eventificio, mostrificio e “staccanti biglietto”
\ il mondo dell’educazione si propone di sfoderare la propria capacità di elaborare strumenti di trasformazione, creando spazi liberi di discussione e scambio, da poter mettere poi a servizio della comunità per il Bene comune
\ bisogna
tener presente che la maieutica non è una modalità accademica di insegnamento,
così come fare educazione non è didattica. Se torniamo all’etimologia, tra le
parole “educazione” e “maieutica” non v’è molta differenza. Entrambe “tirano fuori” “aiutano a partorire” ciò che è dentro. Entrambe
presuppongono che il maieuta si faccia “levatrice” aiutando il discente a
tirare fuori ciò che è dentro di sé, a visualizzare i propri talenti
“poli museali” come
aziende: cultura-merce\cultore-consumatore
L’esigenza di cambiamento da parte dell’istituzione museo in Italia è
relativamente recente. Un’esigenza
che si è fatta oggi più pressante, certamente in seguito al cambio della lira
in euro – moneta che acquistiamo ad altissimi interessi ogni volta che c’è da
investire. Da qui risulta ovvio che il museo storiografico della conservazione,
ormai rimasto per lo più appannaggio di pochi “grand-touristi”, non sia
riuscito più a nascondere le sue contraddizioni: quella del museo pubblico che
continua a tenere a distanza il proprio pubblico, verso cui continua a proporsi
intimidente se non intimidatorio. La maggior parte dei suoi “fruitori” vi entra
ancora di rado e il più delle volte richiamato da un evento. Inoltre, l’assenza di politiche di investimento su cultura e
ricerca, ha completamente avvilito questo luogo contenitore dell’arte, che si
vede confinato nell’alveo dell’auto-celebrazione, se vuole darsi un po’ di
visibilità, senza tuttavia riuscire ad alimentare energie vitali e vitalizzanti
di scambio che inducano ad un cambiamento di senso. Da qui la “scorciatoia” più evidente per
risolvere il problema dei costi: convertire il museo della conservazione in museo azienda di matrice
privatistica. Il museo sta
subendo sì la sua metamorfosi epocale, come racconto nel mio testo, ma in
non-luogo dell’evento o meglio in un eventificio e mostrificio, dove i vecchi
fruitori sono convertiti in “staccanti biglietto”. La domanda allora sorge
spontanea: in questo “nuovo” museo come può l’educazione all’arte essere veritiera
ed avere come obiettivo il bene comune?
museo pubblico come
cantiere eutropico a
favore dell’eutopia
Il luogo eutropico è già di per sé “cantiere”, un luogo dove ci si spoglia
del bisogno dell’autoreferenzialità per mettersi nella disponibilità dello
scambio, con le proprie certezze e competenze, ma anche con le proprie
incertezze e le proprie assenze. Il
luogo eutropico è quel luogo che non perde mai di vista l’eutopia di un mondo
migliore e che per essa si mette intensamente al lavoro per farsi lavoro comune
per il Bene comune. E il museo, in quanto tempio di bellezza, deve oggi più che
mai trasformarsi in cantiere dei saperi: luogo di scambio e di ricerca, luogo
di un’educazione che trasmetta capacità di trasformazione e non solo passione e
interesse, un luogo che sia altresì “ospitale”, dove il pubblico entra da
spett-Attore e non come “staccante biglietto” né tanto meno come fruitore, e
che faccia tesoro della Pedagogia dell’Oppresso di Paulo Freire e del Teatro
dell’Oppresso di Auguste Boal. Ma non bisogna disperare. Di musei così in
Italia ce ne sono già, musei con cui tutti gli altri musei prima o poi dovranno
confrontarsi e fare i conti: il primo tra questi è nato addirittura nel ‘69,
nella terra più martoriata d’Italia, la Locride in Calabria, per idea geniale
dell’artista Nic Spatari e della sua compagna olandese Iske Maas; Fiumara
d’Arte dell’artista e mecenate Antonio Presti e ancora Città dell’arte di
Michelangelo Pistoletto a Biella, luoghi dell’anima da dove si sta diffondendo
a macchia d’olio l’amore per l’impegno educativo, affinché l’umanità ritrovi la
via della Bellezza e dell’Armonia, come racconta Antonio Presti. Oggi poi,
grazie al progetto Macro-Asilo, il museo ospitale – diretto dal regista Giorgio
de Finis (già direttore artistico del Maam, il museo dell’Altro e
dell’Altrove), – il museo, in quanto luogo eutropico dell’eutopia, è approdato
nella capitale, dove ogni giorno artisti di qualunque specie, educatori, mondo
della cultura, della tecnologia, imprese illuminate, associazioni e persone
singole si incontrano e fanno “cantiere” verso quel “Terzo Paradiso” di cui parla
Michelangelo Pistoletto e di cui lo stesso Macro-Asilo si è fatto promotore. Ed ecco
il come, dunque. Il segreto è tutto lì: bisogna uscire da quel muffoso bisogno
di autoreferenzialità adolescenziale protratta nell’adultità per tornare
bambini- ricercatori di un mondo migliore. Il bambino infatti non conosce il
mal-essere, ma il ben-essere. Ed ecco perché un museo come il vecchio Macro ha
scelto di chiamarsi oggi Macro-Asilo: in un asilo infatti si è sempre pronti alla
curiosità e allo scambio, alla trasformazione positiva e di senso, una
trasformazione che profuma di umano.