Adelino Zanini
Complementarietà tra pianificazione e sottosviluppo
come funzione del processo di socializzazione capitalistica
La risposta di Serafini e Ferrari Bravo è netta
“sono le
ragioni del suo sviluppo a dettare la sua politica, anche quella nei confronti
delle 'aree depresse' , mai viceversa”
Dunque vinsero i “liberisti”, dunque vinse il
“mercato”, vinse la concezione e la pratica di uno sviluppo fondato ancora
sulla “anarchia delle forze produttive”. Ma come avvenne questo? Come mai su
una ideologia indubbiamente più avanzata e che prometteva uno “sviluppo senza squilibri”
prevalse in fondo la vecchia fede ottocentesca nel sistema “che si
autoequilibra”, cioè la vecchia fede capitalistica di riuscire, con la sola
forza materiale immediata, a dominare la classe operaia riducendola continuamente
a forza lavoro, senza organizzazione, dentro la fabbrica, a “domanda” fuori
della fabbrica? (p. 116).
In breve, in cosa consistette la “svolta del ‘50”? Le risposte –
questo ci dicono LFB e AS – bisogna cercarle non nell’ambito di una cornice
consunta, ma, anzitutto, nel passaggio della società meridionale da un rapporto
di separazione ad uno di integrazione; un
passaggio la cui realizzazione trasforma l’arretratezza in risorsa dello
sviluppo. Pianificazione e sottosviluppo diventano termini complementari, più
che antitetici, perché il sottosviluppo non è solo il “non ancora” sviluppo, e
non è neppure solo il “prodotto” dello sviluppo. «Esso è una funzione dello
sviluppo capitalistico: una sua funzione materiale e politica. Ciò che,
determinandosi, significa: funzione del processo di socializzazione capitalistica,
della progressiva costituzione del “socialismo” del capitale. Sviluppo è
infatti quello del potere capitalistico sulla società nel suo
insieme, nel suo “governo” della società – del suo stato» (p. 29). Nello specifico,
il sottosviluppo non è quindi tanto un mancato incremento nel tempo del
prodotto pro capite – frutto perverso di un dualismo economico insanabile [V. Lutz,London 1962] –, quanto una funzione di
piano dietro la quale vi è non l’“anarchia delle forze produttive”, bensì la
sintesi statuale esercitata per mezzo degli istituti di programmazione.
Riforma agraria e istituzione della Cassa per il Mezzogiorno
(agosto ’50) furono gli strumenti che meglio riuscirono a «battere la carica
eversiva che le lotte esplose nelle campagne avevano manifestato» p. 124). Di
qui in avanti, la possibilità di usare il “fenomeno migrazione” a fini di
profitto fu garantita. Il tratto congiunturale dei provvedimenti non può
essere negato; ma, dal ’50 in poi, «il filo rosso che collega l’intervento
straordinario è la progressiva concentrazione dell’esercizio della funzione di
mediazione politica negli organi statali o, meglio ancora, governativi, rappresentati
dalla Cassa e dall’insieme degli altri istituti che a essa fanno capo» (p.
125). I contatti con gli avamposti di un ampio esercito industriale di
riserva erano stabiliti.
Il paradosso che si può insinuare è chiaro: dove starebbe
l’interesse capitalistico a pianificare l’arretratezza? La risposta degli
autori è però pronta: «Quando mai il capitale ha fatto suo il punto di vista
dell’arretratezza? Sono le ragioni del suo sviluppo a dettare la sua politica,
anche quella nei confronti delle “aree depresse”, mai viceversa» (p. 127).
Detto altrimenti, ciò che va sottolineato non è tanto il riemergere
dell’emigrazione e della mobilità come tratti specifici della società
meridionale, quanto il fatto «che esse vengono, questa volta, per la prima
volta, sottoposte ad un controllo sia pure indiretto, dello
stato – ad una organizzazione di governo sia pure “sui
generis”» (p. 46). Un controllo che, fino al ’57, si esercita effettivamente e
con efficacia sulla forza lavoro ridotta a funzione sul “mercato del lavoro”;
sino a che, in sostanza, con la Legge n. 634 del 29 luglio 1957, si cercherà
di definire gli opportuni provvedimenti per l’industrializzazione del
Mezzogiorno, resi necessari e più urgenti dai fenomeni migratori perduranti e,
ora, anche soggettivamente connotati. La nozione marxiana di esercito
industriale di riserva si rivelava, a questo punto, molto più problematica,
perché soggettivamente ambivalente – caratteristica su cui LFB
e AS insistono e di cui rendono conto adeguatamente.
In effetti, un ciclo andava chiudendosi, la pressione estera
diventava più forte, i vantaggi comparati dell’industria italiana erano via
via ridotti dal progresso tecnologico d’oltralpe. In questo passaggio, è tutta
la strumentazione istituzionale dell’intervento che fa un salto in avanti.
Nuovi soggetti partecipano alla gestione dell’arretratezza: sono le industrie
pubbliche e i consorzi industriali, rispetto ai quali, il Comitato dei Ministri
per il Mezzogiorno assume la funzione di mediatore politico diretto. La
gestione dell’arretratezza è sempre più gestione dell’integrazione, è risorsa
dello sviluppo, con a fronte, tuttavia, una forma-salario sempre meno remunerazione
del lavoro e sempre più «variabile strategica, centrale, politica dell’accumulazione
capitalistica» (p. 146).
dalla Prefazione di
“Stato e sottosviluppo”,Ombre Corte, 2007