domenica 6 gennaio 2019

NOTE A MARGINE DI ASSEMBLY -Michele Ambrogio-



meglio il dominio e il sabotaggio che assemblea?


\ Il breve contributo segue la scheda sul saggio di Negri\Hardt  già pubblicata su queste pagineIn esso si pongono alcune  perplessità che possono essere risolti solo sul terreno del conflitto sociale. Soltanto partendo da questo si potrà verificare quanto le verticali che diramano dal piano orizzontale siano capaci di innescare transazioni negoziali tali da non soffocare un processo costituente del comune [accì]



"La proprietà immateriale, insieme alle forme di libertà e cooperazione rese possibili dalla rete, ci permette di intravedere il potenziale di un modo non proprietario di rapportarsi alla ricchezza sociale [...] con eguale accesso e potere democratico [...] attraverso relazioni non proprietarie"
Negli anni '70, sostenemmo che la fabbrica non era più un luogo fisico riducibile a quei capannoni e quel rapporto giuridico e sostanziale che conoscevamo nella condizione operaia. La produzione era diventata produzione sociale, diffusa nelle reti di una socialità messa a valore, e insubordinata alla forma di quel rapporto materializzato nella servitù del salario. La generalizzazione di quella insurrezione determinava il cambiamento del processo produttivo. Oggi, questo mi pare ancora più evidente, sebbene i significanti padroni non siano più quelli di allora (il padre/padrone e la legge come divieto han lasciato lo scranno ad un super-io dispotico, che mi ingiunge di spassarmela perché non c'è altro che questo, mentre tutto quel che faccio vale come ininterrotto processo di valorizzazione, un continuo investimento in affetti, formazione, contatti). Oggi come allora l'innovazione tecnologica, il numen che incarna il comando, espropria e assoggetta alle iscrizioni di plusvalenze la potenza del comune, il general intellect o la produzione sociale. Un numen che interdice la cosa più banale, e cioè che la ricchezza è nell'autonomia del sociale, nelle relazioni che si reinventano costantemente e producono il nuovo nella produzione di forme di produzione. Reinventiamo noi stessi e la natura che non siamo. 
Le relazioni del presente, sono la parodia di questa ricchezza - che maschera la servitù con la rapsodia delle merci - mentre l'autonomia del sociale è la miseria generalizzata di rapporti predeterminati da algoritmi, sequenze ricorsive che includono ancora un segno distintivo (identitario) e una iscrizione (sicuritaria), che il codice prevede in funzione di una contabilità che parassita ogni relazione (basta guardare le bitcoin e i miners). Non c'è relazione sociale fuori dal codice proprietario (un codice che non è solo il diritto, la sua teoria, ma la disputa intorno a chi decide, chi è il sovrano). Al suo interno, tutto diviene flusso economico finanziario, anche guardare uno schermo pubblicitario interattivo sulla metropolitana. 
In questo passaggio, resto vicino a Negri più di quanto lui non mi sembri esserlo più (almeno da Impero ad oggi), riprendendo il filo rosso delle sue opere, ossia il conflitto irriducibile che è interno alla produzione materiale e simbolica della realtà. Non tanto per passare in rassegna, o rassegnarsi, al comune della produzione, quanto piuttosto reinventarla (fosse ancora possibile), trovando nella sua produzione le forme del dominio, senza maschere apologetiche, e la soggezione che non vi si arrende. Bene quindi non deporre le armi. Cosa non mi convince? La formula di una "costituente del comune" è - a mio modesto parere - fuorviante, perché ripropone come percorso una negoziazione, una contrattualizzazione che è sempre più sottratta, ma non tolta del tutto, alla forma stato, per consegnarla ad una governance globale che è aldilà della misura di un soggetto individuale. È, soprattutto, anche non negoziabile in sé, perché la tecnostruttura che macina profitti in microsecondi, non può essere persuasa, ma solo abbattuta.