lunedì 19 marzo 2018

abstract&screening\ DALLA PREFAZIONE A SPAZIO E POLITICA

- francesco biagi –

NELL'EPOCA DEL SECURITARISMO E DELLE CITTÀ-BRAND DEL TURISMO

capire i meccanismi di valorizzazione che subiscono gli spazi urbani, con le conseguenti esclusioni, inclusioni differenziali e distribuzioni della popolazione su linee di classe ed etniche, sempre di più allontanate dalla centralità della città / conoscere il diritto alla città per una rivendicazione di spazi (urbani, simbolici e politici) funzionale alla trasformazione delle comunità politiche nel segno di una democrazia radicale e inclusiva


 […] Lefebvre intende analizzare lo sviluppo storico dello spazio e mettere in luce i rapporti di produzione e di riproduzione che intersecano la dimensione spaziale. Per “produzione dello spazio” si intende la problematizzazione delle categorie marxiane di “valore d’uso” e di “valore di scambio”. I processi produttivi capitalistici trasformano l'opera umana (valore d’uso) in prodotto di serie, in mera merce (valore di scambio). Tale dinamica è traslata sullo spazio urbano della città, divenendo anch’esso oggetto di scambio e profitto. Lo spazio urbano viene così sottoposto a processi di mercificazione in cui prevalgono le logiche economiche di mercato: le città sono così trasformate in prodotti attraenti e desiderabili per l’investimento di capitali. All'interno di questo processo il “valore di scambio” dello spazio si impone in modo autoritario sul “valore d'uso”, escludendo radicalmente i cittadini da ogni processo decisionale. Oggi, per esempio, la valorizzazione speculativa di molti spazi abbandonati o chiusi a causa della crisi economica assume proprio questo aspetto. Lefebvre, dunque, evidenzia come lo spazio sia la nuova posta in gioco delle dinamiche di potere.

Nell'insistenza di Lefebvre sull'appiattimento e l'omologazione prodotti dalla società dei consumi, possiamo intravvedere quei processi di sottrazione di senso alla dimensione spaziale che l'antropologo Marc Augé ha definito come “nonluoghi”*. In un periodo storico ben diverso dal nostro, Lefebvre intravvede tuttavia quei processi spaziali che oggi caratterizzano ampiamente la città neoliberista. Inoltre, a partire dalla problematizzazione degli esiti nefasti dell'urbanizzazione planetaria – Lefebvre parla di “esplosione della città” – come la marginalizzazione delle periferie e il proliferare di un vivere e un abitare precario ai margini del mercato, è possibile affermare che Lefebvre sia stato un antesignano delle analisi del sociologo americano Mike Davis contenute ne Il pianeta degli slum*. L'urbanizzazione industriale, o meglio, la rivoluzione urbana capitalista produce simultaneamente centri di comando politico-finanziario e precarietà urbana. Le disuguaglianze sociali e spaziali camminano di pari passo con lo sviluppo capitalistico. La marginalità e la discriminazione spaziale sono il prodotto e la conseguenza delle “città globali”, di cui il “pianeta degli slum” è figlio legittimo. A questo proposito, Saskia Sassen mette in luce come nelle città globali si trovi una forte asimmetria tra lavori ad alta qualifica e un’ampia domanda di lavoro precario, non qualificato e molto spesso sottopagato, che ha delle ricadute sullo spazio e i luoghi in cui vivono questi lavoratori: la polarizzazione del reddito e delle opportunità di lavoro produce necessariamente periferia, precarietà abitativa e marginalità urbana*.

Fondamentali sono le riflessioni dei due ultimi capitoli dal titolo La borghesia e lo spazio e La classe operaia e lo spazio. Alla base vi sono gli studi sulla Comune parigina del 1871 compiuti dall’autore: essi sono un chiaro esempio di come Lefebvre sviluppi sul piano storico le direttrici filosofico-politiche della teoria generale dello spazio. A tale proposito, è necessario mettere in luce l’innovazione lefebvriana, che interpreta l’insurrezione comunarda come cifra di un agire politico ribelle all’organizzazione spaziale di classe. Tale agire è inteso come un momento di creazione condivisa del processo di produzione di una spazialità alternativa e simultaneamente negatrice di quella dominante (in quanto la interrompe). Nella Comune di Parigi, lo spazio diventa la posta in gioco per eccellenza:
La Comune di Parigi può essere interpretata alla luce delle contraddizioni dello spazio e non soltanto a partire dalle contraddizioni del tempo storico […] Fu una risposta popolare alla strategia di Haussmann. Gli operai cacciati verso i quartieri e le comuni periferiche, si riappropriarono dello spazio da cui il bonapartismo e la strategia del potere politico li aveva esclusi*.
L’analisi storica della produzione dello spazio permette quindi di comprendere più a fondo le modalità in cui il capitalismo agisce nella dimensione spaziale. Haussmann inaugura le prime pratiche di espulsione delle classi popolari dal centro della città, confinandole di fatto in quartieri periferici. In questo modo, dunque, veniva soffocata qualsiasi possibilità di insurrezione sociale, smembrando e riconducendo i gruppi sociali subalterni all’interno di una organizzazione spaziale di classe.
I Comunardi, rioccupando le strade e le piazze, spezzano la precedente gerarchia spaziale, giungono fino al centro della città e conquistano l’Hôtel de Ville, rovesciando il luogo decisionale-oppressivo in spazio sociale comune. Lo spazio dell’Hôtel de Ville – che incarna per eccellenza il potere costituito – diventa il luogo dove si realizza una nuova spazialità orizzontale e democratica quale terreno adatto a favorire un nuovo corso per il “diritto alla città” di tutti gli oppressi: “I lavoratori che occupano L’Hôtel de Ville o che abbattono la Colonna di Vendôme non si sentono ‘a casa’ nel centro di Parigi; stanno occupando il territorio nemico, circoscrivono il proprio luogo dall’ordine sociale dominante. Così con l’occupazione, seppur breve, realizzano l’esempio di ciò che i Situazionisti hanno chiamato détournement”*.

L’evento della Comune incarna la possibilità di sospendere la dimensione spazio-temporale del Capitale aprendo un’inedita breccia insorgente. Tale discontinuità, infatti, è implicita nell’idea lefebvriana di “utopia”, e viene messa a fuoco dall’autore nella dimensione spazio-temporale – appunto – utopica, capace di spezzare il ciclo del regime dominante e aprirne uno nuovo. L’autore infatti sostiene che “tutte le rivoluzioni hanno qualcosa di profetico”*, ovvero innescano una inedita dimensione utopica spazio-temporale. Lefebvre utilizza il concetto di “utopia” per indicare la sospensione dello spazio-tempo del Capitale e il cominciamento di un nuovo corso per l’essere-in-comune fra pari. L’elemento profetico anticipa e tenta di realizzare un regime politico autenticamente democratico, nonostante la fine della Comune e le tragiche sorti dei comunardi più attivi. La “festa” della Comune scolpisce nella memoria storica degli oppressi la possibilità di una vita quotidiana diversa da quella imposta dalla logica dominante. Il popolo parigino, quando intravede la fine di fronte alla controffensiva di Thiers, decide di “morire con ciò che significa per lui molto di più che un decoro e una cornice: la sua città, il suo corpo”*. Come l’artista intrattiene uno stretto legame con la sua opera, così il proletariato urbano si sente legato alla polis: è il suo prodotto per eccellenza, sia da un punto di vista materiale che simbolico.
Il pensiero filosofico-politico che riflette sul presente della prassi sociale è dunque il quadro teorico entro cui l’autore fonda il concetto di utopia. Pensiero e azione sono fortemente legati, aprendo la storia a un nuovo corso. Agli occhi di Lefebvre, il cambiamento sociale non può essere separato da un processo di espansione utopica dei suoi presupposti. Come afferma in una delle ultime interviste prima della morte, nel gennaio 1991: “Pensare la trasformazione al giorno d’oggi ci obbliga a pensare utopicamente, ovvero prevedere molte sorti per i futuri possibili e scegliere fra essi. L’utopia è stata screditata, deve essere riabilitata. […] Questa è la funzione del marxismo nel pensiero contemporaneo” *. Tale funzione utopica, sviluppata simultaneamente nel pensiero e nella prassi concreta, è una delle responsabilità che l’autore lascia in eredità al marxismo nell’epoca della controrivoluzione neoliberale. L’utopia quindi si configura come un polo di pensiero resistenziale, che in una congiuntura storica, nonostante la pervasività dell’ideologia dominante, permette di lasciare aperti nuovi spiragli d’emancipazione. In questa direzione, nel quarto capitolo intitolato Engels e l’utopia, Lefebvre mette in luce come il fedele amico di Marx abbia sostenuto le sue tesi ne La questione delle abitazioni e ne L’Anti-Düring attraverso il recupero dell’eredità intellettuale di Fourier. Ripercorrendo passo passo i due testi, Lefebvre dimostra come Engels combatta l’“utopia astratta”, poiché le sue intenzioni sono quelle di ancorare le analisi filosofiche alla realtà pratica*. Da un lato, Düring è uno strutturalista ante-litteram * ed Engels combatte una battaglia intellettuale contro l’ossessione della sistematizzazione di un pensiero dentro una cornice teorica predefinita, dall’altro, Engels sottopone a critica i sistemi utopistici creati nell’astrattezza del pensiero separato dalla vita quotidiana, ma non l’utopia in quanto tale. A Fourier, riconosce il merito di essere stato uno dei primi ad aver messo in luce gli effetti della divisione del lavoro industriale e la necessità di superare l’antitesi fra città e campagna. Agli occhi di Lefebvre, Engels rielabora l’utopismo socialista spingendolo a diventare utopia rivoluzionaria, ovvero “utopia concreta”*. Le possibilità latenti nel presente, quindi, non vanno viste secondo una logica deterministica, né a partire da esse è lecito costruire un sistema di società da applicare a priori; al contrario, devono essere considerate come “tendenze”, e come tali sottoposte allo studio teorico. “L’utopia concreta – scrive Lefenvre – si fonda sul movimento di una realtà di cui essa scopre le possibilità”*. L’utopia combattuta da Engels, in realtà, è l’“utopia astratta” di chi “prescrive la forma in cui dovrebbe essere risolta questa o quella contraddizione dell’attuale società”*. Il bersaglio di Engels è l’atto prescrittivo di certe utopie. Tuttavia, per combattere Proudhon, non esita a riprendere Fourier poiché nelle sue pagine “sprizzano le scintille della ragione”*. L’originale interpretazione engelsiana permette quindi a Lefebvre di porre l’utopia all’interno del solco rivoluzionario tracciato dai due filosofi tedeschi.

Per concludere, l’originale contributo di Lefebvre, nel dibattito interno al campo marxista e in quello degli studi urbani, si contraddistingue in modo particolare per aver evidenziato la cruciale importanza della dimensione spaziale nella modernità capitalista propria del “secolo breve”. Per Lefebvre, l’organizzazione e la gestione dello spazio è la lente attraverso la quale leggere e interpretare l’economia politica. Questo mi sembra l’aspetto più innovativo del suo lavoro con continuare a confrontarsi. Possiamo condividere o non condividere il primato che Lefebvre attribuisce all’analisi dello spazio*, tuttavia esso rimane, fino in fondo, il terreno politico par excellence sul quale, anche nel nostro secolo, si giocano gran parte degli equilibri di potere determinati dal nuovo ordine neoliberale.


Francesco Biagi, autore della prefazione al secondo volume de Il diritto alla città di Henri Lefebvre, Ombrecorte -2018, è assegnista di ricerca presso l'Istituto Italiano per Studi Filosofici di Napoli

[*] per consultare le note bibliografiche, in uno con la lettura integrale clicca prefazione