-chiara giorgi-
PER
UN MATERIALISMO DELL'IMMANENZA
/Sulle
nostre pagine avevamo già ripreso la recensione
di Negri, ma l’approfondimento proposto dalla autrice di questo contributo sul libro
di Roberto Ciccarelli ci stimola a fare un ulteriore passaggio “promozionale”.
La lettura del volume ci chiama a dare risposte ad un interrogativo ineludibile: Cosa può oggi la forza lavoro?
È
a partire da questa domanda che si muove la ricerca costante per lo svelamento
della verità di un nuovo materialismo, al fine di appropriarsi della chiave
della cooperazione sociale -in modo irriducibile al mero uso capitalistico- e di sottrarsi alla cattura neoliberale dominante -quale determinazione storica vigente
Definirei questo
libro* un capolavoro dal sapore marxiano, nella misura in cui
rimette in circolazione non solo il concetto fondamentale di forza lavoro, ma
al contempo rimette in circolo lo stesso metodo di Marx, nel cogliere dualità,
o meglio duplicità, dei concetti, nel cogliere il carattere processuale, in
divenire, in movimento dell’oggetto della sua analisi (le trasformazioni della
forza lavoro). Da qui la forza del suo discorso, profondamente analitico ma
anche capace di incidere sulla realtà, di farsi proposta politica: scrive
subito Ciccarelli: «questo libro propone una alternativa alla futurologia
e al racconto compassionevole del lavoro, elabora una filosofia che riconosce
una centralità senza nome, quella della forza lavoro e ripristina le condizioni
della critica a partire dalla storia di individui in carne e ossa… questa
filosofia afferma un materialismo filosofico e ragiona sulla possibilità di
un’etica spinozista».
Sottolineo
qui tre elementi a mio parere centrali nel libro. La domanda da cui il testo
parte è: Cosa può oggi una forza lavoro? Il racconto è teso da
subito a demistificare una serie di luoghi comuni, di false narrazioni relative
al rapporto tra capitalismo digitale, automazione e forza lavoro, così come a
fornire argomenti rilevanti rispetto alle possibilità di una nuova
soggettivazione, contro paradigmi vittimistici forieri di sentimenti di subalternità.
Innanzitutto è la forza lavoro, nella sua duplicità immanente, a essere rimessa
al centro del discorso e dell’agire politico, ed è proprio ciò ad avere un
impatto dirompente. Parlare infatti solo di lavoro nasconde le condizioni che
lo rendono possibile, la forza lavoro appunto. È questa operazione che consente
a Ciccarelli di ricollocare al centro della scena, contro l’invisibilizzazione
della forza lavoro, i soggetti in carne e ossa, gli uomini e le donne; così
come i processi di soggettivazione e la stessa problematica della «produzione
di soggettività»1, la quale è connessa a quelle analisi del
processo di valorizzazione del capitale che fanno proprie le complesse
co-implicazioni tra lo sviluppo capitalistico e le figure soggettive tra cui si
determina il rapporto sociale che è il capitale. Cosa è allora forza lavoro?
Essa è, riprendendo l’analisi di Marx, la facoltà o capacità lavorativa che
appartiene al singolo al di là del lavoro svolto, prodotta da donne e uomini in
carne e ossa. È «uno scrigno che contiene una potenza ed è la facoltà più
importante della vita attiva», l’essere potenziale di una vita, «espressione
del corpo-mente individuale e collettivo». È facoltà singolare e comune a tutti
e tutte, che oggi per le condizioni materiali dell’organizzazione neoliberale
ha una centralità persino superiore rispetto al passato.
L’analisi
di Ciccarelli assume dunque il concetto di forza lavoro nella interpretazione
datane da Marx: ossia forza lavoro nella sua duplicità: sia forza e facoltà,
sia capacità di lavoro che attualizza una potenza, sia cioè potenza in un
soggetto determinato, potenza all’incrocio tra la definizione di forza lavoro
di Marx e quella di conatus di Spinoza (ossia potenza
eternamente in atto. Sia astrazione della merce in una produzione. Proprio
questo permette all’autore di vedere la potenza intrinseca ed eccedente
(inattuata) della forza lavoro rispetto al lavoro merce, rispetto alla sua
attualizzazione cioè in una merce. Proprio ciò gli consente di vedere lo scarto
e la differenza (politica e concettuale) tra il lavoro-merce e la forza lavoro
e di qualificare quest’ultima come esercizio di libertà e autodeterminazione,
potenzialità dell’essere umano, «corporeità vivente» nella specifica accezione
marxiana, facoltà cooperativa, facoltà delle facoltà «che esprime tanto la
personalità vivente del singolo» (che produce un valore d’uso il cui contenuto
è dato dall’intelligenza corporea e dalla corporeità intelligente della forza
lavoro), «quanto una possibilità universale e comune».
Questo
libro inoltre offre un contributo davvero preziosissimo alle analisi sulle
trasformazione del capitalismo attuale, illuminando meccanismi basilari di
quella rottura di paradigma avvenuta con la neoliberalizzazione da molti anni
rispetto al modello fordista, keynesiano, del cosiddetto embedded
liberalism per usare il linguaggio di Polanyi, rispetto al capitalismo
industriale. Nel far ciò l’autore ci consente di squarciare il velo di una
operazione fondamentale condotta dal neoliberalismo, che come razionalità di
governo, non solo economica ma anche politica, ha richiesto (come Gramsci
insegna) la costruzione di un consenso, di una legittimazione, volta tanto a
presentare come naturale una chiara costruzione sociale, politica ed economica,
fondata sulla rassegnazione politica, sull’azzeramento delle alternative;
quanto a naturalizzare la stessa idea di impresa, del soggetto impresa,
dell’individuo imprenditore di sè, esperto di se stesso, conforme all’etica
dell’impresa, della concorrenza, della valutazione, della performance, della
prestazione, dell’autovalorizzazione. Laddove è invece rilevante, giocando con
le parole, la presa esercitata dal sistema attuale su corpi, psiche, emozioni,
sulla vita tutta messa al lavoro e di contro necessaria è la costruzione di un
ordine del discorso alternativo, volto a trasformare le contraddizioni in
conflitto, fondato sulla centralità della forza lavoro come facoltà principale
umana («che sviluppa le potenzialità di una vita») non riducibile al mero uso
capitalistico e quindi protagonista di una sottrazione rispetto alla cattura
neoliberale.
Particolarmente
importanti sono le pagine dedicate alla riproduzione, intente a cogliere una
delle trasformazioni più importanti del capitalismo post-fordista, che appunto
mette al lavoro la vita in sè, superando la divisione tra lavoro produttivo e
riproduttivo. Ciccarelli riprende qui e sviluppa così le note critiche
femministe alla stessa analisi marxiana, fondate sulla problematizzazione del
rapporto tra produzione e riproduzione, sulla centralità assunta dalla
questione della riproduzione, sull’individuazione di una divisione sessuale del
lavoro presente sin dalle origini del mondo moderno, sulla cifra sessuata
dell’accumulazione originaria, del dominio capitalistico2.
Individua quei dispositivi neoliberali che, ad esempio, obbligano l’individuo
come imprenditore di se stesso «a essere libero, e con un’ingiunzione uguale e
contraria» lo inducono a «desiderare la subordinazione in cambio di una
sicurezza». Dispositivi che stravolgono, degradano l’idea stessa di libertà –
soprattutto quella femminile e femminista3 – affermando
un’autonomia che è in realtà affrancamento dalle condizioni sociali collettive,
dal contesto relazionale comune, dal terreno del conflitto, dalla «pratica di
un’attitudine critica rispetto a sé e agli altri», da quella «apertura alle
potenzialità, non determinabili a priori, contenute nella forza lavoro». Di
contro a tali stravolgimenti dei dispositivi neoliberali, la liberazione
politica a cui rinvia Ciccarelli è quella che parte dalle condizioni materiali,
pratica di donne e uomini che tornano «in contatto con il loro conatus»,
e «affermano la vita nell’immanenza del loro essere potenziale». È la
liberazione agita in comune, nel segno di una utilità reciproca, di una
riflessione critica sul modo di vivere, di una riconquistata capacità
etico-politica a partire dal rovesciamento delle condotte imposte, stabilite e
assunte. A partire da pratiche che coinvolgono le più ampie dimensioni
dell’umano e dell’assetto economico ed istituzionale, e dalla sottrazione a una
idea di libertà che riconduce la forza lavoro alla dimensione della proprietà.
Una liberazione che si dà nelle potenzialità dell’ora, nel campo della
sperimentazione – non promessa differita, né ritorno ad una nostalgica origine
– «sulla soglia dove avvengono rotture e si producono differenze».
Infine,
la mossa proposta nel libro è quella genealogica, mossa che consente
esattamente di opporsi a un ordine del discorso naturalizzante, aprendo
all’imprevisto (della politica e dell’agire dei soggetti), a un orizzonte e a
una politica della liberazione. La stessa immagine di comunismo qui ripresa è
quella della Ideologia tedesca, prescelta da Althusser, la più
materialistica: il comunismo come «il movimento reale che abolisce lo stato di
cose presente», ossia un ipotesi di comunismo che per citare Balibar «sgombera
il campo da un’interpretazione del comunismo come semplice idea regolativa» e
afferma «l’immanenza del comunismo alle lotte del presente e alle
trasformazioni che queste ultime producono nella società e nei suoi attori». Il
comunismo come «potenza che si attualizza nella storia, senza alcuna «fine
determinata»4, ipotesi, scrive Ciccarelli, «di una politica
senza fini, sperimentazione della vita come mezzo di se stessa». Un programma
di azione da costruire in una forma mai acquisita una volta per tutte.
La
genealogia proposta è volta a illuminare la condizione attuale (tramite una
individuazione di figure diverse, dal freelance, all’imprenditore di se stesso,
dal gladiatore, al lavoratore dipendente, al contrattista, appartenenti sia al
lavoro autonomo sia a quello subordinato), e soprattutto a comprendere la
«contemporaneità di condizioni non contemporanee in un nuovo sistema di
relazioni», rompendo così con una visione lineare, evoluzionista del tempo,
aprendo a salti temporali, a connessioni (e disconnessioni) altre, che rompono
con la stessa ricerca dell’origine, aprendo all’agire politico in un presente
che è già futuro, in una «vita proiettata verso l’altro da sé in un orizzonte
comune». La stessa scelta di un lavoro/metodo genealogico già di per sé parla:
essendo opposto a quello che pretende di svelare l’autentico e teso piuttosto a
reperire scarti, frizioni, tensioni e fratture rispetto alla linea retta che si
pretende di tracciare a partire dall’origine5. Nello
specifico la genealogia ristabilisce la priorità della forza lavoro sul lavoro
alienato, aprendo il campo della possibilità e dell’alternativa, delle
alternative.
Demistificare/demercificare
la forza lavoro/decostruire la merce stessa, storicizzare il concetto di forza
lavoro. Ricondurre la fonte della ricchezza (e del plusvalore) alla forza
lavoro (alla personalità vivente della forza lavoro, alla «sorgente» del lavoro
vivo, riconoscere il rapporto sociale che è il capitale e quindi il rapporto politico
tra capitalista e lavoratore, porsi dal punto di osservazione (come lo chiamava
Marx) del «segreto laboratorio della produzione», consente di individuare così
la genesi del plusvalore, della eccedenza del valore, basato appunto sulla
forza lavoro «dei senza nome e dei senza parte», sul potenziale/potenzialità
degli uomini e delle donne reali. Consente di svelare il rovesciamento operato
dal capitalismo di ieri e di oggi, di cogliere il motore del suo funzionamento,
la fonte del processo di accumulazione, vale a dire la potenza del lavoro vivo.
È a partire da ciò (dalla medesima duplicità della forza lavoro) che il libro
rilancia un materialismo nuovo, quello dell’immanenza, su cui la riflessione di
Ciccarelli da anni ruota, arricchita sempre più da un «confronto» appassionato
con i cambiamenti del presente, da una ricerca spasmodica della «verità»
(intesa però come svelamento e non certo origine o autenticità), da una
tensione alla trasformazione radicale della realtà in cui viviamo.
NOTE
1 Cfr.
S. Mezzadra, Nei cantieri marxiani. Il soggetto e la sua produzione,
Manifestolibri, 2014.
2 Si
rinvia a S. Federici, Il calibano e la strega. Le donne, il corpo e
l’accumulazione originaria, Mimesis, 2015.
3 Si
rinvia a I. Dominijanni, Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di
Berlusconi, Ediesse, 2014, p. 232.
4 Balibar,
intervista a cura di C. Giorgi, Il Manifesto, 18 gennaio 2017.
5 Cfr
Coccoli, Tabacchino, Zappino, Preludio, in Genealogie del presente. Lessico
politico per tempi interessanti, Meltemi, 2014, p.12
Roberto Ciccarelli, Forza
lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale, DeriveApprodi, 2018, pp.224