domenica 28 dicembre 2014

Pacco di Natale per i lavoratori

di Massimo Franchi 

Jobs act. Il nuovo contratto a tutele crescenti cancella l’articolo 18 e, allargando la normativa ai licenziamenti collettivi, apre la strada alle discriminazioni. Inserito a sorpresa nel decreto il contratto di ricollocazione con cui le agenzie interinali private cercheranno lavoro ai licenziati, incassando un voucher in caso di riassunzione       
 
La «rivo­lu­zione coper­ni­cana» di Mat­teo Renzi è stata un regalo di natale assai sgra­dito per i lavo­ra­tori ita­liani — spe­cie se gio­vani — seb­bene non con­tenga due delle «por­cate» che i pro­fes­so­roni della destra vole­vano inse­rire. Nel primo decreto del Jobs act sul con­tratto a tutele cre­scenti che andrà pro­gres­si­va­mente a sosti­tuire il con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato — varato alla vigi­lia di natale dopo un con­si­glio dei mini­stri tutt’altro che sereno — dell’articolo 18 rimane sola­mente un filo fle­bile ed isolato.
A parte il licen­zia­mento discri­mi­na­to­rio — tute­lato dalla Costi­tu­zione — il rein­te­gro sul posto di lavoro rimane solo nel caso «in cui sia diret­ta­mente dimo­strata in giu­di­zio l’insussistenza del fatto mate­riale». La pate­rnità dell’espressione per l’unica casi­stica rima­sta di rein­te­gro per il licen­zia­mento disci­pli­nare — vanto della mino­ranza Pd — viene riven­di­cata dal giu­sla­vo­ri­sta e par­la­men­tare di Scelta Civica Pie­tro Ichino: «L’avverbio “diret­ta­mente” è stato aggiunto con l’intendimento espli­cito di sot­to­li­neare che il pre­sup­po­sto per la rein­te­gra­zione circa la radi­cale insus­si­stenza del fatto con­te­stato non possa essere fon­data su pre­sun­zioni, ma su una prova piena diretta», scrive il pro­fes­sore sul suo blog, con­tento comun­que per l’inserimento — a sor­presa — nel decreto del «suo» con­tratto di ricol­lo­ca­zione con cui le agen­zie inte­ri­nali pri­vate cer­che­ranno di ricol­lo­care i lavo­ra­tori licen­ziati, incas­sando un vou­cher in caso di riassunzione.
Lo stesso Ichino è però deluso dal fatto che le pres­sioni del mini­stro Poletti — «ha destrut­tu­rato dall’interno la riforma più impor­tante del governo» — abbiano por­tato ad esclu­dere dal testo due prov­ve­di­menti a lui — e a Sac­coni — molto cari: la cosid­detta opting out (la pos­si­bi­lità per le aziende a cui sia inti­mato il rein­te­gro di optare per un inden­nizzo eco­no­mico) e il licen­zia­mento per «scarso ren­di­mento». In entrambi i casi Mat­teo Renzi ha spie­gato che la deci­sione è stata presa per­ché ci sarebbe stato il rischio di «andare oltre la delega del par­la­mento», come aveva già denun­ciato il pre­si­dente della com­mis­sione lavoro della camera Cesare Damiano.
Riman­gono invece nel testo due altri prov­ve­di­menti molto gravi — già denun­ciati dal mani­fe­sto il giorno pre­ce­dente il varo — e a rischio inco­sti­tu­zio­na­lità. Il primo riguarda l’allargamento del campo di appli­ca­zione della nuova nor­ma­tiva sui licen­zia­menti anche a quelli di tipo col­let­tivo. Un colpo di mano vera­mente pesante per­ché va ad intac­care lo stru­mento — la legge 223 del 1991 — con cui in que­sti anni di crisi le aziende, spe­cie quelle più grandi, hanno por­tato avanti pro­cessi di rior­ga­niz­za­zione. Uno stru­mento che pre­vede pro­ce­dure pre­cise per tro­vare un accordo con i sin­da­cati e ridurre il numero degli esu­beri dichia­rati usando gli ammor­tiz­za­tori sociali e — soprat­tutto — cri­teri di tutela dei più deboli nell’individuazione del per­so­nale da licenziare.

D’ora in poi quindi le aziende potranno in sostanza dero­gare a que­ste pro­ce­dure, arri­vando a licen­ziare chi vogliono, senza il rischio di doverli rein­te­grare. Il secondo prov­ve­di­mento riguarda il fatto che la nuova disci­plina sui licen­zia­menti varrà per le imprese oggi non sog­gette all’articolo 18 per­ché di dimen­sioni infe­riori alla soglia di 15 dipen­denti che supe­re­ranno tale soglia: in que­sto caso il nuovo regime si appli­cherà anche ai rap­porti di lavoro costi­tuiti ante­rior­mente, cam­biando quindi ai lavo­ra­tori assunti pre­ce­den­te­mente il loro con­tratto in modo surrettizio.
Per il resto, rispetto alle pre­vi­sioni, il testo non ha diver­si­fi­cato gli inden­nizzi al variare della gran­dezza della azienda: tutte paghe­ranno due inden­nità al mese con un mas­simo di 24, lasciando però total­mente aperto il rischio che le imprese incas­sino gli incen­tivi per le assun­zioni della legge di sta­bi­lità, per poi licen­ziare allo sca­dere dell’anno, gua­da­gnando nel com­puto delle due voci: sgravi fiscali supe­riori all’indennizzo da pagare.
Il governo ha poi varato anche un secondo decreto, quello su una parte dei nuovi ammor­tiz­za­tori sociali. Un testo tutt’altro che defi­ni­tivo visto che viene appro­vato con la dizione «salvo intese» e che — soprat­tutto — manca ancora di coper­tura per un importo di almeno 400 milioni. I 16 arti­coli che disci­pli­nano la «nuova pre­sta­zione di assi­cu­ra­zione sociale per l’impiego» sem­brano una scia­rada. Le sigle si acca­val­lano: c’è la Naspi che sosti­tui­sce la vec­chia Aspi della For­nero, c’è poi l’Asdi — asse­gno di disoc­cu­pa­zione che sosti­tui­sce la vec­chia inden­nità — e infine la Dis-coll, il nuovo ammor­tiz­za­tore per co​.co​.co e cocopro.
Di sicuro c’è solo che l’affermazione di Renzi — «allun­ghiamo l’Aspi a 24 mesi per tutti» — è pale­se­mente falsa: i due anni saranno solo per i pochis­simi pre­cari che hanno lavo­rato senza inter­ru­zioni con «con­tri­bu­zione negli ultimi quat­tro anni» e si spe­ci­fica dal «primo gen­naio 2017 la durata è in ogni caso limi­tata ad un mas­simo di 78 set­ti­mane», meno di un anno e mezzo.
I com­menti di par­titi e sin­da­cati sono varie­gati. Se Forza Ita­lia sbraita «alla vit­to­ria della Cgil», Ncd e cen­tri­sti con Mau­ri­zio Sac­coni par­lano di «com­pro­messo», men­tre Cesare Damiano stuz­zica i com­pa­gni di mag­gio­ranza e annun­cia che «ci bat­te­remo per limi­tare ai licen­zia­menti indi­vi­duali le nuove norme, esclu­dendo quelli col­let­tivi». Tra i sin­da­cati alle cri­ti­che di Cgil e Uil fa dà con­tral­tare la Cisl che plaude a molte norme e parla di «testo migliorabile».
Ora toc­cherà alle due com­mis­sioni Lavoro di Camera e Senato espri­mere un parere — non vin­co­lante — entro 30 giorni. Poi il governo dovrà deci­dere se modi­fi­care i testi o man­te­nerli inal­te­rati. Nel frat­tempo le mobi­li­ta­zioni del sin­da­cato — come annun­ciato da Susanna Camusso e Mau­ri­zio Lan­dini — andranno avanti.