martedì 23 ottobre 2018

schede \ “CHI HA PAURA DELL’ONTOLOGIA?”

LA PRODUZIONE DEGLI ANTAGONISMI SOCIALI
[toni negri1]


\il conflitto metafisico tra concezione materialista dell’essere produttivo e concezione mistico-trascendentale dell’essere negativo \la scelta tra Hobbes e Spinoza, tra fascismo e libertà \la paura costruttiva dei poveri, degli sfruttati e degli esclusi  nella sfida alla superstizione al dominio per progettare nuova civiltà

La progressiva “rivoluzione lessicale” che il cd postoperaismo produceva (dall’ ”operaio massa” all’ ”operaio sociale” alla “moltitudine”), rispecchiava le trasformazioni dell’essere reale, era cioè ontologicamente fondata.Torniamo dunque su quella parola indicibile: “ontologia”. Perché averne paura, di questa parola – analisi dell’essere in quanto essere – quando è evidente che, per i materialisti, essa null’altro dichiara se non la lezione materialista dell’essere come produzione? Chi ha paura dell’ontologia quand’essa sia definita come ontologia della produzione e quindi degli antagonismi sociali? Possono provare paura solo quelli che non riescono ad essere radicalmente materialisti. Ora, “ontologicamente fondato” significa qui tre cose. La prima è che la storia, l’essere determinato è la base ineludibile di ogni lotta di liberazione e che nella storia residuano le lotte del proletariato, vittoriose o sconfitte, ed essa è diversamente composta da queste determinazioni. Questo fondamento storico duro che costituisce il terreno materialista della nostra analisi, è quanto definito nella “forma” del valore, intesa alla Rubin* (ma anche nel giovane Marx e nel “materialismo storico”).
La seconda annotazione insiste sul fatto che questa ontologia è dualista, antagonista. Essa si sviluppa nella lotta di classe ed investe in tal modo il rapporto di capitale secondo dimensioni biopolitiche. Sono la vita messa al lavoro e la vita sottoposta al dominio che qui si scontrano continuamente e l’ontologia è segnata e mai risolta da questo scontro. Di qui l’illusorietà di ogni “via di fuga” che voglia far esplodere in maniera istantanea, evenemenziale, in un immaginario jetz-Zeit, il rapporto di capitale. No, questo rapporto deve essere lavorato, con continuità, per aprirlo alla liberazione. È infatti l’intero terreno della riproduzione che la socializzazione della produzione mobilita. Bisogna lavorare questa ontologia finché gli sfruttati, i lavoratori, i poveri, gli esclusi non solo avranno la forza di sovvertire ma anche quella di reinventare il nostro mondo.
Ed è qui che emerge il terzo punto di questa ontologia: il dispositivo costituente. Nell’antagonismo si formano forze soggettive, nella storia si produce soggettività – perché produzione di soggettività è “produzione di produzione”, è lo sviluppo stesso della storia, vista dalle lotte e nella capacità di costruire – con le soggettività stesse – ricchezza e libertà. L’essere, in questo materialismo, non è mai vuoto, mai impotenza;  è sempre percorso dal lavoro e dal desiderio, cioè dalla produttività del lavoro vivo. Risalta qui il conflitto principe di ogni storia della metafisica: quello fra concezione materialista dell’essere produttivo e concezione mistico-trascendentale dell’essere negativo, e viene insistita la scelta necessaria tra Hobbes e Spinoza, tra fascismo e libertà. La stessa “paura” – che secondo Hobbes starebbe alla base del trascendentale sovrano – ha infatti una seconda e più vera definizione che sta alla base della nostra stessa civiltà: la paura costruttiva, quella ricordata nell’“anno Mille”, quella che, sorgendo dalle barbarie dell’evo di mezzo, la gente europea ebbe la capacità di superare, contrastando decisamente la superstizione ed il mito distruttivo che la regge. Gettandosi, pur poveri, sfruttati ed esclusi, oltre i margini della paura, della superstizione, del dominio – per costruire civiltà.
* Per “forma del valore” si intendeva che, quando mutavano le grandezze del valore (ed andasse in crisi la “legge del lavoro-valore” come strumento di misura della valorizzazione) e la sostanza del valore, cioè il rapporto che stringeva la qualità del lavoro produttivo (ora sempre più immateriale) al comando capitalista, ciò comportava la modificazione dell’involucro complessivo del dominio del capitale.
1 - dall’intervento pronunciato a Cambridge il 25 aprile 2017  
pubblicato su EuroNomade.info col titolo POSTOPERAISMO? NO, OPERAISMO”