di David
Graeber-
i
sollevamenti popolari non assumono più né
la forma della rivoluzione armata né
del tentativo
di trasformare il sistema dall’interno;
la prima mossa è sempre
quella di creare un
territorio completamente al di fuori del sistema e,
se
possibile, al di fuori dell’ordine legale dello
stato: uno spazio prefigurativo
in cui nuove
forme di democrazia diretta possano essere immaginate
Quello
che abbiamo visto nei notiziari di questa settimana, che hanno affiancato le
rivelazioni dei Panama Papers e l’emergenza delle Nuit Debout nelle strade di
Parigi e di altre città francesi, è la lotta tra due forme diverse di
solidarietà, tra due culture globali — la prima, fin troppo sviluppata, la
seconda, ancora nascente.
La
prima è la solidarietà dei detentori di ricchezza e potere o, più precisamente,
di coloro la cui ricchezza è fondata sul loro potere; l’altra è l’emergenza di
nuove forme di democrazia rivoluzionaria che assumono sempre più una dimensione
planetaria. Ognuna si fonda sulla creazione di spazi al di fuori della struttura
formale dello stato. Ciò che comincia a essere evidente, a partire dalla
dimostrazione di forza da parte della polizia ieri sera, è la maniera diversa
di reagire a ognuna di queste da parte delle “forze della legge”.
I
Panama Papers evidenziano soprattutto una classe politica globale in ultima
istanza fedele a sé stessa. Nawaz Sharif, Robert Mugabe, Vladimir Putin o David
Cameron … per quanto si guardino di traverso sulla scena mondiale, quando si
tratta di ciò che conta realmente per loro in quanto esseri umani (la sicurezza
finanziaria dei loro figli, ad esempio) mettono in campo una solidarietà
straordinaria. Ciò è in evidente contrasto con quello che gli stessi pensano
della sicurezza e della salute dei figli di praticamente tutti gli altri — altri
che i membri del loro unico pubblico di riferimento: gli altri membri dell’1%
globale.
Eppure
anche per chiunque abbia un’idea di come la ricchezza è realmente accumulata
nel mondo odierno c’è qualcosa di realmente sconcertante in queste rivelazioni:
perché è così importante per queste persone innanzitutto non pagare le tasse? È
meno ovvio di quel che sembra. Dato che la ricchezza delle classi dominanti
dipende in maniera crescente dalla speculazione finanziaria, non si parla più
di proteggere il commercio e l’industria dalle mani fameliche dello stato;
quasi tutte queste fortune nascono dalla collusione con lo stato. Se il tuo
reddito è basato sul controllo delle leve del potere, perché metterlo al sicuro
a Panama? Non sarebbe più facile estrarre il doppio e poi restituire
ostentatamente la metà del ricavato come gesto di lealtà?
È
difficile non trarre la conclusione che l’avidità non è la motivazione
primaria, ma il puro potere. La creazione di questi paradisi fiscali è la
creazione non esattamente di uno stato di eccezione della sovranità. È
piuttosto uno stato di eccezione finanziaria, all’interno dell’ordine globale
legal-burocratico che sta emergendo i cui beneficiari sono gli stessi
architetti.
Un sistema
amministrativo unificato
La
creazione di questo ordine è probabilmente il fenomeno storico più importante
delle ultime due generazioni. Mai prima d’ora il pianeta ha visto qualcosa di
simile, un sistema amministrativo unificato.
Che
cosa fu dopo tutto il movimento alterglobalizzazione del passaggio di secolo se
non la prima ribellione sociale contro questo sistema burocratico planetario
emergente? Come partecipante ad alcune delle più note battaglie — a Washington,
Québec City, Genova — posso testimoniare che era esattamente così che ci
vedevamo. Ciò che veniva battezzato “globalizzazione”, come processo naturale e
inevitabile spinto dal “libero commercio” e da internet, veniva in realtà
creato e alimentato da una schiera infinita di grigi funzionari che lavoravano
per burocrazie pubbliche e private, o ancor più in una zona grigia nel mezzo:
FMI, OMC, TTIP, Goldman Sachs, Crédit Suisse, Standard & Poors, o Bechtel,
con lo scopo ultimo di proteggere la ricchezza e il potere di una minuscola
élite. Quello che apprendiamo ora è fino a che punto i membri di questa élite
considerino un principio che quelli in posizione di imporre leggi al resto del
mondo non debbano essi stessi sottostare alle leggi.
Una nuova
civilizzazione insorgente
Come
combattere un nemico antidemocratico che si situa al di fuori di qualunque
ordine politico e nazionale? La nostra soluzione è stata creare spazi di
democrazia anche loro al di fuori dell’ordine politico e legale: spazi
prefigurativi, come li chiamavamo, che diventarono anche zone di
sperimentazione di democrazia diretta e senza leader. Queste nuove forme di
democrazia non erano, né esclusivamente né principalmente, un prodotto
dell’Europa o dell’America del nord; erano, come dicevamo, parte di una nuova
civilizzazione insorgente, planetaria per portata e ambizione, nata da una
lunga convergenza di esperimenti simili realizzati in ogni parte del pianeta,
dalle foreste del Chiapas e del Brasile ai villaggi del Karnataka in India,
dagli squat da Lisbona a Quito, con contributi essenziali dal femminismo, dall’anarchismo,
e dalle tradizioni della disobbedienza civile nonviolenta; un repertorio di
concetti, tattiche, gesti, infinitamente alimentati ed elaborati in migliaia di
varianti locali, che sarebbero esplosi nelle piazze pubbliche attraverso il
mondo un decennio più tardi, da Tahrir a Syntagma allo Zuccotti Park.
Il
grande sociologo storico Immanuel Wallerstein ha sostenuto che ogni vera
rivoluzione è una rivoluzione mondiale. In alcune le battaglie nelle strade
ebbero luogo tutte in un solo luogo (1789, 1917), in altre (1848, 1968) sparse
in tutto il globo, ma in ogni caso trasformarono il sistema-mondo stesso.
Questo prese soprattutto la forma di una trasformazione profonda del senso
comune politico. In questo senso la Rivoluzione francese del 1789 fu la
rivoluzione moderna per antonomasia perché i suoi effetti a questo livello
furono i più radicali. Se vent’anni prima della presa della Bastiglia uno
avesse suggerito alla persona media, per esempio, che il cambio sociale è una
cosa buona, che è compito dello stato gestire tale cambio, o che il governo
trae la sua legittimità da un’entità chiamata “popolo”, sarebbe stato trattato
da dilettante da bar o da agitatore. Vent’anni dopo la rivoluzione anche il più
compassato ecclesiastico o preside di scuola doveva almeno fare finta di
credere in quelle idee.
Creare un territorio al
di fuori del sistema
E
che dire di quella che Wallerstein già chiama “la rivoluzione mondiale del
2011”? Senza dubbio ci vorranno molti anni per apprezzarne il vero significato
storico. Ma è davvero possibile che gli storici del futuro la vedranno come il
segno di un altro profondo passaggio nella concezione popolare di ciò che è un
movimento rivoluzionario, o piuttosto democratico. Esperti convenzionali e
teorici marxisti non si stancano mai di proclamare il fallimento dei movimenti
del 2011, ma se la Turchia, il Brasile, la Bosnia, Hong Kong — e ora la Francia
— significano qualcosa è perché hanno cambiato per sempre il linguaggio proprio
della democrazia popolare. In ogni caso i sollevamenti popolari non assumono
più né la forma della rivoluzione armata né del tentativo di trasformare il
sistema dall’interno; la prima mossa è sempre quella di creare un territorio
completamente al di fuori del sistema e, se possibile, al di fuori dell’ordine
legale dello stato: uno spazio prefigurativo in cui nuove forme di democrazia
diretta possano essere immaginate.
Il
rifiuto di entrare in relazione con l’ordine politico esistente non significa
che questi movimenti non puntino a ottenere degli effetti legislativi. Ma non
intendono farlo né corteggiando né denunciando la classe politica, ma
minacciandola con la prospettiva della sua delegittimazione.
Questo
si è verificato in Francia. Gli organizzatori della marcia iniziale contro le
leggi sul lavoro avevano programmato un evento di un solo giorno. Ma le cose
sono loro sfuggite quasi subito di mano. Ne è seguito uno straripamento di
massa dell’immaginazione democratica; sono comparsi librerie, asili nido,
centri di educazione popolare, cucine, studi; le migliaia di persone che hanno
partecipato alle assemblee generali hanno adottato con gioia il nuovo
linguaggio globale della democrazia diretta e, nel farlo, hanno cominciato a
crearne la loro propria versione. Centinaia di migliaia di persone hanno
seguito gli eventi e hanno contribuito sui media sociali. Contemporaneamente
all’arrivo di attivisti veterani — come il sottoscritto — che si sono
precipitati a Parigi per mettere la propria esperienza a disposizione, hanno
cominciato a essere formulate richieste folli (cancellazione del debito,
reddito di cittadinanza, sorteggio delle cariche pubbliche, …) che prima erano state
completamente escluse dal dibattito politico “serio”. Adesso che il processo
minaccia di estendersi alle periferie dell’immigrazione e della classe operaia,
l’iniziale rigetto sprezzante da parte delle classi politiche sembra mutarsi in
panico, e un numero crescente di uomini in armi sono arrivati a circondare la
nuova agora, quasi a impedire che la democrazia superi i suoi limiti.
La
giustificazione tradizionale degli spazi di eccezione è che possono diventare
luoghi di creatività: dopo tutto, solo chi non è limitato dall’ordine legale
esistente è in grado di creare nuove leggi. Ma è sempre più difficile
immaginare che soluzioni ai problemi più urgenti del mondo provengano da quello
spazio di eccezione finanziaria nel quale le élite economiche e politiche
vivono attualmente. Praticamente il solo tipo di immaginazione che ne è uscito
è stato la concezione di nuovi ingegnosi strumenti finanziari. Eppure allo
stesso tempo i milioni di esseri umani che non hanno accesso a quello spazio
extraterritoriale sono ricchi di idee e soluzioni potenziali e sono costretti a
vivere vite che consistono in poco più che sentirsi dire costantemente di
tacere e continuare a lavorare. La speranza di trovare un’uscita dall’impasse
infinita in cui ci troviamo può solo venire dai nuovi spazi extra-territoriali
— se non legalmente in questo caso, di certo moralmente e politicamente
extraterritoriali — che la rivoluzione mondiale del 2011 ha cominciato ad
aprire.
David
Graeber è un antropologo, professore alla London School of Economics.
Il suo
ultimo libro è Burocrazia. Perché le
regole ci perseguitano e perché ci rendono felici (Il Saggiatore, 2016).
Si
trova a Parigi dall’11 aprile per partecipare alle Nuit Debout.
Testo
originale, in inglese, pubblicato da Le Monde il 12 aprile 2016
Traduzione
di Mario Bucci
Effimera