[da Gabriella Putignano*]
\ L’inconcepibile – scrive Bifo – sarebbe oggi
creare una piattaforma culturale e poetica per costruire e diffondere una
comune coscienza di possibile solidarietà tra i cognitari di tutto il mondo
(gli odierni neuroproletari)… Eppure, su come farcela a realizzare questo
radicale stravolgimento Bifo, con il suo bel libro, rimane terribilmente (e
consapevolmente) evasivo
Nel
suo ultimo libro, Futurabilità, Franco «Bifo» Berardi si pone, anzitutto,
l’obiettivo critico di decodificare il presente, di forgiare concetti per la
comprensione di questo nostro mondo; in secondo luogo, intende scrutare la
molteplicità di possibili futuri immanenti (la futurabilità, appunto), che
implica un divenire altro, una mediazione relazionale e conflittuale.
L’odierno
tessuto sociale si presenta, dunque, come una shitstorm (tempesta di merda),
pervasa da risentimento identitario, desertificazione del pensiero complesso,
autismo corale. È l’infosfera ad essere iper-satura, sovraccaricata e
bombardata da stimoli d’ogni tipo, che annientano alla radice la lentezza
scardinante della riflessione, il criticismo ponderato del lògos e fanno
emergere una seriale ed estemporanea “cultura in polvere” (cfr. A. Appadurai,
Modernità in polvere, Cortina Editore, Milano 2012), la demenzialità di urla
scomposte e sguaiate.
Tale
dinamiche, studiate a fondo da Bifo, si riverberano inevitabilmente nella
struttura del contesto lavorativo attuale, la cui comprensione sarà la nostra
principale premura. Difatti, nel passato, proprio dell’orizzonte fordista,
assistevamo, sì, ad una riduzione del sé a corpo muto e ad una espropriazione
del tempo vissuto, ma v’era al contempo una chiara definizione di “classe”, in
grado di far vivere e vibrare concetti patici quali la compattezza unitaria, la
coesione sociale, la reciproca complicità. A partire dagli anni Ottanta in poi,
abbiamo un’importante torsione: il lavoro si “mentalizza”. Non riguarda più solo
l’operaio padre di famiglia, le cui mansioni erano ben scandite dentro la
fabbrica, ma un «Quinto Stato» (cfr. G. Allegri-R. Ciccarelli, Il Quinto Stato,
Ponte alle Grazie, Milano 2013), fatto per lo più da lavoratori indipendenti,
qualificati e mobili.
Se
il capitalismo tradizionale si basava sullo sfruttamento dell’energia fisica,
adesso esso (in quanto semio-capitalismo) tenta di sussumere la stessa energia
nervosa e cognitiva, modellandola ed addomesticandola attraverso lo stillicidio
di determinati imperativi: la competizione, la prestazione, il felicismo
obbligatorio. Oggi il lavoro tira, pertanto, in ballo risorse immateriali,
diviene un processo mentale specialistico, ma rende pure ciascuno di noi un
imprenditore di se stesso, uno sterile capitale umano io-centrico in permanente
concorrenza con il prossimo. L’intelligenza connettiva – continua Bifo – sembra
incapace di agire come intelligenza collettiva (general intellect) e movimento
organizzato.