Michele Ambrogio
non sapremmo cosa sia esattamente
una vera democrazia o il comunismo
ma possiamo intuire facilmente
quando manchino
\ gli universali marxiani sono astrazioni determinate in una conflittualità che
non è mai completamente iscritta nella forma del rapporto di scambio
\
il valore del lavoro è un eccesso che non si riduce alla sua rappresentazione
monetaria
\
un universale assente è un particolare che si lega ad altri particolari
rappresentandone proprio la dimensione non meramente fattuale
\ognuno di questi
particolari può funzionare da universale in modo contingente, se ne
consideriamo la diacronia, la sequenza storica
Quella di Lacan è una fortuna retrospettiva, che, conseguentemente, si presta all’infedeltà delle tradizioni. È il caso dell’espressione “significante vuoto”, a lui attribuita, oggi spesso associata ad un altro termine, anch’esso usato come un passe par tout: populismo. In Italia, di questa rilettura sommaria è stato recente artefice Marco Revelli (La fine della politica, Einaudi, 2019). Il suo Lacan è un esempio di “recalcatismo” di sinistra. Più meditato il collegamento a Lacan nei lavori di E. Laclau e C. Mouffe; di quest’ultima soprattutto, si parla oggi, grazie al suo fortunato, e malinteso, Per un populismo di sinistra (vedi NOTEBLOCK).
Facile
fraintendere l’espressione significante vuoto o fluttuante (Laclau preferiva,
spero sia chiaro in fondo perché, “vuoto” a fluttuante o equivoco): anche nel
linguaggio corrente un discorso che gira attorno al vuoto, “una parola priva di
contenuto”, è una sorta di specchietto per le allodole. Come ad esempio
sarebbero oggi il popolo, l'identità o la sovranità nazionale nella dilagante
retorica delle destre. Ecco che allora il cerchio si chiuderebbe senza dover
perder tempo a studiare strutturalisti o semiologi: in assenza di un movimento
reale alternativo al sistema capitalistico, le destre avanzano, usando una
retorica vuota e fallace, buona per gli “ottentotti”. La riproposizione di un argomento
antico, quello dell’esercito di riserva, con la nostalgia per la cara estinta
classe operaia di una volta, mossa consolatoria e nostalgica, sono un
corollario inevitabile. Senza pretendere di essere neanche lontanamente
esaustivo, cercherò di indicare dei crocevia, utilizzando il significante vuoto
e il populismo come posizioni approssimative di campi o programmi di ricerca.
Parto dal primo, il significante vuoto, o fluttuante, un'espressione (Levi
Strauss chiamò così il “mana”) con "valore simbolico zero", che già
nel primo strutturalismo era vista come necessaria per "permettere al
pensiero simbolico di operare nonostante la contraddizione ad esso inerente" (Jeffrey
Mehlman, The "Floating Signifier”: From Lévi-Strauss to Lacan, Yale French
Studies, No. 48, French Freud: Structural Studies in Psychoanalysis, 1972).
Nella
psicanalisi secondo Lacan, il significante vuoto è piuttosto il significante di
un’assenza, un punto cieco nella significazione che articola il discorso del
soggetto. Nella rilettura che Lacan fa di Freud, questo significante è il
fallo, il segno che opera simbolicamente nel contesto della castrazione,
rinviando all’oggetto immaginario del desiderio dell’Altro. Non articolo quella
che è una logica della parte e del tutto in relazione ad un valore simbolico,
un complemento immaginario ed una mancanza di significato reale. Mi limito a
sottolineare che è solo separandolo dal corpo che il fallo può funzionare come
regia del tutto. Se associamo al fallo, come significante o funzione, l’organo,
anch’esso è parte, non tutto, né semplice elemento o parte del tutto, né “parte
per il tutto”, secondo una definizione della metonimia che andrebbe rivista (cfr. G. B. Contri,
Opera Omnia, Nozioni fondamentali nella teoria della struttura di J. Lacan, II,
pp.28 e sgg.). Nel
linguaggio, è la metonimia ad assicurare quella funzione di parzialità che
nell’inconscio, “strutturato come un linguaggio”, è ripresa dal significante
metonimico fallico. La cosa notevole è che la struttura si articola a partire da
un insuccesso, una significazione mancata, un impossibile reale, che
ciononostante assegna posizioni, valori differenziali ai segni che un
significato lo avranno solo a partire dalla regia di un significante padrone o
vuoto. Sembra difficile, ma è banale: una donna non ha il fallo, ma può far
dono di un figlio (un fallo immaginario) a un uomo (che lo riconoscerà
simbolicamente dandogli un nome proprio). Quell’uomo, col suo riconoscimento
simbolico, dimostrerà la realtà del suo desiderio, lui che il fallo lo ha ma
solo a condizione di assoggettarsi alla legge della castrazione simbolica; cioè
lo ha solo se accetta il rischio di perderlo, vietando a se stesso la
soddisfazione del desiderio della madre. Il fallo quindi come supplente di una
mancanza che produce effetti di senso, e inceppi o nodi che possono
articolarsi. Non entro ovviamente nel merito, limitandomi a sottolineare come
nessuno dei segni che entrano in gioco nella struttura (padre, madre, figlio)
abbia un significato proprio che non sia meramente differenziale; il fallo, il
significante di una mancanza, inoltre ha un valore che è simbolico perché
operativo, è una funzione, o se si preferisce un performativo; il soggetto si
definisce solo come resto di queste operazioni (o tempi, come in un dramma). Il
fallo, come significante ha un privilegio reale, contingente ma necessario ex
post, perché soccorre nell’emergenza di un contesto non padroneggiato. La
struttura è quella patriarcale, storicamente determinata, ma proprio a partire
da quel particolare contingente delimitato come campo della differenza
sessuale, quell’operazione condotta dal significante dell’assenza è necessaria.
Finché la struttura tiene (cfr.
J. Lacan, Scritti, Einaudi, Torino, 1974: “La significazione del fallo”, 1958,
vol. II, pp. 682-693).
Salto i passaggi storici e i rapporti non solo teorici tra Lacan, Althusser,
Deleuze, Badiou, Zizek (fermandomi a generazioni di filosofi del secolo scorso
e ignorando colpevolmente i loro allievi attuali) notando che tutti, in vario
modo hanno ripreso il concetto di significante vuoto, con il lascito dello
strutturalismo.
Passando
il testimone, protesi fallica anch’esso, dalla psicanalisi alla politica. Credo
che il tema ricorrente, il filo conduttore sia stata e sia la relazione tra la
contingenza, il particolare, e la necessità, l’universale. Riporto, per
capirci, un esempio di Laclau lettore di Gramsci: la classe operaia, una parte
della società, deve realizzare un’autentica unità nazionale, un progetto
complessivo, un’idea universale, costruendo attorno a questo significante vuoto
un’egemonia ed un’identità. Se il tema della costruzione identitaria, con una
dimensione narrativa soggettiva, diventa esclusivo, ci tireremmo addosso gli
strali dedicati ai postmoderni che considerano la realtà il frutto di un
successo performativo. Se però pensassimo di squarciare i veli rivelando la
storia per quello che è realmente, ad esempio, in una vasta letteratura
marxista, come lotta di classe, il ruolo del soggetto sarebbe ridotto a quello
di un osservatore. E la storia sarebbe storia naturale. Poniamo perciò che un
contenuto particolare, contingente e relativo ad un insieme finito, si candidi
a rappresentare un universale, senza che le situazioni contingenti ne
predeterminino necessariamente gli sviluppi futuri. Non sarebbe possibile farlo
in un contesto di pure equivalenze, a meno di non voler rappresentare soltanto
gli esiti previsti nelle differenze che hanno un senso, rimandandosi
reciprocamente l’un l’altra. Il sistema sarebbe bloccato negli esiti prevedibili
e le novità sarebbero solo catastrofiche.
Un
universale, un significante vuoto, dovrà necessariamente operare come mediatore
con i particolarismi e gli antagonismi, in un tutto che è attraversato da
antagonismi, domande, senza risposta. La riproposizione di un universale
sarebbe il modo in cui si riattiva ciò che altrimenti si sedimenterebbe nei
dispositivi di governance. Così potremo dire che questa qui non è una vera
democrazia, che non lo è anche quella che toglie le discriminazioni sociali, ma
vieta, ad esempio, la stampa libera. Non sapremmo cosa sia esattamente una vera
democrazia, o il comunismo, ma possiamo intuire facilmente quando manchino.
Così come è impensabile un’economia di mercato pura senza la conflittualità
degli Stati nazione e dei sistemi-paese. Quindi un universale assente è un
particolare che si lega ad altri particolari rappresentandone proprio la
dimensione non meramente fattuale: lottare per la scuola pubblica, contro i
finanziamenti ai privati, per una legge che tuteli il diritto di sciopero…
ognuno di questi particolari può funzionare da universale in modo contingente,
se ne consideriamo la diacronia, la sequenza storica. Quello che è però
storicamente contingente, viene radicalizzato proprio dall’universalità
rivendicata, che produce in quel significante un valore necessario perché, in
senso forte, simbolico. Esempio: un paese civile non lascia morire naufraghi in
mare perché non hanno la cittadinanza italiana. A guardar bene, anche gli
avversari di questo universale umano ne proclameranno uno equivalente ma
antagonista: hanno il diritto ad una vita migliore, ma per avercela non devono
essere costretti a migrare. Ma perché non avvalersi in questi casi del più
rodato concetto marxiano di ideologia? Un interesse particolare (ad esempio la
rivalutazione del patrimonio immobiliare dei centri storici per fini
speculativi) si fingerebbe portatore di un bene comune (la valorizzazione di
una città e la sua restituzione alla cittadinanza intera). Oppure (procedendo
nel verso contrario) prendiamo la difesa dei diritti umani, universali, che
nella loro rappresentazione concreta sono stati a lungo sinonimi di diritti dei
bianchi, proprietari benestanti e maschi. Anche qui un contenuto particolare si
spaccia per verità universale approfittando della vaghezza dell’ideale. Qui, la
mia risposta, frutto di situazioni storiche e letture contingenti, mi appare
necessaria. Credo lo fosse già per Althusser, Balibar, Laclau e altri che si
erano misurati, uscendone maldetti, con le aporie del Capitale. Se tutte le
merci si scambiano, tutto ha un prezzo, non c’è altro che un sistema di
differenze e particolarismi. La crisi sarebbe un limite esterno allo sviluppo
del capitalismo. Ma il valore del lavoro è un eccesso che non si riduce alla
sua rappresentazione monetaria. Non è solo la produzione di un valore d’uso, e
neppure il semplice strumento per accedere ad una superficie piatta su cui
operare come produttore e consumatore. Il lavoro è dignità, autonomia,
promozione di sé, scoperta di un universo di relazioni… significanti padroni.
Appunto un significante vuoto, un operatore logico, che mostra come impossibile
ma reale la sua particolarità non iscrivibile. La lotta di classe, il conflitto
tra capitale e lavoro, non è negoziabile, anche se il soggetto rivoluzionario
si dà come casella vuota, in quel salario che lo misura nel rapporto di
capitale. È un'anomalia, un particolare non esterno all’universale che lo
comprende, non interno al capitale contro cui lotta, non riducibile alla forma
salario che lo cattura. È un rappresentante del soggetto (in altre storie
avremmo detto la classe) che resterebbe antagonista del capitale anche se
questo lo retribuisse con una misura equa, misura che peraltro è manifestamente
inesistente. Nel rapporto tra capitale e lavoro il salario non è una
mediazione, una sintesi, di interessi negoziabili. Non è questa la dialettica e
non sarebbe teoricamente possibile categorizzare ciò che, nella prassi, si
determina soggettivando il processo. Gli universali marxiani sono astrazioni determinate
in un conflitto che non è mai completamente iscritto nella forma del salario.
Sarebbe lungo, ma forse non inutile, ripercorrere un viaggio che dai Grundrisse
portava alla microfisica del potere. Se volessi renderlo con un’immagine
riprenderei quella del barone di Munchausen all’assedio di Vienna: circondato
dai Turchi si salva sollevando sé e il suo cavallo aggrappandosi al codino. Il
particolare è ciò che tiene il soggetto, che è nel quadro, appeso con la sua
cornice, l’universale, alla parete. Forse, partendo da questo sfondamento del
presupposto (l’oggetto e il soggetto non precedono le relazioni contingenti che
li determinano retrospettivamente) la questione sarebbe meno filosofica di
quanto non sembri.