di Toni Casano
-L’unica
cosa a essere cresciuta a dismisura sono le diseguaglianze, intollerabili
eticamente nonché fattore di depressione perché storicamente sono le classi
inferiori a spendere di più. Infatti il problema è la carenza di domanda
aggregata-
Il premio Nobel per l’economia Joseph
Stiglitz è stato tra i pochi economisti, assieme a Varoufakis, ad avere un anno
fa consigliato il premier greco Tsipras a sganciarsi dal carro-Euro se voleva
salvare la sua gente da “sacrifici indicibili di cui –fino ad ora- non si vede
la fine”. Ed ancora oggi spera “che la Grecia lasci l’euro nel suo interesse”.
Questo il giudizio secco che ha espresso in una
intervista rilasciata a “la Repubblica” del 21-8-2016. Ciononostante il Nobel
del 2011 non è in assoluto antieuro. Anzi considera la moneta unica come
un fondamentale passo per una Europa unita. Infatti nel recente libro "L’euro
e la sua minaccia al futuro dell’Europa” il Nostro precisa il suo
pensiero, invocando una maggiore flessibilità monetaria da parte delle
istituzioni-UE.
Nel merito dice: “Ci sono diverse ipotesi.
Mantenendo tutte le caratteristiche di un mercato comune e aperto, potrebbe
staccarsi la Germania che cresce anche se non in maniera clamorosa. Oppure
andrebbe creato un euro del nord e uno del sud. Non c’è nessuna prova che
l’euro abbia mai dato un contributo alla prosperità dell’Europa ma ci sono
molte prove che ha funzionato da amplificatore delle recessioni fino a
inchiodarla a stagnazione di cui non si vede la fine”.
Insomma è ora di smetterla con i
fondamentalismi mercatisti, secondo cui la convinzione prioritaria è quella di
stabilizzare dapprima il bilancio pubblico e successivamente, come d’incanto,
sarà il mercato a risolvere tutto. Questo era il mantra della reaganocis
negli anni della Supply Side: l’America reaganiana ha sperimentato
l’austerity, a cominciare dal taglio dei dipendenti pubblici scesi di mezzo
milione di unità. “L’unica cosa a essere cresciuta a dismisura –osserva
Stiglitz- sono le diseguaglianze, intollerabili eticamente nonché fattore di
depressione perché storicamente sono le classi inferiori a spendere di più.
Infatti il problema è la carenza di domanda aggregata”. Orbene è proprio dalla
disamina degli effetti della supply side, cioè del sistema di sostegno
economico allo sviluppo dal “lato dell’Offerta”, che giunge il grido
d'allarme per reclamare l'urgente inversione di rotta e che rilanci una
nuova stagione europea di stimolo della domanda d'impronta neokeynesiana.
L'ipotesi ottimale sembrerebbe quella
di dotare le istituzioni-UE con strutture capaci di sostenere l’integrazione
monetaria, ovvero una unione bancaria dotata -tra l'altro- di "un’efficace
assicurazione comune sui depositi, programmi di solidarietà in grado di aiutare
concretamente i Paesi che restano indietro” (ivi compresa la Grecia, dovrebbero
convenire a questo punto Stiglitz e Varoufakis, una volta mutante le condizioni
generali dell’adesione all’eurozone).
Ma il vero salto innovativo della
proposta complessiva è l’istituzione di un dicastero europeo delle Finanze che
-secondo Stiglitz- gestisca direttamente la politica economica con un proprio
bilancio comunitario che guardi alla messa a punto di una leva impositiva che
prioritariamente introduca “tasse comuni sulle transazioni finanziarie e sulle
grandi proprietà oggi frammentate e troppo basse”, le cui risorse sarebbero
necessarie ad una politica espansiva capace, altresì, di pianificare un quadro
di investimenti pubblici maggiore di quelli attualmente finanziati e che lo
stesso programma di immissione di liquidità (il QE-Quantitative Easing), attraverso il sistema di mediazione
finanziaria, non è stato in grado di generare. Non a caso non pochi economisti
cominciano a pensare che il "QE" erogato dalla BCE, al fine di
stimolare la ripresa economica, possa giungere per via diretta ai consumatori
piuttosto che con l’intermediazione bancaria, quindi con un aumento sostanziale
della spesa pubblica (sblocchi dei contratti, aumento delle pensioni, nuovi
ammortizzatori sociali universali, etc.). Esattamente l’opposto delle politiche
in atto perseguite.
di Toni Casano
-L’unica
cosa a essere cresciuta a dismisura sono le diseguaglianze, intollerabili
eticamente nonché fattore di depressione perché storicamente sono le classi
inferiori a spendere di più. Infatti il problema è la carenza di domanda
aggregata-
Il premio Nobel per l’economia Joseph
Stiglitz è stato tra i pochi economisti, assieme a Varoufakis, ad avere un anno
fa consigliato il premier greco Tsipras a sganciarsi dal carro-Euro se voleva
salvare la sua gente da “sacrifici indicibili di cui –fino ad ora- non si vede
la fine”. Ed ancora oggi spera “che la Grecia lasci l’euro nel suo interesse”.
Questo il giudizio secco che ha espresso in una
intervista rilasciata a “la Repubblica” del 21-8-2016. Ciononostante il Nobel
del 2011 non è in assoluto antieuro. Anzi considera la moneta unica come
un fondamentale passo per una Europa unita. Infatti nel recente libro "L’euro
e la sua minaccia al futuro dell’Europa” il Nostro precisa il suo
pensiero, invocando una maggiore flessibilità monetaria da parte delle
istituzioni-UE.
Nel merito dice: “Ci sono diverse ipotesi.
Mantenendo tutte le caratteristiche di un mercato comune e aperto, potrebbe
staccarsi la Germania che cresce anche se non in maniera clamorosa. Oppure
andrebbe creato un euro del nord e uno del sud. Non c’è nessuna prova che
l’euro abbia mai dato un contributo alla prosperità dell’Europa ma ci sono
molte prove che ha funzionato da amplificatore delle recessioni fino a
inchiodarla a stagnazione di cui non si vede la fine”.
Insomma è ora di smetterla con i
fondamentalismi mercatisti, secondo cui la convinzione prioritaria è quella di
stabilizzare dapprima il bilancio pubblico e successivamente, come d’incanto,
sarà il mercato a risolvere tutto. Questo era il mantra della reaganocis
negli anni della Supply Side: l’America reaganiana ha sperimentato
l’austerity, a cominciare dal taglio dei dipendenti pubblici scesi di mezzo
milione di unità. “L’unica cosa a essere cresciuta a dismisura –osserva
Stiglitz- sono le diseguaglianze, intollerabili eticamente nonché fattore di
depressione perché storicamente sono le classi inferiori a spendere di più.
Infatti il problema è la carenza di domanda aggregata”. Orbene è proprio dalla
disamina degli effetti della supply side, cioè del sistema di sostegno
economico allo sviluppo dal “lato dell’Offerta”, che giunge il grido
d'allarme per reclamare l'urgente inversione di rotta e che rilanci una
nuova stagione europea di stimolo della domanda d'impronta neokeynesiana.
L'ipotesi ottimale sembrerebbe quella
di dotare le istituzioni-UE con strutture capaci di sostenere l’integrazione
monetaria, ovvero una unione bancaria dotata -tra l'altro- di "un’efficace
assicurazione comune sui depositi, programmi di solidarietà in grado di aiutare
concretamente i Paesi che restano indietro” (ivi compresa la Grecia, dovrebbero
convenire a questo punto Stiglitz e Varoufakis, una volta mutante le condizioni
generali dell’adesione all’eurozone).
Ma il vero salto innovativo della
proposta complessiva è l’istituzione di un dicastero europeo delle Finanze che
-secondo Stiglitz- gestisca direttamente la politica economica con un proprio
bilancio comunitario che guardi alla messa a punto di una leva impositiva che
prioritariamente introduca “tasse comuni sulle transazioni finanziarie e sulle
grandi proprietà oggi frammentate e troppo basse”, le cui risorse sarebbero
necessarie ad una politica espansiva capace, altresì, di pianificare un quadro
di investimenti pubblici maggiore di quelli attualmente finanziati e che lo
stesso programma di immissione di liquidità (il QE-Quantitative Easing), attraverso il sistema di mediazione
finanziaria, non è stato in grado di generare. Non a caso non pochi economisti
cominciano a pensare che il "QE" erogato dalla BCE, al fine di
stimolare la ripresa economica, possa giungere per via diretta ai consumatori
piuttosto che con l’intermediazione bancaria, quindi con un aumento sostanziale
della spesa pubblica (sblocchi dei contratti, aumento delle pensioni, nuovi
ammortizzatori sociali universali, etc.). Esattamente l’opposto delle politiche
in atto perseguite.