-OLIVIERO
PONTE DI PINO-
l'individuo rousseauiano chiamato a
partecipare dalla mattina alla sera per esercitare i suoi doveri di cittadino,
sarebbe non l'uomo totale [la marxiana “meta civile dell’umanità”], ma il
cittadino totale … E il cittadino totale non è, a ben guardare che l'altra
faccia non meno minacciosa dello stato totale
(Norberto Bobbio)
Il
dibattito e i commenti sulla candidatura di Luigi Di Maio alla presidenza del
Consiglio riportano in primo piano il conflitto tra le due anime del Movimento
5 Stelle: quella bottom-up e “movimentista” dei meet-up, e quella top-down di
Grillo e della Casaleggio Associati. Da un lato gli Ortodossi, fedeli ai
principi egualitari delle origini, dall'altro gli Istituzionali, ovvero
l’“anima democristiana” incarnata appunto da Di Maio. Il saggio di Paolo Ceri e
Francesca Vetri, Il movimento nella rete. Storia e struttura del
Movimento 5 Stelle (Rosenberg & Sellier, Torino, 2017), esamina in
dettaglio la guerra tra la visione orizzontale e quella verticale del potere
all'interno del M5S, una doppia anima, una sorta di schizofrenia politica, che
porta subito a chiedersi se il M5S sia “espressione della crisi dei partiti o,
al contrario, fattore del suo superamento” (p. 7).
Da
un lato c'è un movimento che proclama di voler inventare e praticare la
politica 2.0, sul base del principio “uno vale uno” abbinato alla rete,
annunciando l'utopia di una democrazia digitale diretta, egualitaria,
partecipata. Dall'altro c'è un partito personale, o meglio padronale, le cui
fortune sono basate sulla figura carismatica del fondatore e leader Beppe
Grillo, oltre che sulle utopie digitali e sulle tecniche di marketing (o di
manipolazione, secondo i critici) della Casaleggio Associati.
A
partire da questa dicotomia, le analisi del Movimento 5 Stelle ricadono quasi
tutte in due grandi filoni. Da un lato c'è chi vuol salvare l'Italia dal
dilettantismo e dalla barbarie “grillina”, e in generale dal populismo (vedi
Alessandro Dal Lago, Populismo digitale, Raffaello Cortina, Milano,
2017). Dall'altro c'è chi vede nel movimento l'unico antidoto a una
partitocrazia corrotta e al saccheggio perpetrato dalla “casta”, in grado di
recuperare all'attività politica milioni di cittadini disillusi. Per alcuni i
“grillini” sono la massa di manovra degli ambiziosi padroni del partito. Per
altri sono lo slancio vitale, radicato nei territori, che risolleverà le sorti
della nazione, al di fuori di mafie e caste. Incarnando queste
contrapposizioni, il Movimento 5 Stelle – con tutti i suoi pregi e i suoi
difetti, le sue illusioni e la sua realtà – rappresenta un affascinante
laboratorio politico, utile per capire l'evoluzione della politica nel nuovo
secolo (su questa base avevo impostato il mio Comico e politico. Beppe
Grillo e la crisi della democrazia, Raffaello Cortina, Milano, 2014, sul
quale vedi l’articolo di Marco Belpoliti su doppiozero).
Il
confronto tra le due anime non spiega certo il perdurante successo elettorale
del M5S, che ha motivazioni più complesse.
In
primo luogo la presenza mediatica di Grillo e le sue gag politiche,
dall'eroicomica nuotata attraverso lo Stretto di Messina alla comparsata al
Festival di Sanremo, che nel 2013 hanno monopolizzato l'attenzione dei media e
reso visibile il “non-partito”. Bisogna poi tener conto del quadro sociale e
politico, oltre che della battaglia con gli altri partiti, a cominciare dal PD.
Ma la dialettica interna aiuta a capire la possibile evoluzione del M5S.
Allargando l'orizzonte, viene da chiedersi se le nuove forme della politica 2.0
siano davvero praticabili e in quali forme, con quali procedure.
Il
saggio di Ceri e Veltri ripercorre la cronologia del partito, almeno per quanto
può essere documentata, senza indulgere al complottismo e cercando di allineare
i fatti (anche se la posizione degli autori emerge con nettezza). L'indagine è
condotta su due versanti: “Per capire la natura di un movimento sociale occorre
osservare soprattutto le istanze e le forme dell’attivismo di base; per capire
la natura di un movimento politico si devono osservare gli orientamenti e la
struttura della leadership” (p. 12).
Grillo
ha fondato il suo blog nel gennaio 2005, nell'era del web 1.0, con la
complicità di Davide Casaleggio. È stato lui a proporre, pochissimi mesi dopo,
nel luglio 2005, la creazione dei Meetup Amici di Beppe Grillo, tipico
strumento del web 2.0. Il partito nascerà solo nel 2009. Per Ceri e Veltri,
questo “peccato originale” segna l'evoluzione successiva: “è mancata la fase
genetica nella quale la partecipazione e la mobilitazione collettive sono
talmente fuse da non essere distinguibili, così come sul piano soggettivo non è
possibile distinguere quanto sia l’azione degli individui a creare il movimento
e quanto questi siano portati dalla sua corrente” (p. 289). Questo non è
avvenuto, il peso della leadership è stato e continua a restare
determinante.
Lo
scontro tra le due anime è in atto almeno dal 2007, ma a prevalere finora sono
stati Grillo e Casaleggio. Il destino dei meet-up ricorda il destino dei Soviet
“normalizzati” dai bolscevichi e da Lenin, o l'involuzione leaderistica delle
assemblee del '68, presto militarizzate dai gruppuscoli marxisti-leninisti. Per
garantirsi l'unanimità, la leadership del M5S innesca un feroce meccanismo di
espulsioni, con gogne e mini-plebisciti digitali assai poco democratici. Dal
febbraio 2013 al gennaio 2015, i due gruppi parlamentari del M5S perdono quasi
un quarto dei loro membri: 18 senatori su 54 e 17 deputati su 109. La feroce
gestione del dissenso garantisce l'unanimità interna e non indebolisce il
movimento, anzi ne rafforza la coesione relegando i reietti alla marginalità
politica senza intaccare la base elettorale (come era accaduto per la Lega). Il
leader può così presentare proposte approvate plebiscitariamente, in apparenza
univoche e dunque non negoziabili. In questo si nasconde la vocazione
totalitaria del M5S: “In guerra, fintanto che deve essere guerra, non vi è
spazio per l’apertura, il negoziato, il compromesso. Ogni passo, anche minimo,
in tal senso è giudicato un cedimento, un tradimento. Pertanto, solo in
apparenza vi è contraddizione tra una concezione che vede nei partiti e nei
politici il male assoluto e nei propri eletti l’alternativa senza macchia. Vi è
anzi un’intima coerenza. Peccato mortale è infatti considerata l’intesa con i partiti,
con il nemico. Non occorre si tratti di un’alleanza, basta l’accenno a
un’apertura di dialogo” (p. 237).
Nel
corso degli anni, il M5S cerca di strutturarsi come partito, almeno in
apparenza. Vengono via via creati organi interni di coordinamento (il
Direttorio) e di garanzia, che però si ritrovano spesso schiacciati tra
un'investitura che arriva imperscrutabilmente dall'alto e la confusa e rissosa
domanda di partecipazione che sale dal basso. La sintesi tra le diverse
“volontà individuali” e la “volontà generale”, garantita dal “portavoce
Grillo”, resta sempre precaria, e alla fine dev'essere determinata con un gesto
autocratico.
Gli
organi territoriali del Movimento, cui viene in apparenza lasciata ampia
autonomia, non riescono a coordinarsi tra loro ed esprimere una volontà
politica comune, e le direttive a livello nazionale restano appannaggio dei
leader (che per sondare la “pancia” del movimento dispongono dei big data della
piattaforma digitale). Per Ceri e Veltri è cruciale il fallimento del Meetup
280, il tentativo più organico di coordinamento interno “dal basso”, presto
disinnescato dal vertice. Le conseguenze politiche di questa frattura tra i
territori e il centro sono evidenti: “Se sul tappeto sono, per fare due esempi,
problemi come la chiusura di un campo rom o l’accoglimento dei profughi, le
decisioni relative hanno condizioni e conseguenze giuridiche, economiche e
morali – in una parola, politiche – di portata nazionale o internazionale” (p.
231).
Un
primo giudizio sulla storia del M5S può rientrare nella tradizionale aneddotica
politica: un movimento allo “stato nascente” si istituzionalizza, come è forse
necessario e inevitabile, grazie anche alla furbizia e al cinismo del leader
carismatico, e tenta la scalata al potere (ovvero entra nelle istituzioni). Il
titolo del libro allude ironicamente a questo: la rete è il terreno in cui si
sviluppa la proposta politica, ma è anche la rete in cui il movimento viene
intrappolato (o si mette in trappola). In questa ricostruzione Grillo e
Casaleggio non ci fanno una gran bella figura, ma intanto la strategia funziona
e il M5S continua a vincere le elezioni: non è una meteora come lo sono stati
Poujade o l'Uomo Qualunque di Giannini. Anzi, Grillo ha aperto la strada ad
altri movimenti analoghi in Europa.
Se
ci si astrae dalle beghe e dalle inquietudini politiche italiane, il M5S
rappresenta un interessante esperimento di innovazione politica. In Occidente,
la democrazia rappresentativa sta attraversando una profonda crisi, le vecchie
organizzazioni novecentesche non funzionano più. Berlusconi e Trump sventrano i
partiti tradizionali. Un comico diventa influente leader politico. Ma allora
dobbiamo rassegnarci alle “democrature” alla Putin o alla Erdogan, dove si salvano
le forme ma non la sostanza? O possiamo inventare nuove forme di partecipazione
e deliberazione?
Il
movimento nella rete ci
aiuta a capire quanto sia complessa e fragile la democrazia. Difenderla (o
diffonderla) è una battaglia quotidiana. La lotta si fa ancora ancora più
difficile se vogliamo reinventarla, per superare i tradizionali modelli
parlamentari, raffinati negli ultimi secoli ma ora forse resi obsoleti dalle
opportunità della rete, a cominciare dell'utopia delle piattaforme per il voto
online.
La
“piattaforma elettronica accessibile a tutti, destinata alla deliberazione
condivisa e non solo al voto” (p. 120), viene promessa già nell'incontro al
Teatro Smeraldo del 4 ottobre 2009. Un post di Grillo dell’aprile 2010 annuncia
che verrà messa in funzione entro il 30 giugno dello stesso anno, anche se la
piattaforma online nazionale, destinata esclusivamente a fornire agli attivisti
la possibilità di selezionare in prima persona i candidati alle elezioni
politiche, entra in funzione solo a fine 2012: è lì che i candidati alle
primarie per il Parlamento postano i loro video autopromozionali. Oltre a
quelle attive all'estero, vengono progettate piattaforme alternative: il
portale Unovaleuno.it, creato nel 2010 da attivisti di Reggio Emilia,
Airesis o Agorà 2.0, Parelon (presentato dal “Fatto Quotidiano” come
piattaforma ufficiale del Movimento). Sappiamo già che non può esistere un sistema
elettorale perfetto. È il paradosso di Condorcet, dimostrato da Kenneth Arrow
nel 1961: nei sistemi elettorali si possono creare situazioni circolari in cui
i vari candidati vincono uno sull’altro, a seconda dell’ordine in cui si
effettuano le votazioni. Aumentare la complessità del sistema, per farsi carico
non solo del semplice meccanismo della votazione ma anche di quello ancora più
sfaccettato della partecipazione, non elimina il problema. Al massimo lo
occulta.
Nel
2013 entra in vigore, dopo anni di attesa, il ‘sistema operativo’ fornito dalla
Casaleggio Associati, che “si occuperà di: (a) decisioni; ossia la possibilità
per gli iscritti di votare 'su temi di interesse nazionale o del MoVimento';
(b) interazioni; la possibilità tramite forum di discutere su temi locali; (c)
elezioni; la possibilità di selezionare le candidature sia a livello nazionale
che locale; (d) leggi; i cittadini potranno discutere le leggi presentate dai
parlamentari e proporne di proprie; (e) raccolta fondi (p. 183). Il 1° agosto
2017 viene lanciata la nuova piattaforma Rousseau, immediatamente violata: gli
attacchi hacker e le polemiche che ne conseguono portano alla luce il problema
della sicurezza, ma anche quello della regolarità delle elezioni. Senza
dimenticare la dialettica tra l'esigenza della trasparenza e quella della
privacy (a partire dalla segretezza del voto). Emerge inoltre la questione
della proprietà e dell'uso dei big data, raccolti da una piattaforma che
registra le preferenze di centinaia di migliaia di cittadini. La lezione non è
bastata, i profeti della democrazia digitale restano dilettanti informatici. Il
21 settembre 2017, in occasione delle primarie Di Maio vs. i “sette nani”
(visto che nessun leader aveva avuto il coraggio di affrontarlo), la piattaforma
Rousseau collassa “per sovraccarico” e il seggio elettronico deve essere
riaperto la mattina dopo.
Un
altro livello critico riguarda il rapporto tra la democrazia partecipativa,
ovvero la discussione aperta per definire l'agenda politica e per definire
programmi e proposte, e la fase deliberativa, quella del voto. Per Cerri e
Veltri la storia del M5S è stata anche un lungo “scontro interno fra forme di
democrazia partecipativa e deliberativa e l’uso di una democrazia diretta
basata principalmente sul voto” (p. 173). I leader del M5S, con la complicità
dei media che enfatizzano l'aspetto agonistico, spingono verso una democrazia
plebiscitaria, a cominciare dalle varie forme di primarie o parlamentarie, che
possono assumere la forma degradata del sondaggio televisivo o del talent
show.
In
fasi politiche di questo tipo si creano diversi livelli di partecipazione: alla
base i semplici elettori che si limitano a mettere la croce sulla scheda, poi i
militanti (i fan) che seguono l'attività del movimento; al vertice s'insediano
gli attivisti, i militanti a tempo pieno che tendono a diventare una casta e
sequestrano di fatto il dibattito, con il rischio di allontanarsi dal “comune
sentire”: “Spesso si creano queste due realtà: il movimento civico e il movimento
politico. Il primo con attivisti simpatizzanti e impegnato in più fronti non
vuole che tutto si esaurisca nella competizione elettorale, apertura e chiusura
della lista, vittoria e non delle elezioni. Ma che si crei di più il concetto
di movimento e interazioni fra esso” (p. 123). Se alle difficoltà tecniche e
all'arroganza dei rivoluzionari di professione si aggiungono le molestie dei
troll, l'epidemia di commenti off topic, i fake, i sospetti di manipolazione,
le purghe, si capisce perché la partecipazione sulle varie piattaforme
diminuisca drasticamente.
Una
democrazia diretta e partecipata tende a trasformare tutti i cittadini in
militanti (e rivoluzionari) a tempo pieno, come notava Norberto Bobbio. A
questo punto sorgono alcune difficoltà. In primo luogo, è materialmente
impossibile “che tutti decidano su tutto in società sempre più complesse come
sono le società industriali moderne”. Ma se anche diventasse possibile, se
disponessimo degli strumenti tecnici adeguati, questo non sarebbe auspicabile “dal
punto di vista dello sviluppo etico e intellettuale dell'umanità. Negli scritti
giovanili Marx aveva additato come meta civile dell'umanità l'uomo totale. Ma
l'individuo rousseauiano chiamato a partecipare dalla mattina alla sera per
esercitare i suoi doveri di cittadino, sarebbe non l'uomo totale, ma il
cittadino totale (…) E il cittadino totale non è, a ben guardare che l'altra
faccia non meno minacciosa dello stato totale” (Norberto Bobbio, Il
futuro della democrazia. Una difesa delle regole del gioco, Einaudi,
Torino, 1984, pp. 30-31).
Il
rapporto tra “professionisti” e “dilettanti” della politica si intreccia con la
barriera della competenza: “non sempre i commentatori sono in grado di valutare
correttamente l’effettiva fattibilità degli emendamenti proposti dagli altri
iscritti. Non basta dunque che i commenti siano apprezzati da un numero elevato
di utenti – di cui nessuno, al di fuori dei gestori della piattaforma, conosce
la quantità precisa – perché questi diventino davvero parte della legge” (p.
186). Malgrado gli strali contro la “dittatura degli esperti”, quasi
inevitabilmente si forma un ceto di professionisti della politica (e della
pubblica amministrazione) in grado di raccogliere consenso, magari al di là
della competenza specifica. Ma questo processo determina di fatto le modalità
di formazione e di selezione della classe dirigente, un altro tema cruciale
dell'evoluzione (o dell'involuzione) della società civile. Da queste scelte
dipende la possibilità di tenuta di una forza politica nel medio termine.
Di
Maio sta cercando di ottenere la candidatura a premier della prima forza
politica italiana (a giudicare dai sondaggi). Il processo evidenzia molte delle
contraddizioni evidenziate da Ceri e Veltri. Sono altrettanto emblematiche le
reazioni degli osservatori. Da un lato, l'avvento di Di Maio viene salutato
positivamente come indizio della normalizzazione del partito, con “una offerta
politica più tradizionale e rassicurante”. Insomma, “ora i 5stelle sono un po'
più uguali agli altri e nel senso migliore dell'espressione”. Tuttavia, si
argomenta, “quella di Di Maio rischia di somigliare più a una nomina che a
un'elezione. Un modo per legalizzare l'arbitrarietà del potere interno, non per
superarla” (Stefano Cappellini, I gradi del leader e un'elezione che sa
di nomina, “la Repubblica”, 16 settembre 2017).
In
gioco, nel “reality politico” del M5S, non c'è solo la leadership di uno dei
tanti partiti in uno dei tanti parlamenti del mondo, in uno staterello a
sovranità limitata e marginale nel mondo globalizzato. C'è di più. Per le
speranze che ha suscitato, per i processi che ha innescato, l'avventura
politica del M5S è una cartina di tornasole che illumina i processi
democratici: il “sismografo Grillo” “ha registrato due sommovimenti profondi e
contemporanei: lo smottamento del sistema di potere in un paese inerte, e
l'impatto della rete sulle procedure della democrazia” (Oliviero Ponte di
Pino, Comico e politico, p. 243).
Chissà
se ora il “partito del Grillo” diventerà davvero un partito normale, creando un
nuovo sistema di potere. A leggere Ceri e Veltri, c'è da temere che diventi un
partito “più uguale degli altri”, accentuando nella sua caccia al voto le
venature populiste, demagogiche, autoritarie. Se accadesse, e se il sogno
democratico dei meet-up venisse seppellito, sarà necessario rilanciare la
promessa – o l'invenzione – di una politica diversa, con modalità di
partecipazione attiva che rispondano alle attese e alle abitudini delle giovani
generazioni. Se i vecchi partiti non sapranno reinventarsi, (e non sembrano in
grado di farlo), toccherà a qualcun altro. Magari ci proverà Google, che già
pratica la democrazia digitale, “un clic un voto”. O Facebook, con la formula
“un MiPiace un voto”. Il rischio è davvero quello del “populismo digitale”. Ma
come aumentare la consapevolezza e il senso di responsabilità di ciascuno,
contro le facili scorciatoie della demagogia e della manipolazione? Non sarà
facile, ma è l'unico modo per provare a salvare la democrazia, o quello che ne
resta: sognare una democrazia 2.0 più compiuta e vicina ai cittadini.
Oliviero
Ponte di Pino è autore di Comico&Politico. Beppe Grillo e la crisi
della democrazia, Cortina editore, 2014