Andrea Fumagalli, Stefano Lucarelli
Elena Musolino, Giulia Rocchi
Andrea Fumagalli, Stefano Lucarelli
Elena Musolino, Giulia Rocchi
Il digital labour all’interno dell’economia delle piattaforme
gli algoritmi di seconda generazione
permettono processi di automazione
senza precedenti nella storia dell’umanità
Nonostante lo scoppio
della bolla Internet alla fine degli anni ’90, la diffusione delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione (ICT) continua a segnare gli anni 2000.
Soprattutto negli ultimi anni abbiamo assistito ad una significativa
accelerazione tecnologica
Diversi settori sono stati colpiti. Si tratta di industrie che hanno sempre più a che fare con la gestione della vita umana (ad esempio, lo Human Genome Project, iniziato nel 1990 e conclusosi nel 2003, ha aperto enormi spazi nella possibilità di manipolazione della vita individuale e della sua procreazione [1]). Come sottolineato da Robert Boyer “questo tipo di modello di crescita è un’estensione della continua trasformazione che è proseguita a partire dalle potenzialità dell’economia dell’informazione” [2]. Se il paradigma tecnologico dell’ICT ha colpito duramente i livelli occupazionali nell’industria manifatturiera, la nuova ondata biotecnologica rischia di avere effetti ancora maggiori sui settori terziari tradizionali e avanzati, che negli ultimi decenni hanno svolto un ruolo compensativo contro la perdita di posti di lavoro nei settori tradizionali.
Diversi settori sono stati colpiti. Si tratta di industrie che hanno sempre più a che fare con la gestione della vita umana (ad esempio, lo Human Genome Project, iniziato nel 1990 e conclusosi nel 2003, ha aperto enormi spazi nella possibilità di manipolazione della vita individuale e della sua procreazione [1]). Come sottolineato da Robert Boyer “questo tipo di modello di crescita è un’estensione della continua trasformazione che è proseguita a partire dalle potenzialità dell’economia dell’informazione” [2]. Se il paradigma tecnologico dell’ICT ha colpito duramente i livelli occupazionali nell’industria manifatturiera, la nuova ondata biotecnologica rischia di avere effetti ancora maggiori sui settori terziari tradizionali e avanzati, che negli ultimi decenni hanno svolto un ruolo compensativo contro la perdita di posti di lavoro nei settori tradizionali.
Lo sviluppo di algoritmi di seconda generazione [3]
permette un processo di automazione senza precedenti nella storia dell’umanità.
Applicati alle macchine utensili, attraverso le tecnologie informatiche e le
nanotecnologie, sono in grado di trasformarle in strumenti e mezzi di
produzione sempre più flessibili e duttili. Gli algoritmi di seconda
generazione si differenziano dalla prima generazione per la loro natura
cumulativa di auto-apprendimento, configurando così un nuovo rapporto tra uomo
e macchina. Infatti, dopo la prima fase di implementazione e creazione, grazie
al comportamento umano, sono in grado di operare in una condizione quasi totale
di automazione (machine learning). Le tecnologie attuali, tuttavia, non
possono operare senza l’accelerazione (rispetto al recente passato) del grado
di raccolta e manipolazione di una grandissima quantità di dati in spazi sempre
più ristretti e con una velocità sempre maggiore. Già nel 2011, una ricerca del
McKinsey Global Institute ha esaminato lo stato dei dati digitali e ha
riconosciuto il grande potenziale di valore economico che questi possono
creare:
“Ci sono cinque grandi modi in cui l’utilizzo dei big
data può creare valore. In primo luogo, i big
data possono sbloccare un valore significativo rendendo le
informazioni trasparenti e utilizzabili a frequenze molto più elevate. In
secondo luogo, poiché le organizzazioni creano e memorizzano più dati
transazionali in forma digitale, possono raccogliere informazioni sulle
prestazioni più accurate e dettagliate su tutto, dalle scorte di prodotti ai
giorni di malattia, rendendo esplicita così la variabilità [dei dati] e
aumentando le prestazioni. Le aziende leader utilizzano la raccolta e l’analisi
dei dati per condurre esperimenti controllati per prendere decisioni gestionali
migliori; altre utilizzano i dati per le previsioni di base a bassa frequenza
per le previsioni ad alta frequenza, che ora stanno lanciando per regolare le
leve di business just in time. In terzo luogo, i big dataconsentono una
segmentazione sempre più stretta dei clienti e quindi prodotti o servizi su
misura in modo molto più preciso. In quarto luogo, un’analisi sofisticata può
migliorare sostanzialmente il processo decisionale. Infine, i big
data possono essere utilizzati per migliorare lo sviluppo
della prossima generazione di prodotti e servizi”.[4]
Come sostenuto da Martin Kenney e John Zysman, tra gli altri,
“la rivoluzione algoritmica e il cloud computing sono le basi dell’economia della
piattaforma. Ma la potenza di calcolo è solo l’inizio della storia. Quella
potenza di calcolo viene convertita in strumenti economici utilizzando
algoritmi che operano sulla materia prima dei dati”. [5]
Nell’economia emergente delle piattaforme digitali, il dato come
output finale, che diviene poi redditizio sui mercati globali della
comunicazione e della pubblicità, dà origine a un “valore di rete” come
risultato di un processo continuo e dinamico di interazione tra il lavoro umano
e linguistico e le infrastrutture digitalizzate (le piattaforme)[6] .
Condizione necessaria (anche se non sufficiente) perché un algoritmo possa
essere sfruttato al massimo della potenza è l’esistenza di un processo di
standardizzazione della catalogazione dei dati necessari in relazione allo
scopo prefissato. Ciò è reso possibile dalle tecniche di manipolazione dei
cosiddetti “big
data“, in particolare le tecniche di analisi e di estrazione di big
data per dati strutturati e non strutturati (comunemente
chiamate “estrazione di dati”), così come spiegato nella letteratura sulla
gestione tecnologica da AmirGandomi e Murtaza Haider [7]. I big
datarappresentano non solo alcuni dei dati più granulari che siano
mai esistiti, generati secondo per secondo da ogni dispositivo e software
connessi al web, ma rappresentano anche uno strumento in grado di cambiare il
significato profondo delle attività umane e in particolare del lavoro umano.
In Platform Capitalism, Nick
Srnicek fornisce uno dei primi interventi di ispirazione marxista nel discorso
sulla digitalizzazione trainata dai dati e sul futuro del lavoro [8]
. Secondo Srnicek, l’evoluzione delle tecnologie di internet ha modificato
radicalmente lo scenario dell’accumulazione di capitale e dei rapporti di
proprietà tra le imprese, e legittima la seguente domanda: l’emergere del
capitalismo delle piattaforme costituisce
una nuova modalità di
sfruttamento? Srnicek offre un quadro innovativo attraverso il quale affrontare
la questione nella sua concezione dei dati come ‘materia prima’, ma la sua
analisi si limita agli effetti delle così dette lean platforms sul
mercato del lavoro.
Da una prospettiva
marxiana, dovrebbero essere considerati altri due problemi:
- In che
cosa consiste il processo di trasformazione delle informazioni personali
in big data?
- E,
inoltre, qual è l’origine del valore nell’economia delle piattaforme?
In questo contributo,
partendo dall’esempio di Facebook, spieghiamo il processo di valorizzazione al
centro del capitalismo delle piattaforme, sottolineando la rilevanza del digital
labour come fonte di valore economico per un numero sempre maggiore di
imprese alimentate dai dati.
L’obiettivo principale
della Sezione 2 è la presentazione del modello di creazione di valore
utilizzato da Facebook. Infatti, la società americana di servizi di social
media online e social networking lanciata da Mark Zuckerberg rappresenta un
esempio di piattaforma pubblicitaria in cui il valore si
basa essenzialmente su un processo di espropriazione delle così dette life skills degli
individui. Nel modo tradizionale, il capitalismo delle piattaforme ha a che
fare principalmente con la soddisfazione di alcuni servizi rivolti ai
consumatori e con la gestione dei settori legati alla logistica delle merci. Le
industrie più colpite riguardano il settore terziario, anche se sono coinvolte
in alcuni aspetti le industrie manifatturiere. Questa prospettiva sembra comune
all’argomentazione di Nick Srnicek e al Report McKinsey sui big data. La loro analisi
del capitalismo delle piattaforme non considera altre caratteristiche rilevanti
del modello economico, in particolare il fatto che le attività umane sulle
piattaforme Internet sono sempre più integrate con gli elementi digitali della
comunicazione e del linguaggio, come sosteniamo nella Sezione 3. È quindi
necessario chiarire la distinzione cruciale tra “labour” e “work” per proporre
una definizione specifica di “digital
labour”, come proponiamo nella Sezione 4 dopo aver discusso il
concetto all’interno del dibattito marxiano. Ci riferiamo in particolare ai
recenti contributi di Christian Fuchs e Sebastian Sevignani (2013) [9]
e e Trebor Scholz (2017) [10], mostrando la
rilevanza delle tendenza al divenire rendita del profitto proposta innanzitutto
da Carlo Vercellone (2010) [67]. La sezione 5 conclude il saggio.
per l le note
bibliografiche e la lettura integrale del saggio collettaneo Il digital labour all’interno
dell’economia delle piattaforme: il caso di Facebook si rinvia a →EFFIMERA
La versione originale inglese di questo saggio
è stata pubblicata sulla rivista Sustainability, giugno 2018