lunedì 8 gennaio 2018

abstract&screening\ IL PERCORSO INTELLETTUALE DI O’CONNOR

 -a.agustoni-

DALLA CRISI FISCALE DELLO STATO ALLA SECONDA CONTRADDIZIONE DEL CAPITALE

L’incontro con Claus Offe e Jürgen Habermas ha attirato l’attenzione di O’Connor sulla sociologia politica, sul problema della legittimazione e sul ruolo dei movimenti. Al centro di vecchi e nuovi movimenti, che danno espressione alla lotta di classe, fiscalità e spesa pubblica hanno acquisito un inedito carattere di centralità


James O’Connor è ben conosciuto, prima che per la sua proposta di un approccio “ecomarxista”, per la sua analisi della crisi fiscale dello stato. Di qui, l’estrema attualità di un autore che cerca di esaminare, dal punto di vista di un marxismo “critico”, problemi che al tempo in cui scrive sono “emergenti” e che oggi sono autentiche “emergenze”. In entrambi i casi, O’Connor osserva come il capitale esporti le proprie contraddizioni fuori dai ristretti confini della produzione, per ritrovarsi ad affrontarle quindi nel proprio ambiente: la produzione capitalistica funziona, da un certo punto di vista, come la macchina di Carnot, incapace di generare movimento senza esportare disordine al di fuori dei propri confini. Ma, diversamente dalla macchina di Carnot, che continua a compiere gli stessi movimenti, ci troviamo qui di fronte a processi storici, dove il capitalismo si espande colonizzando nuovi ambiti e nuovi territori, per ritrovarvi di volta in volta le proprie stesse contraddizioni. Un discorso di questo genere si colloca, in realtà, a pieno titolo sulla scia di un complesso di riflessioni sull’imperialismo, a partire da Hobson, Lenin e Rosa Luxemburg.
In ogni caso, esiste un filo rosso che unisce l’autore della Crisi fiscale dello stato, nei primi anni settanta, all’autore di Natural Causes un quarto di secolo dopo. Il filo rosso può essere individuato nell’analisi dei rapporti tra capitalismo, stato e movimenti sociali (dai movimenti di protesta degli anni sessanta ai movimenti ecologici degli anni ottanta e novanta). Il punto di partenza, ci riferisce in un’ottica autobiografica lo stesso O’Connor, può essere individuato negli interessi che muovono, negli anni sessanta, il lavoro di un giovane studioso di fisco e finanza pubblica – uno studioso di sinistra, che intuisce le potenzialità di una prospettiva che parta dal conflitto di classe. A dispetto della loro presunta neutralità, lo stato e la finanza pubblica sono capaci di dirci, a questo riguardo, molto più di quanto noi umani non possiamo immaginare. Il capitalismo dell’“età dell’oro” ha spostato sullo stato e sulla spesa pubblica, sul welfare e sul warfare, le proprie intrinseche dinamiche conflittuali.
(…) Similmente, il conflitto riguarda le fonti da cui attingere per sostenere la spesa pubblica: la proprietà, i profitti, i salari, il reddito delle imprese o il reddito delle famiglie, un’imposta fortemente progressiva o la famigerata flat tax, oppure? Inutile ribadire la preveggenza del sociologo ed economista americano, che già nei primi anni settanta intuisce la rivoluzione conservatrice dell’era di Reagan e Margareth Thatcher (meno investimenti sulla sicurezza sociale, una promessa non mantenuta di defiscalizzazione, crescente enfasi sull’ordine pubblico e sulla sicurezza internazionale). È come se dai luoghi della produzione il conflitto sociale si fosse spostato ad uno dei principali ambiti della riproduzione sociale, cioè lo stato, la fiscalità e la spesa pubblica.
(…) A quasi quarantacinque anni dalla sua pubblicazione, La crisi fiscale dello stato rimane un libro estremamente attuale, ancora valido nella sua tesi fondamentale, anche se alcuni aspetti andrebbero rivisti. L’avvento della globalizzazione, per esempio, è stato caratterizzato dall’affermarsi di grandi gruppi industriali a livello planetario. Per altro verso, ha tuttavia privato il settore monopolistico della protezione dei confini nazionali e, in questo modo, ha completamente scompaginato le carte del modello tripartito (settore concorrenziale, monopolistico e pubblico) che O’Connor propone agli inizi degli anni settanta. Negli anni in cui scriveva O’Connor, una sinistra che si candidasse a governare poteva ragionevolmente proporsi la statalizzazione di alcuni dei settori più consolidati e strategici dell’economia nazionale. È quello che succede, tra l’altro, all’acciaio francese, quando Mitterrand diventa presidente con il sostegno dei comunisti. Poi le cose assumono tutta un’altra piega, e i grandi gruppi nazionali entrano nel gioco di una spietata competizione a livello mondiale. A seguito della privatizzazione negli anni novanta, l’acciaio francese viene acquistato dalla Mittal: ne nasce Arcelor-Mittal, il principale gruppo in un mercato oligopolistico mondiale.

La finanza pubblica rimane al cuore delle issues politiche e dei conflitti sociali, ma in un quadro molto più complesso e frastagliato, tra rivendicazioni interne, spinte autonomistiche e “vincoli esterni”, intesi come strumenti di una governance sovranazionale. L’ambiente è una issue di livello planetario che fornisce l’occasione, tra tante contraddizioni, al consolidarsi di una tecnocrazia ecologica legata alle grandi organizzazioni internazionali. Potremmo prendere ad esempio le elezioni americane del 2016. Da un lato, la candidata democratica appoggia chiaramente l’ecologia delle organizzazioni internazionali, nella forma dei trattati sul clima. Dall’altro, sostiene anche accordi commerciali internazionali (TTIP, CETA) fortemente desiderati dai principali attori dell’economia planetaria e fortemente contestati da movimenti ecologici e sindacali. Il suo antagonista repubblicano affossa il TTIP, rifiutando peraltro anche, nel nome della crescita economica, gli accordi sul clima. Il crescente peso degli organismi tecnocratici sovranazionali e, in generale, delle expertise, sembra andare in direzione esattamente antitetica rispetto a quella democratizzazione delle istituzioni e politicizzazione delle issues che O’Connor auspicava fin dai primi anni settanta… Gli scenari si sono fatti più complessi e frastagliati: ne era consapevole anche O’Connor, quando nel 2000 scriveva la prefazione alla riedizione della Crisi fiscale dello stato; ne sono necessariamente consapevoli, ai nostri giorni, i principali protagonisti delle lotte sociali ed ambientali a livello planetario.

Effimera