbarco nel porto sicuro più vicino, ma non è applicabile prima a bordo delle navi, come chiarisce anche la Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi quando afferma che neppure unità militari dello Stato possono essere considerate come una “frontiera di ingresso”.

Il Regolamento europeo n.656/2014 stabilisce che per luogo sicuro (place of safety) debba intendersi “un luogo in cui si ritiene che le operazioni di soccorso debbano concludersi e in cui la sicurezza per la vita dei sopravvissuti non è minacciata, dove possono essere soddisfatte le necessità umane di base e possono essere definite le modalità di trasporto dei sopravvissuti verso la destinazione successiva o finale tenendo conto della protezione dei loro diritti fondamentali nel rispetto del principio di non respingimento” [art. 2, comma primo, n. 12).

La stessa definizione di “porto sicuro” (POS- Place of safety) si ricava da una lettura coordinata delle Convenzioni internazionali di diritto del mare nella interpretazione generalmente accolta diffusa dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati , in particolare la Convenzione SAR del 1979, obbliga gli Stati parte “…that assistance [is] provided to any person in distress at sea … regardless of the nationality or status of such a person or the circumstances in which that person is found’ (Chapter 2.1.10) and to ‘… provide for their initial medical or other needs, and deliver them to a place of safety’ (Chapter 1.3.2).
A place of safety is a location where rescue operations are considered to terminate, and where: the rescued persons’ safety of life is no longer threatened; basic human needs (such as food, shelter and medical needs) can be met; and transportation arrangements can be made for the rescued persons’ next or final destination.
Disembarkation of rescued asylum-seekers and refugees in territories where their lives or freedoms would be threatened must be avoided“.

Come ricorda Gianfranco Schiavone, “Il diritto dell’Unione Europea in materia di accesso alla procedura di asilo è disciplinato in primo luogo dalla Direttiva 2013/32/Ue, detta “direttiva procedure”; e “si applica a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri” (articolo 3 paragrafo 1 della Direttiva 2013/32/UE sulle procedure). La domanda di protezione internazionale non può essere impedita a chiunque giunge in frontiera e non può essere rivolta al comandante della nave, in quanto è “una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide” (art. 2 lettera b)”. L’intero Regolamento Dublino III, per come è stato applicato nel corso degli anni, si basa sulla competenza primaria dello Stato di sbarco, considerato come paese di primo ingresso, per ricevere le richieste di protezione internazionale. Per colpire le attivita’ di ricerca e salvataggio delle Ong non si possono introdurre regole tanto discrezionali e palesenente discriminatorie nei confronti di potenziali richiedenti asilo, selezionati sulla base delle apparenti condizioni fisiche, o peggio secondo lo Stato di provenienza, ma solo nel caso di soccorsi operati dalle ONG che si vogliono colpire.

In ogni caso le Linee guida delle Nazioni Unite (UNHCR) sui soccorsi in mare dimostrano la infondatezza della più recente tesi del Viminale che per aggirare il Regolamento Dublino III , ha proposto di fare presentare le richieste di asilo a bordo delle navi, come se i naufraghi fossero già nel territorio dello Stato di bandiera della stessa nave.

In base alle norme sulle procedure Ue, e secondo il Regolamento Dublino 3, il comandante non e’ dunque autorizzato a ricevere domande di asilo, soprattutto quando gli Stati di bandiera non manifestano alcuna disponibilità a prendere in considerazione le richieste di asilo provenienti dalla nave. Tutti i naufraghi che fanno ingresso in un porto di uno Stato costiero hanno diritto a non subire respingimenti collettivi, indipendentemente dalle loro condizioni di vulberabilità e dalla eventuale proposizione di una richiesta di asilo, che potranno presentare soltanto una volta giunti a terra. La scelta del governo di impedire lo sbarco a terra dei “migranti” non “fragili” viola le regole basilari di accesso al gterritorio ed alla procedura di asilo. secondo il giudice Flick, ex presidente della Consulta “è una guerra” non solo contro i migranti, ma contro chi li salva applicando la legge fondamentale del mare, l’ordinamento internazionale, e la nostra Carta”.

Da parte della Meloni si sta già prospettando un nuovo decreto legge “sicurezza”, direttamente mirato contro le ONG che salvano vite nel Mediteraneo centrale, per arrivare alla confisca delle navi ed alla denuncia dei comandanti. Un proposito che aprirà altre fratture in Italia, tra le organizzazioni del soccorso civile, il governo e le autorità di polizia marittima, fino ad prevedibile esito davanti ai giudici, ed a livello internazionale, con ulteriori misure nei confronti dell’Italia, se dovesse adottare norme di legge in violazione dei Regolamenti europei e delle Convenzioni internazionali.

7. Il tentativo fallito di ordinare respingimenti collettivi. Ci riproveranno ancora?

L’intimazione a lasciare il porto, implicita nel decreto Piantedosi, non appena completata la selezione dei più vulnerabili, per “trasportare” in acque internazionali il “carico residuo” di persone, se sarà ancora reiterata, appare in violazione del divieto di respingimenti collettivi, ribadito, oltre che dall’art.33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, dall’art.4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Se i comandanti avessero dovuto riportare in acque internazionali una certa quota dei naufraghi che avevano soccorso si sarebbe realizzato l’allobtanamento forzato di persone già sottoposte alla giurisdizione italiana, dunque un respingimento collettivo, vietato dallìart.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e e dall’art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.

Il Codice frontiere Schengen, istituito con il Regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016 prevede all’art.14 che “Il respingimento può essere disposto solo con un provvedimento motivato che ne indichi le ragioni precise. Il provvedimento è adottato da un’autorità competente secondo la legislazione nazionale ed è d’applicazione immediata”. Le persone respinte hanno il diritto di presentare ricorso. L’asserito”ingresso” dei naufraghi nel paese di bandiera della nave soccorritrice, al momento del salvataggio in acque internazionali è smentito dalla piena giurisdizione che assume lo Stato costiero quando dentro un porto opera “gli sbarchi selettivi”, in base a proprio personale medico, con il concorso delle autorità marittime e di polizia, e sulla base di decreti adottati da ministri del governo in carica. Ed è allora che qualunque ordine di lasciare il porto per “trasportare” in acque internazionali i naufraghi che non sono apparsi ad una prima visita a bordo in condizioni fisiche deteriorate, si configura come un ordine di collaborare ad un respingimento collettivo al quale il comandante della nave umanitaria può rifiutarsi legittimamente di obbedire.

Le persone intercettate in mare, oppure, dopo lo svolgimento delle atività di soccorso, non sono entrate o soggiornanti irregolarmente nel territorio italiano, non sono “clandestini” da respingere, ma sono persone soccorse in mare rispetto alle quali si deve applicare l’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione, secondo cui “Lo straniero …giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142”. Si tratta del cd. approccio Hotspot imposto dall’Unione europea.

Il destino delle persone sbarcate da Ocean Viking a Tolone sarà comunque soggetto ad ulteriori procedure selettive, rimane da verificare l’iniziale affermazione del governo francese che aveva promesso il riconpscimento del diritto di asilo per tutti i naufraghi.

I naufraghi soccorsi dalla Ocean Viking sbarcati a Tolone sono stati messi in una “zone d’attente”, di fatto una zona quasi extraterritoriale, istituita dai prefetti nei porti o negli aeroporti per selezionare minori, casi vulnerabili, chi fa richiesta di asilo, chi ha altri motivi per restare in Europa e chi puo’essere respinto, salvo un diritto di ricorso da esercitare in tempi brevissimi. La durata massima di trattenimento sarebbe di 26 giorni. Potrebbe esserci, dopo una prima selezione, il trasferimento in altri paesi europei. Dunque per questi naufraghi che provengono dagli orrori della Libia il calvario non e’ finito, e per alcuni ci potrebbe anche essere un volo di rimpatrio. Il governo francese, sotto attacco da parte delle iene scatenate della destra nazionalista, cerchera’ senz’altro di allontanare una parte dei naufraghi. Che adesso potrebbero essere ridotti allo stato di “clandestini” da respingere. L’Europa funziona cosi’, i governi sono tutti uguali quando si cerca di mantenere il consenso sulla pelle dei più deboli.

La vicenda dello sbarco della Ocean Vikimg nel porto di Tolone, e la violazione reiterata da parte dell’Italia agli obblighi di indicare un porto sicuro di sbarco, ha alimentato una serie di critiche politiche e di immediate ritorsioni, come il blocco dei trasferimenti di richiedenti asilo già programmato verso altri paesi europei. Ritorsioni che finiranno ancora una volta per ricadere sulla pelle dei migranti, anche se saranno simulate dai toni diplomatici dei prossimi vertici europei. Se non si riusciranno a modificare Regolamenti europei che richiedono procedure ad unanimità, i singoli Stati faranno a gara per adottare misure restrittive per la “difesa” non solo dei confini esterni, ma anche dei confini interni all’Unione Europea. Potrebbe essere la fine della libertà di circolazione sancita dal Trattato di Schengen.

Dopo l’ennesimo fallimento italiano del tentativo di bloccare gli sbarchi di naufraghi soccorsi dalle ONG in acque internazionali, si vogliono rilanciare i dossier sicurezza e contrasto dell’immigrazione “illegale”, legando agli sbarchi la criminalità straniera che si diffonde nel territorio ed invocando nuovi accordi con i paesi nordafricani per fermare le partenze. Sarebbe queste, per alcuni, le uniche possibilità per ridurre il numero delle vittime che si contano ogni giorno nell’attraversamento del Mediterraneo centrale, e di cui addirittura le ONG sarebbero rcoresponsabili, per la loro stessa presenza che attirerebbe le partenze. Una vecchia tesi di Frontex e delle autorità di polizia, sconfitta dai fatti e dalla giurisprudenza, ma buona per tutte le stagioni. Una impostazione molto difforme questa da quanto ritiene da tempo la Commissione europea, con Raccomandazione del 23 Settembre 2020 sulla “Cooperazione tra gli Stati membri riguardo alle operazioni condotte da navi possedute o gestite da soggetti privati a fini di attività di ricerca e soccorso”.

Un atto importante, contestuale al Patto europeo sulle migrazioni del 23 settembre 2020 subito bocciato dai regimi sovranisti , che richiamava gli Stati europei non solo al rispetto del diritto internazionale, ma anche al riconoscimento delle attività di ricerca e salvataggio in alto mare svolto dalle ONG. La Commissione prendeva allora atto del concorso apportato dalle ONG nelle attività di ricerca e soccorso in alto mare.” In tale contesto sono intervenute anche diverse organizzazioni non governative (ONG) che gestiscono imbarcazioni private, principalmente nell’area del Mediterraneo centrale, contribuendo in misura significativa a salvare persone in mare, che vengono poi condotte nel territorio dell’UE per uno sbarco sicuro. Come già sottolineato nel piano d’azione dell’UE contro il traffico di migranti (2015-2020) e ulteriormente illustrato nelle linee guida della Commissione sul pacchetto sul favoreggiamento (C(2020) 6470), è necessario evitare di criminalizzare coloro che danno assistenza umanitaria alle persone in pericolo in mare, garantendo nel contempo che siano in vigore sanzioni penali adeguate contro i trafficanti. “

Secondo la Commissione europea, come ha ribadito ancora nei giorni scorsi la portavoce Hipper, “Le operazioni di ricerca e soccorso in situazioni di emergenza richiedono il coordinamento e lo sbarco rapido in un luogo sicuro, nonché il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse, in virtù degli obblighi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, tra cui il principio di non respingimento, del diritto internazionale consuetudinario e convenzionale in materia di diritti umani e del diritto marittimo, in particolare delle linee guida del Comitato per la sicurezza marittima (MSC) dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO) sul trattamento delle persone soccorse in mare”.

Se si vorrà riprendere un serio confronto con gli altri Stati dell’Unione Europea ai fini della condivisione delle responsabilità di soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale, anche per la individuazione del Porto sicuro di sbarco, si dovrà innanzitutto pensare alla riconversione dell’agenzia FRONTEX, alla sospensione degli accordi con paesi terzi che non rispettano i diritti umani, ed alla promozione di una missione di salvataggio europea sulle rotte del Mediterraneo centrale, e procedere infine ad una profonda revisione del Regolamento Dublino, superando il principio del primo paese di sbarco. Ma sempre con la garanzia di sbarco dei naufraghi nel porto sicuro più vicino, in conformità alle Convenzioni internazionali che, per effetto dell’art. 117 della Costituzione e del Regolamento Frontex n.656 del 2014, nessun ministro, e nessun governo,e nessuna autorità marittima possono violare, impartendo divieti di ingresso o di sbarco che sarebbero immediatamente oggetto di denuncia di fronte alla giustizia interna, oltre che a livello europeo ed internazionale.


pubblicato anche su Adif il 11 Novembre 2022