In due capitoli centrali Mbembe sottopone
a clinica la Francia e la sua incapacità di autodecolonizzarsi. E lo dice,
feconda contraddizione, mentre proclama il dovere di voltarle le spalle.
Nel mio piccolo
applico, forse arbitrariamente, questo compito all’Italia che a decolonizzarsi
deve ancora cominciare. Nel recente anniversario delle leggi razziali
antiebraiche in Italia non ho sentito, ben vengano smentite, ricostruzioni del
razzismo esplicito della legge contro il madamato africano
dell’anno precedente, 1937, in cui si sanciva la condanna da uno a cinque anni
di reclusione per il bianco italiano che avesse avuto nelle colonie relazione di indole coniugale con persona suddita. La
purezza della razza ne avrebbe patito.
La
lingua di Mbembe si è ulteriormente raffinata. La beatitudine della scrittura
lo trascina qualche volta ai confini dell’oscuro e della pronuncia sciamanica.
Nello stesso tempo, a differenza della prassi accademica, coinvolge sé stesso
nella narrazione esibendoci memorie intime della sua prima età, non in modo
appiccicaticcio o narcisistico, ma solidale con il successivo svolgersi del
pensiero nutrito e patrocinato da Franz Fanon e di Édouard
Glissant.
Claudio Canal, Mbembe, pensare il mondo a partire dall'Africa,
Alfadomenica #5 – dicembre 2018
Achille Mbembe, Emergere
dalla lunga notte. Studio sull’Africa decolonizzata (traduzione
e curatela di Didier Contadini), Meltemi, Milano, 2018,
pp. 311, € 20,00