Scherzoso ma
generalmente preciso
Un libro che spiega come mettere in
tensione produttiva teoria astratta
e linguaggio comune e dialettale,
divertendo i lettori
La questione di fondo
posta trasversalmente dal libro è: come tradurre filosofia in vita? Anzi, come
articolare il linguaggio tecnico della filosofia con la lingua corrente e la
sua sottospecie coatta, in pratica con le tipologie di classe, generazionali e
regionali dell’esperienza comune (la dico strana, ma ci siamo capiti). Cosa non
regge in questa traduzione e quanto è legittimo, tollerabile, uno scarto
eccessivo di senso? Una volta immerso nell’acido corrosivo della coattaggine,
quello che sopravvive è buono e gestibile, una parte invece andrà scartata. E
di sicuro una filosofia con più miti pretese rimane un gioco linguistico valido
all’interno della lingua di tutt*, cercando per metafore e metonimie di
individuare gli appigli “grammaticali” comuni, le fondamenta infondate della
speculazione teorica, cioè le forme di vita.
Wittgenstein («un
misto di grazia e potenza» lo definisce il Manuale) non si scostava molto da
questo approccio di messa a prova del rapporto tra filosofia e linguaggio
comune, quando scriveva, verso il termine della sua vita: «Siedo in giardino
con un filosofo. Quello dice ripetute volte: “Io so che quello è un albero”, e
così dicendo indica un albero nelle nostre vicinanze. Poi qualcuno arriva e sente
queste parole, e io gli dico: “Quest’uomo non è pazzo: stiamo solo facendo
filosofia”» (Della Certezza, § 467). Quel “sapere” immediato (e coatto) è
un’ingenuità filosofica se pretende di essere una dimostrazione, laddove
dimostra soltanto la nostra internità a un sistema di convivenza, a un gioco
linguistico in cui alcune regole sono infondate ma necessarie per giocare.
Giulio Armeni, Manuale di filosofia coatta, Edizioni Momo
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