Salvatore Cominu
Il voto di protesta o “populista” non va letto
come sostituto funzionale della lotta
Perché la Lega ha guadagnato tutti questi voti?
Perché il M5S li ha persi?
La Lega è in grado di consolidare e stabilizzare questo
consenso?
Questi gli interrogativi a cui Cominu tenta una risposta, sintetizzata nel titolo dell’articolo dato dalla nostra testata, richiamando le conclusioni dello stesso:
"La variabile in grado di sparigliare il quadro, la sola che potrebbe riaprire su scala allargata una contesa sulla gestione della crisi, sarebbe l’irrompere di conflitti in grado di combinare nuova questione salariale e temi della riproduzione sociale"
Il M5S ha subito un calo di consensi impressionante; ci andrei
cauto nel pronosticare una imminente estinzione (a meno di cause “endogene”),
ma sono in un cul de sac, al punto che qualsiasi scelta possano compiere, nel
breve sono destinati a pagarla. Perché hanno perso così? Non mi convince la
tesi del tradimento del progetto originario. Né quella simile, per cui pagano
l’atteggiamento accondiscendente verso la Lega. Può darsi, vorrei in fondo
sperarlo. Nei due mesi precedenti le elezioni, però, i 5S compiono una svolta
comunicativa, si contrappongono alla Lega, “dicono cose di sinistra”, ma non è
che da ciò siano stati premiati, anzi! Il “tradimento” ci sarà anche stato, ma
non mi pare la spiegazione principale. A me sembra che l’elettore pragmatico di
cui si è detto, presti viceversa molta attenzione al “potere positivo”, la
capacità di concretizzare, la credibilità di attuatore. Ad esempio, il M5S ha
fatto del reddito di cittadinanza una bandiera, ma la traduzione pratica e la
sua attuazione sono abbastanza deludenti, per quanto poi occorra chiedersi come
sia percepita da chi ne beneficia; al Nord sono diventati una forza sotto il
10%, al Sud hanno perso molti voti ma sono tuttora il primo partito. Credo che
se al governo non ti dimostri capace di mettere in pratica le politiche
redistributive promesse, se manifesti insipienza, finisci per apparire
destabilizzante per la composizione che ti vota più che per i poteri che
dichiaravi di voler mandare a casa. Quel ceto medio declassato e i settori
popolari che ne hanno sostenuto la fase ascendente, non è una composizione
votata al conflitto. Il voto di protesta o “populista” non va letto come
sostituto funzionale della lotta. Se usiamo come chiave di fondo l’uso
pragmatico del voto, chi “vince” deve confrontarsi con la capacità di fare. I
5S non dimostrano capacità “realizzativa”, né a livello locale (a Torino stanno
in fondo facendo cose non dissimili dai predecessori) né su scala nazionale.
Questo pone in secondo piano anche gli elementi positivi o almeno ambivalenti
che hanno introdotto nel dibattito. Posso dire che decreto dignità, reddito di
cittadinanza e salario minimo siano proposte insufficienti o che producono
effetti perversi, ma non posso ignorare come siano criticati soprattutto dal
mondo imprenditoriale o dal sindaco di Gabicce (quello che “non si trovano più
bagnini” perché i meridionali col reddito preferiscono non lavorare).
Certamente, il fallimento M5S consegna un problema; il messaggio, forte e
chiaro, per cui ai vincoli di bilancio e al primato degli interessi dominanti
non possono darsi alternative. Più in generale, la capacità di realizzare,
oggi, è in apparenza del tutto in mano al capitale, che si propone come solo
motore in grado di fornire soluzioni pratiche ai problemi degli individui e delle
comunità, si vedano ad esempio le retoriche con discreto appeal della green
economy e del social impact, attraverso l’impresa e la forma-merce. L’idea che
si possa ottenere qualcosa per via politica è bandita; il che ci riporta alla
grande questione del conflitto e alla sua assenza.
Cosa succederà ora?
È difficile azzardare previsioni nel breve. Non credo ad una
improbabile (al limite è più facile che si spacchino) svolta del M5S, magari
intorno a Fico, né che un ritorno alle origini possa riportarli in auge. Ciò
non significa che siano destinati a scomparire. Però difficilmente riusciranno
a superare l’impasse. Se escono dal governo devono dichiarare fallimento.
Stando al fianco di Salvini, ne diventano
il partner subalterno. Si andrà avanti finché alla Lega converrà avere dei
consorziati, ma prima o poi vorrà ratificare appieno il suo consenso. Votare
conviene anche ad altri (allo stesso Zingaretti), anche se non è detto che il
partito del Presidente – a cui vanno ascritti Conte e Tria – sia disposto ad
assecondare queste spinte. Il medio
periodo dipenderà anche dall’evoluzione della situazione economica, ossia dal
ripresentarsi della crisi in forma di recessione conclamata o di crescita zero,
in cui siamo già inseriti. In realtà, una fase recessiva è ormai data per
certa, ma il contesto è profondamente mutato, le risorse scarseggiano e
difficilmente economie come quella cinese potranno funzionare, come fecero dopo
il 2008, come polmoni per il rilancio della produzione mondiale. È chiaro che questo scenario potrebbe saldare
l’instabile legame di parti importanti dei settori colpiti dalla crisi con la
Lega di Salvini. Non si può sottovalutare la possibilità che il risentimento di
questi ceti dal voto pragmatico, infatti, possa stabilizzarsi in una
prospettiva apertamente nazionalista. Non è tuttavia un progetto semplice
neanche per la Lega, se si parte dal presupposto che il processo di ritirata
del ceto medio abbia prodotto una
frattura, nel senso della fine della co-appartenenza culturale,
simbolica, ideologica, tra questi strati, che formano una parte significativa
della condizione proletaria odierna, e le classi dominanti. Il problema è che
questa frattura sembra produrre ancor più individualizzazione, piuttosto che
ricomposizione.:, come credo si possa definire il
movimento dei gilet jaunes, possibilmente in una dimensione non solo nazionale.
I movimenti non si possono pianificare o prevedere, anche se si possono in
qualche modo anticipare e “organizzare”.
per
la lettura integrale delle considerazioni di Salvatore Cominu “ Il consumo
volubile della merce voto” →COMMONWARE