NELL'EPOCA
DEL SECURITARISMO E DELLE CITTÀ-BRAND DEL TURISMO
capire
i meccanismi di valorizzazione che subiscono gli spazi urbani, con le
conseguenti esclusioni, inclusioni differenziali e distribuzioni della
popolazione su linee di classe ed etniche, sempre di più allontanate dalla
centralità della città / conoscere il diritto alla città per una rivendicazione
di spazi (urbani, simbolici e politici) funzionale alla trasformazione delle
comunità politiche nel segno di una democrazia radicale e inclusiva
[…] Lefebvre intende analizzare lo sviluppo storico dello spazio e
mettere in luce i rapporti di produzione e di riproduzione che intersecano la
dimensione spaziale. Per “produzione dello spazio” si intende la problematizzazione
delle categorie marxiane di “valore d’uso” e di “valore di scambio”. I processi
produttivi capitalistici trasformano l'opera umana (valore d’uso) in prodotto
di serie, in mera merce (valore di scambio). Tale dinamica è traslata sullo
spazio urbano della città, divenendo anch’esso oggetto di scambio e profitto.
Lo spazio urbano viene così sottoposto a processi di mercificazione in cui
prevalgono le logiche economiche di mercato: le città sono così trasformate in
prodotti attraenti e desiderabili per l’investimento di capitali. All'interno
di questo processo il “valore di scambio” dello spazio si impone in modo
autoritario sul “valore d'uso”, escludendo radicalmente i cittadini da ogni
processo decisionale. Oggi, per esempio, la valorizzazione speculativa di molti
spazi abbandonati o chiusi a causa della crisi economica assume proprio questo
aspetto. Lefebvre, dunque, evidenzia come lo spazio sia la nuova posta in gioco
delle dinamiche di potere.
Nell'insistenza di Lefebvre sull'appiattimento e l'omologazione prodotti
dalla società dei consumi, possiamo intravvedere quei processi di sottrazione
di senso alla dimensione spaziale che l'antropologo Marc Augé ha definito come
“nonluoghi”*. In un periodo storico ben diverso dal nostro, Lefebvre
intravvede tuttavia quei processi spaziali che oggi caratterizzano ampiamente
la città neoliberista. Inoltre, a partire dalla problematizzazione degli esiti
nefasti dell'urbanizzazione planetaria – Lefebvre parla di “esplosione della
città” – come la marginalizzazione delle periferie e il proliferare di un
vivere e un abitare precario ai margini del mercato, è possibile affermare che
Lefebvre sia stato un antesignano delle analisi del sociologo americano Mike
Davis contenute ne Il pianeta degli slum*. L'urbanizzazione industriale,
o meglio, la rivoluzione urbana capitalista produce simultaneamente centri di
comando politico-finanziario e precarietà urbana. Le disuguaglianze sociali e
spaziali camminano di pari passo con lo sviluppo capitalistico. La marginalità
e la discriminazione spaziale sono il prodotto e la conseguenza delle “città
globali”, di cui il “pianeta degli slum” è figlio legittimo. A questo
proposito, Saskia Sassen mette in luce come nelle città globali si trovi una
forte asimmetria tra lavori ad alta qualifica e un’ampia domanda di lavoro
precario, non qualificato e molto spesso sottopagato, che ha delle ricadute
sullo spazio e i luoghi in cui vivono questi lavoratori: la polarizzazione del
reddito e delle opportunità di lavoro produce necessariamente periferia,
precarietà abitativa e marginalità urbana*.
Fondamentali sono le riflessioni dei due ultimi capitoli dal titolo La
borghesia e lo spazio e La classe operaia e lo spazio. Alla base vi sono
gli studi sulla Comune parigina del 1871 compiuti dall’autore: essi sono un
chiaro esempio di come Lefebvre sviluppi sul piano storico le direttrici
filosofico-politiche della teoria generale dello spazio. A tale proposito, è
necessario mettere in luce l’innovazione lefebvriana, che interpreta
l’insurrezione comunarda come cifra di un agire politico ribelle
all’organizzazione spaziale di classe. Tale agire è inteso come un momento di
creazione condivisa del processo di produzione di una spazialità alternativa e
simultaneamente negatrice di quella dominante (in quanto la interrompe). Nella
Comune di Parigi, lo spazio diventa la posta in gioco per eccellenza:
La Comune di Parigi può essere interpretata alla luce delle contraddizioni
dello spazio e non soltanto a partire dalle contraddizioni del tempo storico
[…] Fu una risposta popolare alla strategia di Haussmann. Gli operai cacciati
verso i quartieri e le comuni periferiche, si riappropriarono dello spazio da
cui il bonapartismo e la strategia del potere politico li aveva esclusi*.
L’analisi storica della produzione dello spazio permette quindi di
comprendere più a fondo le modalità in cui il capitalismo agisce nella
dimensione spaziale. Haussmann inaugura le prime pratiche di espulsione delle
classi popolari dal centro della città, confinandole di fatto in quartieri periferici.
In questo modo, dunque, veniva soffocata qualsiasi possibilità di insurrezione
sociale, smembrando e riconducendo i gruppi sociali subalterni all’interno di
una organizzazione spaziale di classe.
I Comunardi, rioccupando le strade e le piazze, spezzano la precedente
gerarchia spaziale, giungono fino al centro della città e conquistano l’Hôtel
de Ville, rovesciando il luogo decisionale-oppressivo in spazio sociale comune.
Lo spazio dell’Hôtel de Ville – che incarna per eccellenza il potere costituito
– diventa il luogo dove si realizza una nuova spazialità orizzontale e
democratica quale terreno adatto a favorire un nuovo corso per il “diritto alla
città” di tutti gli oppressi: “I lavoratori che occupano L’Hôtel de Ville o che
abbattono la Colonna di Vendôme non si sentono ‘a casa’ nel centro di Parigi;
stanno occupando il territorio nemico, circoscrivono il proprio luogo
dall’ordine sociale dominante. Così con l’occupazione, seppur breve, realizzano
l’esempio di ciò che i Situazionisti hanno chiamato détournement”*.
L’evento della Comune incarna la possibilità di sospendere la dimensione
spazio-temporale del Capitale aprendo un’inedita breccia insorgente. Tale
discontinuità, infatti, è implicita nell’idea lefebvriana di “utopia”, e viene
messa a fuoco dall’autore nella dimensione spazio-temporale – appunto –
utopica, capace di spezzare il ciclo del regime dominante e aprirne uno nuovo.
L’autore infatti sostiene che “tutte le rivoluzioni hanno qualcosa di
profetico”*, ovvero innescano una inedita dimensione utopica
spazio-temporale. Lefebvre utilizza il concetto di “utopia” per indicare la
sospensione dello spazio-tempo del Capitale e il cominciamento di un nuovo
corso per l’essere-in-comune fra pari. L’elemento profetico anticipa e tenta di
realizzare un regime politico autenticamente democratico, nonostante la fine
della Comune e le tragiche sorti dei comunardi più attivi. La “festa” della
Comune scolpisce nella memoria storica degli oppressi la possibilità di una
vita quotidiana diversa da quella imposta dalla logica dominante. Il popolo
parigino, quando intravede la fine di fronte alla controffensiva di Thiers,
decide di “morire con ciò che significa per lui molto di più che un decoro e
una cornice: la sua città, il suo corpo”*. Come l’artista intrattiene
uno stretto legame con la sua opera, così il proletariato urbano si sente
legato alla polis: è il suo prodotto per eccellenza, sia da un punto di vista
materiale che simbolico.
Il pensiero filosofico-politico che riflette sul presente della prassi
sociale è dunque il quadro teorico entro cui l’autore fonda il concetto di
utopia. Pensiero e azione sono fortemente legati, aprendo la storia a un nuovo
corso. Agli occhi di Lefebvre, il cambiamento sociale non può essere separato
da un processo di espansione utopica dei suoi presupposti. Come afferma in una
delle ultime interviste prima della morte, nel gennaio 1991: “Pensare la
trasformazione al giorno d’oggi ci obbliga a pensare utopicamente, ovvero
prevedere molte sorti per i futuri possibili e scegliere fra essi. L’utopia è
stata screditata, deve essere riabilitata. […] Questa è la funzione del marxismo nel
pensiero contemporaneo” *. Tale funzione utopica, sviluppata
simultaneamente nel pensiero e nella prassi concreta, è una delle
responsabilità che l’autore lascia in eredità al marxismo nell’epoca della
controrivoluzione neoliberale. L’utopia quindi si configura come un polo di
pensiero resistenziale, che in una congiuntura storica, nonostante la
pervasività dell’ideologia dominante, permette di lasciare aperti nuovi
spiragli d’emancipazione. In questa direzione, nel quarto capitolo intitolato
Engels e l’utopia, Lefebvre mette in luce come il fedele amico di Marx abbia
sostenuto le sue tesi ne La questione delle abitazioni e ne L’Anti-Düring
attraverso il recupero dell’eredità intellettuale di Fourier. Ripercorrendo
passo passo i due testi, Lefebvre dimostra come Engels combatta l’“utopia
astratta”, poiché le sue intenzioni sono quelle di ancorare le analisi
filosofiche alla realtà pratica*. Da un lato, Düring è uno strutturalista
ante-litteram * ed Engels combatte una battaglia intellettuale contro
l’ossessione della sistematizzazione di un pensiero dentro una cornice teorica
predefinita, dall’altro, Engels sottopone a critica i sistemi utopistici creati
nell’astrattezza del pensiero separato dalla vita quotidiana, ma non l’utopia
in quanto tale. A Fourier, riconosce il merito di essere stato uno dei primi ad
aver messo in luce gli effetti della divisione del lavoro industriale e la
necessità di superare l’antitesi fra città e campagna. Agli occhi di Lefebvre,
Engels rielabora l’utopismo socialista spingendolo a diventare utopia
rivoluzionaria, ovvero “utopia concreta”*. Le possibilità latenti nel
presente, quindi, non vanno viste secondo una logica deterministica, né a
partire da esse è lecito costruire un sistema di società da applicare a priori;
al contrario, devono essere considerate come “tendenze”, e come tali sottoposte
allo studio teorico. “L’utopia concreta – scrive Lefenvre – si fonda sul movimento
di una realtà di cui essa scopre le possibilità”*. L’utopia combattuta da
Engels, in realtà, è l’“utopia astratta” di chi “prescrive la forma in cui
dovrebbe essere risolta questa o quella contraddizione dell’attuale società”*.
Il bersaglio di Engels è l’atto prescrittivo di certe utopie. Tuttavia, per
combattere Proudhon, non esita a riprendere Fourier poiché nelle sue pagine
“sprizzano le scintille della ragione”*. L’originale
interpretazione engelsiana permette quindi a Lefebvre di porre l’utopia
all’interno del solco rivoluzionario tracciato dai due filosofi tedeschi.
Per concludere, l’originale contributo di Lefebvre, nel dibattito interno
al campo marxista e in quello degli studi urbani, si contraddistingue in modo
particolare per aver evidenziato la cruciale importanza della dimensione
spaziale nella modernità capitalista propria del “secolo breve”. Per Lefebvre,
l’organizzazione e la gestione dello spazio è la lente attraverso la quale
leggere e interpretare l’economia politica. Questo mi sembra l’aspetto più
innovativo del suo lavoro con continuare a confrontarsi. Possiamo condividere o
non condividere il primato che Lefebvre attribuisce all’analisi dello spazio*,
tuttavia esso rimane, fino in fondo, il terreno politico par excellence sul quale,
anche nel nostro secolo, si giocano gran parte degli equilibri di potere
determinati dal nuovo ordine neoliberale.
Francesco Biagi, autore
della prefazione al secondo volume de Il
diritto alla città di Henri Lefebvre, Ombrecorte -2018, è assegnista di
ricerca presso l'Istituto Italiano per Studi Filosofici di Napoli
[*]
per consultare le note bibliografiche, in uno con la lettura integrale clicca
prefazione