-ASSEMBLEA MONTEVERGINI-
“Né pubblico, né privato. Comune”/
laboratori
sociali di sperimentazione «degli usi civici
per luoghi sensibili considerati patrimonio collettivo»/
"diritto alla città" è la riappropriazione degli
spazi e del tempo/
per una pratica di cittadinanza sostanziale e concreta/
l’autonomia civica basata sulla condivisione di saperi, competenze, bisogni e
desideri/
configurazione di nuovi rapporti costituente dal basso/
istituzioni
autodeterminate e nuove modalità autogestionali
«Tutta la grande arte nasce da un senso d’indignazione»
Ad
inizio marzo saranno cinque mesi dalla liberazione del Montevergini e
dall’avvio della sperimentazione di gestione condivisa attraverso un’assemblea
aperta e orizzontale. Per circa un mese e mezzo la sala dell’atelier, ad oggi
la sola apertamente fruibile dalla cittadinanza, è stata vissuta giorno e notte
per poter garantire stabilità e continuità al processo. Questo periodo,
necessario ad avviare una discussione pubblica sul tema degli usi civici, è
stato anche il momento in cui si è elaborata una riflessione sui principi di
informalità, orizzontalità, mutualismo, cooperazione e inclusività e sugli
strumenti di gestione di un bene collettivo. La Dichiarazione di uso civico
nata attraverso assemblee, tavoli tematici e dal confronto con altre esperienze
di autogoverno in Italia – L’Asilo e Massa Critica a Napoli, Mondeggi Bene
Comune a Firenze, Cavallerizza a Torino, Casa Bettola a Reggio Emilia – è il frutto
della prassi istituente di una comunità che si è voluta definire eterogenea,
mutevole e solidale, non autoritaria e libera da ingerenze esterne. Questa
natura aperta e non-identitaria che si riconosce al luogo e ai rapporti che si
generano al suo interno, prima ancora che dei gruppi che lo attraversano, fa sì
che oggi si possa dire che la sperimentazione di gestione comune funziona e che
è base necessaria per l’autopromozione di relazioni sociali ed economiche
alternative a quelle competitive e predatorie dell’individualismo
utilitaristico. L’uso civico del Montevergini ed in generale le esperienze di
auto-organizzazione ispirate ai principi di cooperazione e mutualismo sono
opportunità di creare un confronto diretto tra le persone senza il vincolo di gerarchie,
ruoli o burocrazie amministrative, quindi in virtù di una socialità non
pre-determinata. “Né pubblico, né privato. Comune” e la sperimentazione degli
usi civici per luoghi sensibili considerati patrimonio collettivo, non
significano la concessione o la celebrazione di un diritto acquisito, ma l’idea
di un fare città riappropriandosi degli spazi e del tempo per una pratica di
cittadinanza sostanziale e concreta basata sulla condivisione di saperi,
competenze, bisogni e desideri, che configura anche un nuovo rapporto alle
istituzioni e alle modalità stesse di governo. I presupposti di partecipazione
e autonomia civica, nel ripudio di fascismo, sessismo, razzismo e omofobia,
sono ciò che rende sostenibile una pratica comunitaria di questo tipo e da cui
sono nati laboratori performativi e di ricerca nelle arti, presentazioni di
libri, riviste e produzioni musicali, incontri pubblici in ambito culturale,
sociale e scientifico, assemblee cittadine su reddito, diritto all’abitare e
diritti civili, percorsi di contaminazione tra culture e momenti di confronto
con altre esperienze di democrazia diretta. Si tratta di processi che
connettono realtà esistenti, ma che soprattutto favoriscono la presa di parola
e l’attivazione di persone e soggettività non necessariamente strutturate. Il
Montevergini come uso civico, sui principi e le modalità di gestione che
l’assemblea ha individuato, è questo piano di immaginazione e campo di
possibilità che merita, oltre il pieno riconoscimento della pratica, spazi e
tempi adeguati ai progetti e alle energie liberate dal processo di condivisione
presenti e future. E gli spazi sono quelli di una struttura che può accogliere
ai diversi piani e in autogestione biblioteche, radio, percorsi formativi,
luoghi di convivialità e discussione. In questi mesi è avvenuto un
riconoscimento di fatto da parte dell’Amministrazione, che ancora però non si è
trasformato in atto formale. Da questo punto di vista, la scrittura
partecipativa di regolamenti e delibere, oltre che essere garanzia di trasparenza,
è uno strumento che le comunità di riferimento possono e dovrebbero fare
proprio – anche al di là degli usi civici – in materia di pianificazione e
attuazione di strategie di governo, rendendo effettiva l’idea di una
condivisione amministrativa determinata dalla partecipazione dal basso.