- Antonio Minaldi - per una radicale redistribuzione della ricchezza
1. E’ possibile, anzi
molto probabile, che col nuovo governo di destra estrema, le pratiche
autoritarie, anche da parte degli apparati di polizia e magistratura, possano
accentuarsi, in modi, forme e intensità che tuttavia non sono al momento
facilmente prevedibili. Per i movimenti e per le forze politiche schierate
dalla loro parte, occorre essere vigili e pronti alle necessarie risposte in
termini di mobilitazione e di difesa della difesa democratica.
Mi pare anche giusto che si ricordi la vecchia matrice di
ascendenza fascista di molti esponenti del nuovo esecutivo. Tuttavia insistere
in modo astratto e generico su questo punto, come spesso avviene, potrebbe
essere alla lunga politicamente inutile. Occorre che ogni giudizio, per
produrre effetti politici efficaci, sia sempre legato ai bisogni reali degli
ultimi e degli struttati, rispetto ai quali disquisizioni, in sé pure
importanti e più o meno corrette, sul carattere fascista o post fascista, o
ancora neo fascista, dei nuovi governanti, potrebbero avere ricadute politiche
alla lunga non particolarmente significative per le lotte di resistenza
popolare, tanto importanti in questo difficile momento, caratterizzato dai
pericoli della guerra, e con una pesante recessione sempre più vicina. Bisogna
insomma entrare nel merito delle cose e mostrare gli effetti reali delle
scelte, che si preannunciano “reazionarie”, da parte del nuovo esecutivo.
Sulla collocazione politica del nuovo governo si può cominciare
col dire, senza possibilità d’errore, che esso si pone in perfetta continuità
col precedente esecutivo e con la famigerata “agenda Draghi”, almeno su due
questioni essenziali: La collocazione geopolitica del nostro paese e
l’accettazione dei diktat del dominio della finanza globale, condita spesso in
salsa europea.
La fedeltà cieca e supina del nostro paese all’atlantismo a guida
statunitense non è e non sarà mai in discussione, almeno al perdurare degli
attuali assetti politici. Le passate dichiarazioni sovraniste non contano e
saranno presto dimenticate, da parte di chi sa di essere sotto osservazione e
col bisogno di avere qualcosa da dimostrare. Inevitabilmente l’Italia è e
resterà completamente dentro questa guerra subendone fino in fondo tutte le
terribili conseguenze, che vanno anche oltre gli stessi incerti sviluppi sul
campo, perché ciò che al momento è ormai acquisito in modo irreversibile e
oltre ogni dubbio, è che questa guerra l’ha già persa l’Europa, costretta,
dentro la morsa occidentalista, a rinunciare a tutte le opportunità di scambi
commerciali con la Russia (importazione di beni energetici, agricoli e minerari
ed esportazione di tecnologia). Inoltre, entro un mondo non più globalizzato ma
polarizzato, il vecchio continente dovrà anche rinunciare a tutti i
benefici che derivano dagli scambi con l’economia cinese che si prospettavano
in ulteriore forte crescita, pur essendo il paese del dragone già oggi, e da
tempo, il primo partner commerciale della Germania.
La vittoria della prospettiva esclusivamente atlantista rispetto
ad un possibile equilibrio con una dimensione euroasiatica avrà come
conseguenza una Europa fortemente ridimensionata, anche oltre le conseguenze
immediate della guerra e la probabile forte recessione che si annuncia alle
porte. In particolare l’Italia, che del vecchio continente è un evidente anello
debole, pagherà un prezzo ancora più caro, senza che i nostri governanti di
oggi, come è ampiamente prevedibile, facciano nulla per evitare la possibile
catastrofe, che cercheranno anzi di giustificare con un’intensa propaganda filo
occidentale che attribuirà ogni responsabilità al nemico che viene da oriente
(Cina compresa), anche usando strumentalmente gli indubbi crimini
commessi dalla Russia di Putin, per legarci mani e piedi ai voleri e agli
interessi statunitensi.
2. Discorso molto simile
si può fare per la molto probabile accondiscendenza che caratterizzerà i
rapporti con l’Europa, e con quel sistema di vero e proprio controllo
poliziesco per il rispetto delle regole e delle logiche neo liberiste che
costituisce ormai l’anima stessa del funzionamento della UE e della sua banca
centrale. Strano destino (ma non troppo) di asservimento al più forte, per una
destra a presunta vocazione sovranista, che quando era lontana dalle stanze del
potere non mancava di alimentare la propria propaganda con l’idea di essere
loro, e solo loro, i veri paladini dei nostri “interessi nazionali.
Evidentemente quando si sta seduti nei posti di comando le prospettive devono
cambiare.
C’è tuttavia un aspetto, purtroppo assolutamente non secondario,
prevalentemente di politica interna, per cui il nuovo esecutivo si distinguerà
(in peggio) da quelli che lo hanno preceduto, e che riguarderà la
questione del rispetto dei diritti civili e umani.. E’ quasi certa una forte
stretta, anche dichiarata e rivendicata, nel respingimento dei migranti, anche
a costo di accentuare fortemente quella che è già da tempo una immane
catastrofe umanitaria. Per quanto riguarda invece altre questioni, che vanno
dal diritto d’aborto ad un insieme di diritti maturati in tempi più recenti
(unioni e adozioni omosessuali, fine vita ecc.) è probabile che il nuovo
esecutivo, sondando gli umori prevalenti nell’opinione pubblica, si comporti
ora rivendicando posizioni estreme e attaccando in modo esplicito, altre volte
agendo in modo subdolo e con ambigue giustificazioni.
In ogni caso, è un identitarismo fortemente regressivo,
reazionario e tradizionalista, spesso, ma non sempre, di matrice vetero
cristiana, e con effettive venature neo fasciste, che caratterizza oggi le
destre, in Italia come in genere in occidente, come propria cifra costitutiva.
Al contrario l’asservimento ai dettami del capitalismo finanziario e la fede
atlantista, come abbiamo visto, sono (dis)valori che le destre condividono con
le finte sinistre, che si pretendono progressiste.
Malgrado nel nostro paese la vittoria delle destre sia stata
fortemente agevolata da una assurda legge elettorale, non va affatto
sottovalutata la capacità di penetrazione che la chiusura identitaria ha, e
potrebbe ancora di più avere in futuro, anche negli strati popolari più
marginali e impoveriti. Il marcare in senso prevalentemente difensivo e di
chiusura verso l’esterno e il nuovo, il proprio spazio fisico e culturale è una
tipica risposta che si può produrre in tempi di crisi e con lo sgretolarsi
delle antiche certezze, nella incapacità di trovare nuove strade da percorrere
per superare le difficoltà presenti. Rifugiarsi in un passato mitico e
inventarsi presunti nemici che ci allontanano da esso, può sembrare a volte la
strada più facile da percorrere. Anche questo è in fondo un effetto della crisi
della sinistra e del venir meno della fiducia verso quelle prospettive di
radicale mutamento dell’esistente che la caratterizzavano.
Credo che la sinistra radicale debba oggi accettare la sfida, senza
tuttavia fare dello scontro su credenze e valori una questione di astratto
disquisire di tipo intellettuale. E sempre dai bisogni concreti e dalle
prospettive del loro possibile appagamento che bisogna partire, anche per
cambiare il modo di pensare della gente.
La guerra e l’inflazione sono le grandi questioni del momento.
Mobilitarsi per la pace e creare un grande movimento che rivendichi l’immediato
ripristino della scala mobile. Questo è il modo migliore di essere anti
fascisti oggi. Non sarà facile. A volte si ha la sensazione di una
scollatura e di una distanza tra le lotte per i diritti umani e civili con le
lotte per il reddito e il salario, e in generale per la difesa delle condizioni
materiali di vita.
3. Come previsto il
governo Meloni ne sta combinando, e ne combinerà, di tutti i colori. Assoluta
continuità con la “agenda Draghi” in politica estera, che prevede supina
accettazione della guerra e dei comandi della NATO e dell’Europa, ma al
contempo una politica interna caratterizzata da un attacco, che si annuncia
senza precedenti nella storia della Repubblica, alle libertà e ai diritti umani
e civili.
E’ necessario che i movimenti e la sinistra radicale ribattano
colpo su colpo, a difesa delle nostre garanzie costituzionali, contro l’azione
di fatto “eversiva” da parte dell’esecutivo. Ma attenzione a non cadere in
quella che definirei “la trappola dei diritti”. Che
significa?
La logica della governance neo liberista si fonda
sulla netta separazione tra economia e politica. L’economia viene regolata (almeno
in apparenza) esclusivamente dal libero mercato senza ingerenze da parte della
politica, a cui spetta invece di occuparsi dei diritti (e ovviamente, e
soprattutto, dei doveri) dei cittadini. Questa logica va ribaltata! La sinistra
radicale e i movimenti devono essere capaci di coniugare libertà e uguaglianza,
difesa dei diritti e lotta per la difesa dei salari e del reddito, in una
sintesi non sempre facile, e raramente riuscita nel passato più o meno recente.
Credo che il programma a breve debba essere fondato su tre
fondamentali parole d’ordine: Difesa dei diritti; No alla guerra;
Difesa dei salari e del reddito. E’ su quest’ultimo punto che vorrei
brevemente soffermarmi, dando provvisoriamente per scontati i primi due.
Battersi per l’uguaglianza sociale significa oggi sostenere alcuni
fondamentali obiettivi come il “salario minimo orario” e
la lotta al caro bollette. C’è tuttavia una questione di cui si
parla pochissimo e che è invece, a mio parere, la questione principale: Il
ripristino della scala mobile. La ragione di questa dimenticanza sta
probabilmente nella idea del mainstream dominante per cui l’inflazione è
il peggiore dei mali e va combattuta col rialzo dei tassi d’interesse, mentre
adeguare redditi e salari all’aumento dei prezzi non farebbe che agevolarla e
farla crescere. Menzogna! L’inflazione è un terreno di scontro sociale,
in cui si ridefinisce la distribuzione della ricchezza. Da una parte
governi e banche centrali che bloccando redditi e salari e provocando,
attraverso l’aumento dei tassi d’interesse, spinte fortemente recessive, si
pongono l’obiettivo di fare pagare gli effetti della crisi esclusivamente ai
ceti sociali più poveri e de-privilegiati. Dalla parte opposta la lotta, come
minimo, dovrebbe essere quella della difesa ad oltranza del potere d’acquisto
dei lavoratori e delle famiglie. Ma immettendo liquidità non cresce
ulteriormente l’inflazione? No! Se come nel caso attuale l’inflazione non nasce
certo da un eccesso di domanda.
Un’ultima questione, ma di vitale importanza. La scala mobile
classica (quella sancita negli anni settanta) metteva al centro il recupero del
potere d’acquisto dei salari. Oggi è venuta meno la centralità del lavoro
salariato contrattualizzato, a causa dell’aumento del lavoro precario e
irregolare, insieme al crescere della disoccupazione, permanente o saltuaria, e
all’aumento della povertà e dell’esclusione sociale. Date le attuali
condizioni, la nuova scala mobile non dovrebbe mettere al centro il recupero
salariale ma una più equa distribuzione basata sul reddito. Questo significa
pensare una scala mobile sociale ed egualitaria. Significa che
il recupero completo dell’inflazione non va fatto su base individuale, rispetto
al proprio salario, ma distribuendo a pioggia una cifra calcolata sulla base del
reddito medio disponibile degli italiani. Esempio (approssimativo nelle cifre):
considerato che il reddito medio è intorno ai 25.000 euro e l’inflazione
intorno al 12%, a fine anno andrebbero distribuiti a pioggia 3000 euro nelle
tasche di tutti i cittadini, poveri e disoccupati compresi. Se la cifra totale
vi pare troppo grande, si può sempre pensare ad una patrimoniale sulle grandi
ricchezze, o ad una tassa sui super profitti delle multinazionali, o anche
pensare che la cifra di 3000 euro sia progressivamente ridotta per i redditi
più alti, fino ad essere azzerata, per esempio per i redditi superiori a
50.000/60.000 euro.
Al di là delle cifre (date qui per puro esempio), ciò che conta è
l’idea guida, per cui la lotta all’inflazione, da lotta
puramente difensiva può trasformarsi (almeno in linea
ipotetica e dati i giusti rapporti di forza da creare) da momento
puramente difensivo a battaglia d’avanguardia per una radicale redistribuzione
della ricchezza a favore dei lavoratori e dei ceti più poveri.
Il
contributo che presentiamo riprende due articoli pubblicati sulle pagine di
Pressenza