venerdì 15 febbraio 2019

ANNA BRUNO - LA SCORCIATORIA DEI SITI CULTURALI: «CONVERTIRSI IN AZIENDA PER “FARE CASSA”»

eventificio, mostrificio e “staccanti biglietto”



\ i musei si stanno trasformando in “poli museali” dove si pensa a “fare cassa” e dove l’evento e la promozione propagandistica diventano calamite per l’affluenza di visitatori. Ma oggi questo tipo di organizzazione aziendale riesce ad offrire un’esperienza educativa? Il mondo dell’educazione, in particolare, deve potersi liberare della sua rigida veste “didattica” e avere il coraggio di rifarsi al senso etimologico del termine “educazione”, “tirare fuori”, per poter essere in grado di riportare l’uomo, la persona, al centro
\ il mondo dell’educazione si propone di sfoderare la propria capacità di elaborare strumenti di trasformazione, creando spazi liberi di discussione e scambio, da poter mettere poi a servizio della comunità per il Bene comune
\ bisogna tener presente che la maieutica non è una modalità accademica di insegnamento, così come fare educazione non è didattica. Se torniamo all’etimologia, tra le parole “educazione” e “maieutica” non v’è molta differenza. Entrambe “tirano fuori” “aiutano a partorire” ciò che è dentro. Entrambe presuppongono che il maieuta si faccia “levatrice” aiutando il discente a tirare fuori ciò che è dentro di sé, a visualizzare i propri talenti




“poli museali” come aziende: cultura-merce\cultore-consumatore
                                                                                                                        
L’esigenza di cambiamento da parte dell’istituzione museo in Italia è relativamente recente. Un’esigenza che si è fatta oggi più pressante, certamente in seguito al cambio della lira in euro – moneta che acquistiamo ad altissimi interessi ogni volta che c’è da investire. Da qui risulta ovvio che il museo storiografico della conservazione, ormai rimasto per lo più appannaggio di pochi “grand-touristi”, non sia riuscito più a nascondere le sue contraddizioni: quella del museo pubblico che continua a tenere a distanza il proprio pubblico, verso cui continua a proporsi intimidente se non intimidatorio. La maggior parte dei suoi “fruitori” vi entra ancora di rado e il più delle volte richiamato da un evento. Inoltre, l’assenza di politiche di investimento su cultura e ricerca, ha completamente avvilito questo luogo contenitore dell’arte, che si vede confinato nell’alveo dell’auto-celebrazione, se vuole darsi un po’ di visibilità, senza tuttavia riuscire ad alimentare energie vitali e vitalizzanti di scambio che inducano ad un cambiamento di senso.  Da qui la “scorciatoia” più evidente per risolvere il problema dei costi: convertire il museo della conservazione in museo azienda di matrice privatistica. Il museo sta subendo sì la sua metamorfosi epocale, come racconto nel mio testo, ma in non-luogo dell’evento o meglio in un eventificio e mostrificio, dove i vecchi fruitori sono convertiti in “staccanti biglietto”. La domanda allora sorge spontanea: in questo “nuovo” museo come può l’educazione all’arte essere veritiera ed avere come obiettivo il bene comune?

museo pubblico come cantiere eutropico a favore dell’eutopia 

Il luogo eutropico è già di per sé “cantiere”, un luogo dove ci si spoglia del bisogno dell’autoreferenzialità per mettersi nella disponibilità dello scambio, con le proprie certezze e competenze, ma anche con le proprie incertezze e le proprie assenze. Il luogo eutropico è quel luogo che non perde mai di vista l’eutopia di un mondo migliore e che per essa si mette intensamente al lavoro per farsi lavoro comune per il Bene comune. E il museo, in quanto tempio di bellezza, deve oggi più che mai trasformarsi in cantiere dei saperi: luogo di scambio e di ricerca, luogo di un’educazione che trasmetta capacità di trasformazione e non solo passione e interesse, un luogo che sia altresì “ospitale”, dove il pubblico entra da spett-Attore e non come “staccante biglietto” né tanto meno come fruitore, e che faccia tesoro della Pedagogia dell’Oppresso di Paulo Freire e del Teatro dell’Oppresso di Auguste Boal. Ma non bisogna disperare. Di musei così in Italia ce ne sono già, musei con cui tutti gli altri musei prima o poi dovranno confrontarsi e fare i conti: il primo tra questi è nato addirittura nel ‘69, nella terra più martoriata d’Italia, la Locride in Calabria, per idea geniale dell’artista Nic Spatari e della sua compagna olandese Iske Maas; Fiumara d’Arte dell’artista e mecenate Antonio Presti e ancora Città dell’arte di Michelangelo Pistoletto a Biella, luoghi dell’anima da dove si sta diffondendo a macchia d’olio l’amore per l’impegno educativo, affinché l’umanità ritrovi la via della Bellezza e dell’Armonia, come racconta Antonio Presti. Oggi poi, grazie al progetto Macro-Asilo, il museo ospitale – diretto dal regista Giorgio de Finis (già direttore artistico del Maam, il museo dell’Altro e dell’Altrove), – il museo, in quanto luogo eutropico dell’eutopia, è approdato nella capitale, dove ogni giorno artisti di qualunque specie, educatori, mondo della cultura, della tecnologia, imprese illuminate, associazioni e persone singole si incontrano e fanno “cantiere” verso quel “Terzo Paradiso” di cui parla Michelangelo Pistoletto e di cui lo stesso Macro-Asilo si è fatto promotore. Ed ecco il come, dunque. Il segreto è tutto lì: bisogna uscire da quel muffoso bisogno di autoreferenzialità adolescenziale protratta nell’adultità per tornare bambini- ricercatori di un mondo migliore. Il bambino infatti non conosce il mal-essere, ma il ben-essere. Ed ecco perché un museo come il vecchio Macro ha scelto di chiamarsi oggi Macro-Asilo: in un asilo infatti si è sempre pronti alla curiosità e allo scambio, alla trasformazione positiva e di senso, una trasformazione che profuma di umano.


tratto da Portare alla luce il desiderio dell’arte di Elisabetta Salatino.  Intervista ad Anna Bruno, che ha appena pubblicato il libro “Intorno all’Educazione all’Arte. Dall’Eutropia all’Eutopia” Palombi Editori