-Sandro Mezzadra -
ESTRATTO DA PER UNA NUOVA POLITICA DELLA COALIZONE
Nel nuovo quadro che oggi si presenta (ribadisco: per via dell’azione dei movimenti transfemministi e dei movimenti per le “vite nere”), l’intersezionalità torna tuttavia al centro del dibattito politico. Un contributo importante per orientarsi all’interno di questo dibattito è offerto da un libro recente di Ashley J. Bohrer, Marxism and Intersectionality. Race, Gender, and Sexuality Under Contemporary Capitalism (Transcript, 2019, pp. 279, euro 20,99). Bohrer rilegge la “tradizione intersezionale” dal punto di vista delle critiche che le sono state rivolte dal marxismo, accogliendone alcune ma soprattutto proponendo una lettura in chiave intersezionale di essenziali categorie marxiane. Più in generale, il libro è sostenuto da una forte tensione politica, che conduce l’autrice a riformulare in modo molto interessante nell’ultimo capitolo i principi di fondo di una politica della solidarietà e della coalizione.
Bohrer si oppone a stilizzazioni spesso caricaturali tanto del marxismo quanto dell’intersezionalità, per fare emergere una pluralità di posizioni tra cui è possibile e necessario instaurare un dialogo. Mostra poi in particolare come la genealogia dell’intersezionalità si intrecci con la lunga storia del femminismo nero e in particolare con il dibattito che si svolse all’interno del Partito comunista statunitense negli anni Trenta e Quaranta a proposito della specificità della condizione della donna nera: è in questo dibattito che furono originariamente introdotti concetti quali “triplo sfruttamento” (Louise Thompson) e “supersfruttamento” (Claudia Jones). Questi concetti continuarono a circolare all’interno del femminismo radicale statunitense, e furono riformulati da organizzazioni come la “Third World’s Women Alliance” e il “Combahee River Collective”, che negli anni Sessanta e Settanta posero le basi per l’emergere del concetto di intersezionalità.
La preistoria dell’intersezionalità è dunque caratterizzata da un’impronta militante e da un profondo intreccio tra femminismo nero e marxismo. Altri femminismi (quello chicano, ad esempio) sarebbero successivamente intervenuti ad arricchire il quadro. Già nelle formulazioni che si sono richiamate, in ogni caso, emergevano problemi che sarebbero rimasti al centro della discussione sull’intersezionalità. Si prenda ad esempio la nozione di “triplo sfruttamento” – ovvero l’idea che le donne nere siano sfruttate come lavoratrici, come donne e come nere: qual è il rapporto tra questi diversi regimi di sfruttamento? E ancora: possiamo parlare di sfruttamento a proposito di sessismo e razzismo, o dovremmo introdurre un altro termine, “oppressione”? Possiamo infine assumere le donne nere della classe operaia come un soggetto omogeneo o dovremmo piuttosto considerare le differenze al loro interno? Le domande si potrebbero moltiplicare.
Uno dei meriti del libro di Bohrer consiste nel fatto che offre un’analisi molto ricca, e sempre politicamente orientata, dei dibattiti che a partire da queste e altre domande si sono sviluppati all’interno della tradizione intersezionale, dando luogo ad esempio a una categoria come “matrice di dominazione” (Patricia Hill Collins). Fondamentale è per lei in ogni caso il fatto che l’intersezionalità “sottolinea l’inseparabilità delle diverse forme di oppressione, criticando ogni approccio che assuma la prospettiva di un pensiero del ‘singolo asse’”. Si tratta dunque di fondare teoricamente questa inseparabilità, compito che Bohrer svolge – sulla base di un impegnato confronto critico con la tradizione marxista – ripensando il concetto di capitalismo a partire dalla dialettica di omogeneità e differenza che lo costituisce.