mercoledì 17 aprile 2019

“STATO E SOTTOSVILUPPO”. IN COSA CONSISTETTE LA “SVOLTA DEL ‘50”?


  Adelino Zanini 

Complementarietà tra pianificazione e sottosviluppo 
 come funzione del processo di socializzazione capitalistica

Dove starebbe l’interesse capitalistico a pianificare l’arretratezza?
 La risposta di Serafini e Ferrari Bravo è netta  
“sono le ragioni del suo sviluppo a dettare la sua politica, anche quella nei confronti delle 'aree depresse' , mai vice­versa”  

Una “poli­tica di piano” senza pianificatori?
Dunque vinsero i “liberisti”, dunque vinse il “mercato”, vinse la concezione e la pratica di uno sviluppo fondato ancora sulla “anarchia delle forze produttive”. Ma come avvenne questo? Come mai su una ideologia indubbiamente più avanzata e che prometteva uno “sviluppo senza squilibri” prevalse in fondo la vecchia fede ottocentesca nel sistema “che si autoequilibra”, cioè la vecchia fede capitali­stica di riuscire, con la sola forza materiale immediata, a dominare la classe operaia riducendola con­tinuamente a forza lavoro, senza organizzazione, dentro la fab­brica, a “domanda” fuori della fab­brica? (p. 116).
In breve, in cosa consistette la “svolta del ‘50”? Le risposte – questo ci dicono LFB e AS – bisogna cercarle non nell’ambito di una cornice consunta, ma, anzitutto, nel passaggio della società meridionale da un rapporto di separazione ad uno di inte­grazione; un passaggio la cui realizzazione trasforma l’arretratezza in risorsa dello sviluppo. Pianificazione e sottosviluppo diventano termini complementari, più che antitetici, perché il sottosviluppo non è solo il “non ancora” sviluppo, e non è nep­pure solo il “prodotto” dello sviluppo. «Esso è una funzione dello sviluppo capi­tali­stico: una sua funzione materiale e politica. Ciò che, determinandosi, significa: fun­zione del processo di socializzazione capitalistica, della progressiva costituzione del “socialismo” del capitale. Sviluppo è infatti quello del potere capitalistico sulla so­cietà nel suo insieme, nel suo “governo” della società – del suo stato» (p. 29). Nello speci­fico, il sottosviluppo non è quindi tanto un mancato incremento nel tempo del prodotto pro capite – frutto perverso di un dualismo economico insanabile [V. Lutz,London 1962] –, quanto una funzione di piano dietro la quale vi è non l’“anarchia delle forze produt­tive”, bensì la sintesi statuale esercitata per mezzo degli istituti di programmazione.
Riforma agraria e istituzione della Cassa per il Mezzogiorno (agosto ’50) furono gli strumenti che meglio riuscirono a «battere la carica eversiva che le lotte esplose nelle campagne avevano manifestato» p. 124). Di qui in avanti, la possibilità di usare il “feno­meno migrazione” a fini di profitto fu garantita. Il tratto congiunturale dei provvedi­menti non può essere negato; ma, dal ’50 in poi, «il filo rosso che collega l’intervento straordinario è la progressiva concentrazione dell’esercizio della fun­zione di media­zione politica negli organi statali o, meglio ancora, governativi, rap­presentati dalla Cassa e dall’insieme degli altri istituti che a essa fanno capo» (p. 125). I con­tatti con gli avam­posti di un ampio esercito industriale di riserva erano stabiliti.
Il paradosso che si può insinuare è chiaro: dove starebbe l’interesse capitalistico a pianificare l’arretratezza? La risposta degli autori è però pronta: «Quando mai il ca­pitale ha fatto suo il punto di vista dell’arretratezza? Sono le ragioni del suo sviluppo a dettare la sua politica, anche quella nei confronti delle “aree depresse”, mai vice­versa» (p. 127). Detto altrimenti, ciò che va sottolineato non è tanto il riemergere dell’emigrazione e della mobilità come tratti specifici della società meridionale, quanto il fatto «che esse vengono, questa volta, per la prima volta, sottoposte ad un controllo sia pure indiretto, dello stato – ad una organizzazione di governo sia pure “sui generis”» (p. 46). Un controllo che, fino al ’57, si esercita effettivamente e con effica­cia sulla forza lavoro ridotta a funzione sul “mercato del lavoro”; sino a che, in so­stanza, con la Legge n. 634 del 29 luglio 1957, si cercherà di definire gli opportuni provvedimenti per l’industrializzazione del Mezzogiorno, resi necessari e più urgenti dai fenomeni migratori perduranti e, ora, anche soggettivamente connotati. La no­zione marxiana di esercito industriale di riserva si rivelava, a questo punto, molto più problematica, perché soggettivamente ambivalente – caratteristica su cui LFB e AS insistono e di cui rendono conto adeguatamente.
In effetti, un ciclo andava chiudendosi, la pres­sione estera diventava più forte, i vantaggi comparati dell’industria ita­liana erano via via ridotti dal progresso tecnolo­gico d’oltralpe. In questo passaggio, è tutta la stru­mentazione istituzionale dell’in­tervento che fa un salto in avanti. Nuovi soggetti partecipano alla gestione dell’ar­retratezza: sono le industrie pubbliche e i consorzi industriali, rispetto ai quali, il Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno as­sume la funzione di mediatore politico diretto. La gestione dell’arretratezza è sempre più ge­stione dell’integrazione, è ri­sorsa dello sviluppo, con a fronte, tuttavia, una forma-salario sem­pre meno remune­razione del lavoro e sempre più «va­riabile strategica, centrale, poli­tica dell’accu­mulazione capitalistica» (p. 146).

dalla Prefazione di “Stato e sottosviluppo”,Ombre Corte, 2007