mercoledì 9 gennaio 2019

"PUNIRE I POVERI... CHIUSURA DEI PORTI... ORDINE PATRIARCALE" -Collettivo Euronomade-

la torsione identitaria razzista e machista del neoliberismo


\  La manovra finanziaria di questo governo è, fondamentalmente, 
una perfetta esemplificazione della fase autoritaria attraversata da
un  neoliberalismo che risponde alla sua crisi esacerbando i meccanismi 
di comando


Le domande sociali che pure avevano animato parte dei consensi raccolti dalle forze di governo – soprattutto la fortissima richiesta di protezione, unita a un sacrosanto disgusto per la classe dirigente, espressa dal Sud con il voto massiccio al Cinque Stelle – sono state letteralmente sacrificate sull’altare del neoliberismo comunitario. E questo non solo per effetto del peso ricattatorio dei vincoli di bilancio UE, pure indiscutibilmente e catastroficamente evidente, ma soprattutto perché tutta la manovra risponde a quelle domande sociali in un modo saldissimamente innestato dentro una torsione autoritaria e disciplinare delle politiche neoliberali. La grande promessa sulle pensioni si risolve, per esempio, nel rimandare a ciascuno il calcolo della sostenibilità dei costi dell’anticipazione del pensionamento: con la strizzata d’occhio alla logica populistico-punitiva della propaganda del “taglio “delle pensioni più alte (che in realtà è soprattutto una mancata rivalutazione delle medie), cui non corrisponde nessuna reale redistribuzione. Il confronto con la determinazione politica, intensamente egualitaria, con cui i gilet jaunes francesi insistono, in ogni rivendicazione, sull’aumento delle pensioni, mostra in tutta chiarezza come tutta l’operazione “quota 100” – al di là dei particolari ancora di là da venire sulla sua applicazione – resti tutta solidamente dentro l’impianto neoliberista.
La vicenda del “reddito di cittadinanza” è ancor più rivelatrice. Cominciata tra le mille incertezze e oscillazioni del M5S, e sempre lontanissima da un reddito di base universale e incondizionato, aveva in partenza almeno il merito di essere meglio finanziata rispetto allo striminzito REI del governo a guida PD, il quale pure aveva provocato file di richiedenti che, solo a saperle guardare, avrebbero già detto molto su quali sarebbero stati i comportamenti elettorali del Sud. Quello che, invece, viene fuori dalla manovra è non solo un mero sussidio di disoccupazione, fortissimamente condizionato e controllato, ma uno strumento di ulteriore flessibilizzazione della forza lavoro, di governo della povertà e della mobilità interna in direzione Sud-Nord, sino al punto di trasformarsi, sotto pressione della Lega, in un incentivo versato alle imprese contro assunzioni anche precarissime e temporanee, sulla scia del tanto deprecato Jobs Act renziano. Lavoratori sfruttati, controllati e però “preferiti” rispetto agli stranieri, contro i quali si inventa il requisito del soggiorno oltre i 10 anni: sempre su impulso leghista ma con il consenso sempre più attivo del M5s, davvero concelebrante di questo “sacrificio” del reddito, sull’altare dei neoliberismi convergenti della Lega e dell’UE. In questo modo, tra l’altro, il governo celebra anche il suo tradimento dell’elettorato meridionale, completato e aggravato dalla retromarcia, sempre in nome di uno sviluppo già scritto e senza alternative, su tutte le promesse sulle grandi opere, dalla TAV al TAP alle trivellazioni, sino all’ultrarivelatrice vicenda dell’ILVA, vero simbolo di continuità serrata con le politiche precedenti.
Una manovra quindi tutta nel segno del governo dei poveri e di una gestione della crisi che, se si distanzia dalla precedente austerity, lo fa solo per segnare un maggiore utilizzo di leve di intervento per rafforzare le linee di inclusione/esclusione e la produzione di disuguaglianze, materialmente e simbolicamente affermata attraverso la ferocia dell’azione governativa nel Mediterraneo. Tutto questo non fa evidentemente nessuna difficoltà a Salvini, che accelera consapevolmente sul programma neoautoritario. Si accetta il compromesso sui livelli di spesa, ma si intensifica ancora il carattere disciplinare degli interventi di workfare. Contemporaneamente, si prosegue con il programma ispirato al più classico “punire i poveri”: la sera stessa della resa alla UE sui livelli di debito, il leader leghista dichiara a tutti (e specie agli alleati…) che la prossima priorità sarà la riforma della legittima difesa. Pochi soldi, molto controllo sociale, meno tasse con la flat tax e magari se serve anche più armi e libertà di usarle. E intanto difesa strenua del decreto sicurezza e insistenza sulla “chiusura dei porti”, mentre, non certo per ultimo, anzi forse norma fondamentale nella restaurazione autoritaria, il disegno di legge Pillon si incarica di minacciare le donne attraverso la sacralizzazione dell’ordine gerarchico della famiglia patriarcale. Insomma: perfetta sintesi della torsione identitaria, razzista e machista del neoliberismo. A sintetizzare in fascismo non si sbaglia di tanto, e comunque si rende l’idea. L’Europa sta a guardare e tutto sommato è ben soddisfatta di non andare allo scontro: ci sarà ancora da battagliare un po’ con questo governo italiano, ma, magari dando un po’ di fiducia ad un redivivo presidente del Consiglio, una qualche mediazione si troverà, specie sulla pelle dei migranti, sempre autentica pietra di inciampo rivelatrice della vergogna comune che unisce i populisti “nazionali” e la governance europea nel loro comune neoliberismo “armato”.