di
Paolo Vineis
In questo periodo di
crisi economica da più parti si specula sulla presunta “insostenibilità” del
Servizio Sanitario Nazionale pubblico che rimane comunque al di sotto della
spesa media dei paesi OCSE garantendo a tutti il diritto alla salute attraverso
la fiscalità generale. L’articolo di Vineis, pubblicato sulla rivista
Epidemiologia e Prevenzione, giunge
quanto mai opportuno nel giorno del 35°
anniversario dell’ istituzione del Servizio Sanitario Nazionale italiano –giusta
legge 833 del 23 dicembre 1978
Tony
Judt, uno dei grandi politologi del secolo scorso (morto prematuramente nel
2010) ha scritto alcune delle pagine più chiare ed esplicite sui mali che
affliggono le democrazie odierne: «Conosciamo il prezzo delle cose ma non
abbiamo nessuna idea di quanto valgano. Non ci chiediamo più della sentenza di
un tribunale o di un atto legislativo: è buono? E’ giusto? Ci aiuterà a
migliorare la società o il mondo? Queste sono le vere domande politiche, anche
se non hanno necessariamente risposte semplici. Dobbiamo reimparare a porcele».1 Una
delle ultime battaglie di Judt è stata quella intorno al “ripensamento dello
Stato”. Dopo il federalismo, i tea party e i movimenti
antifiscali, Judt va controcorrente ricordandoci che se non pensiamo
rapidamente a come riformare e rafforzare lo Stato le nostre democrazie possono
avviarsi verso esiti imprevedibili.
Nel
testo che segue presento solamente alcuni aspetti di quanto può succedere se un
serio ripensamento del significato dello Stato (e una rivalutazione del suo
ruolo) non avverrà. Come dice Judt, non è più accettabile che le tasse siano
viste da molti solo come una perdita di reddito a fondo perduto, come accade
negli Stati Uniti.
CRISI
ECONOMICA E CRISI DELLA SALUTE
La
Grecia è un ovvio “laboratorio” involontario per studiare gli effetti recenti
della crisi economica, in parte per la rapidità con cui essa vi si è
manifestata. Per esempio, la disoccupazione negli uomini è salita dal 6,6% nel
2008 al 26,6% nel 2010, e tra i giovani dal 19% al 40%. Ricordo solamente
alcune delle conseguenze sullo stato di salute, ampiamente descritte e ormai
ben note: un aumento del 14% (dopo il 2008) della frequenza di persone che
descrivono la loro salute come “cattiva” o “molto cattiva”; un aumento dei
suicidi del 17%, e degli omicidi quasi del 100%; ancora più preoccupante è
l’aumento della frequenza di infetti dall’HIV (52% in più nel 2011 rispetto al
2010, soprattutto tra i consumatori di droghe). Nei primi 7mesi del 2011 vi è
stato un incremento di 10 volte delle infezioni nei consumatori di droghe, e la
frequenza di uso di eroina è aumentata del 20% nel 2009.2
Come
mostra il caso della Grecia, il declino può essere più rapido della crescita,
sia in economia sia nello stato di salute della popolazione. La crisi economica
ha molti insegnamenti anche per il futuro della sanità. La creazione della
Comunità europea dopo la caduta del comunismo e l’unificazione della Germania
venne avviata, come è ben noto, su una base prevalentemente monetaria ma con
ampie carenze istituzionali. In particolare, venne creata una Banca centrale,
ma non una Finanza centrale che potesse emettere obbligazioni europee (gli Eurobond).Questo avvenne perché si ritenne che
la politica avrebbe ovviato a questa macroscopica carenza in caso di necessità.
Nella settimana successiva al fallimento di Lehman Brothers, nel 2008, l’intero
mondo della finanza collassò e richiese di essere sottoposto a un «mantenimento
in vita artificiale», per esprimersi con le parole di George Soros.3 Questo
consistette nel sostituire il “credito sovrano” (basato su garanzie da parte
delle banche centrali e di un crescente deficit nel bilancio dei singoli Stati)
al credito delle istituzioni finanziarie nazionali, non più accettato dai
mercati.
Il
ruolo centrale che è venuto a giocare il “credito sovrano” ha rivelato un
difetto di fondo nell’intera costruzione, che non era stato chiaramente
riconosciuto in precedenza. Trasferendo alla Banca centrale quello che era il
diritto di stampare moneta a livello nazionale (che creava inflazione interna,
ma aumentava la competitività sui mercati internazionali attraverso la
svalutazione), gli Stati espongono il loro credito sovrano al rischio di
fallimento (default). Questa situazione ha creato un’Europa, come si dice
abitualmente, a due velocità, divisa tra creditori (in particolare la Germania)
e debitori. I Paesi debitori che prendono denaro a prestito devono pagare
“premi” che riflettono il rischio di default; addirittura, il
mercato finanziario induce questi Paesi al default attraverso
la speculazione. La creazione di un debito pubblico enorme fa scattare quelle
politiche di contenimento o di “austerità”, definite anche riforme strutturali,
che ora appaiono chiaramente come politiche depressive, che conducono cioè a
una depressione economica perdurante. Nel 1982 avvenne qualcosa di simile
quando si verificò una grave crisi delle banche, e il Fondo monetario
internazionale salvò le istituzioni bancarie prestando una quantità di denaro
appena sufficiente ai Paesi maggiormente indebitati per consentire loro di
evitare il default, ma a costo di spingerli verso una depressione
di lunga durata. L’America Latina, in particolare, soffrì della depressione
economica per un decennio.
Insomma,
la crisi è dovuta certo allo strapotere delle banche e agli errori degli
economisti, ma anche largamente alle carenze e alle degenerazioni della
politica. E’ possibile che la crisi economica conduca alla fine di un’era anche
in settori lontani dall’economia. Come abbiamo visto la fine di Bretton Woods e
delle istituzioni finanziarie ispirate alle teorie di Keynes, possiamo trovarci
a fronteggiare la progressiva erosione di istituzioni come l’Organizzazione
mondiale della sanità. In vari modi la crisi attuale conduce a cambiamenti
materiali, psicologici ed etici che possono avere conseguenze a lungo termine
per lo stato sociale e l’uguaglianza. E’ possibile che l’efficacia di agenzie
centrali come l’OMS, che rilascia linee guida generali, venga completamente
vanificata dalla mancanza di istituzioni politiche nazionali abbastanza
efficaci che possano coordinare e rendere effettive le misure preventive.
Bisogna ricordare che per ogni dollaro speso dall’OMS per la prevenzione delle
malattie causate dall’alimentazione occidentale, più di 500 vengono spesi
dall’industria dell’alimentazione per promuovere quelle stesse diete.4 Vedo
molte analogie tra la crisi economica e quanto è successo in alcuni settori
della salute, e con quanto può succedere in futuro se non intervengono in modo
energico entità nazionali e sovranazionali. Analogamente alla dissociazione tra
la moneta unica e l’assenza di un controllo efficace della finanza a livello
locale e sovranazionale, la Framework Convention on Tobacco Control si sta
rivelando inefficace per motivi non così diversi, riconducibili a uno
strapotere dell’economia (la World Trade Organization - WTO) rispetto alla
politica (le Nazioni unite, l’OMS). La convenzione è uno schema generale
mirante a limitare il commercio e i consumi di sigarette, ma è stata fortemente
avversata dalla WTO sulla base della violazione della libertà di commercio.
Come afferma il sito web della WTO: «Al meeting del Comitato sulle barriere
tecniche al commercio della WTO del 24-25 marzo 2011 in totale sono state
sollevate contestazioni a 45 violazioni del diritto al commercio. [...]Mentre i
membri della WTO non mettono in discussione la finalità di protezione della
salute, essi contestano che il disegno di tale regolamentazione delle vendite
del tabacco può avere un impatto inutilmente negativo sui commerci».5 Un
linguaggio contorto e legalistico per dire che la libertà di commercio ha la
priorità sulla protezione della salute. E’ probabile che qualcosa di molto
simile avverrà con le ambiziose politiche come “25x25” (l’abbattimento della mortalità
da malattie croniche del 25%entro il 2025, sancito nel 2011 dalle Nazioni
unite), e si estenderà dalle sigarette ai prodotti alimentari.
COSA
SUCCEDE IN INGHILTERRA?
Quanto
sta succedendo in Inghilterra in seguito alla riforma di Lansley del 2012 è semplicemente
sconcertante. Secondo alcuni commentatori autorevoli6 non è altro che l’ultimo
atto di una strategia preparata da tempo, almeno da quando il British Medical
Journal pubblicò nel 2002 il famoso articolo che prendeva a modello la managed
care della Kaiser permanente. La recente riforma ha sostanzialmente (e
legalmente) sottratto al Ministro della sanità la responsabilità della
fornitura dell’assistenza sanitaria alla totalità dei cittadini, modificando
uno dei principi costitutivi del National Health Service (NHS). Ma prima di
essa si è avviato un processo di privatizzazione profondo e apparentemente
inarrestabile: nel 2010, 227 ambulatori di general pratictioner (GP) erano
gestiti da compagnie private, e Virgin Care amministrava circa 1.500 GP per
circa 3 milioni di pazienti. Il prossimo passo sarà probabilmente il passaggio
dal finanziamento attraverso le tasse a un sistema di assicurazioni private, o
almeno tutto sembra andare in quella direzione. Già ora i servizi forniti
dall’NHS si stanno riducendo qualitativamente al minimo, e i pazienti sono
invitati a top-up (integrarli) con assicurazioni private. Il
modello delle assicurazioni integrative è una china scivolosa in un contesto in
cui la parola d’ordine è “ridimensionare lo Stato”, dunque ridurre
progressivamente i servizi erogati gratuitamente. Vi sono anche alcuni
conflitti di interesse patenti (un problema sempre più comune in sanità), come
il fatto che dopo una rapida carriera nel Ministero della sanità come
responsabile della strategia, Penny Dash (una delle maggiori ispiratrici della
riforma Lansley) sia passata a lavorare per la McKinsey, un gigante americano
della gestione sanitaria. Il glorioso sistema dei GP inglesi è ora sostituito
da una rete di trust che possono scegliere i pazienti, e dunque respingere
quelli più a rischio e più costosi.6
LA
SALUTE MORALE
Ci
sono vari modi indiretti attraverso i quali la crisi economica e il clima
sociale possono influire sulla salute. La maggior parte delle malattie non
trasmissibili possono essere affrontate con successo con la prevenzione. La
prevenzione ha diversi vantaggi sulle terapie: il principale è il fatto che i
suoi effetti possono durare indefinitamente, essa non deve cioè essere
rinnovata a ogni generazione come le terapie. Bandire un cancerogeno ambientale
o occupazionale ha un effetto risolutivo, mentre senza prevenzione a ogni
generazione si presentano nuovi malati che richiedono terapie. Inoltre, spesso
gli interventi preventivi sono dotati di efficacia per più di una malattia (la
dieta e l’esercizio fisico hanno un effetto positivo su diversi tipi di tumori,
sulle malattie cardiovascolari, sul diabete, sull’ipertensione, e
verosimilmente sulle malattie neurologiche), a differenza delle terapie e degli
screening genetici. Tuttavia, per essere efficace la prevenzione deve essere
basata su interventi a livello societario, mentre sono largamente inefficaci
gli approcci strettamente individuali, la cui utilità è in genere circoscritta
alle classi sociali più elevate. Ma il clima economico e politico attuale non
facilita uno sforzo collettivo per la prevenzione. La tendenza a privatizzare
la sanità, come si vede in Inghilterra, significa che i medici avranno meno
tempo e interesse a promuovere la salute. Già ora la proporzione della spesa pubblica
destinata alla prevenzione del cancro (inclusi gli screening) è meno del 4% nel
Nord America e in Europa. La privatizzazione della sanità rende la prevenzione
scarsamente appetibile, perché essa non genera profitti (con alcune eccezioni).
Sul
piano morale, la solidarietà era radicata nella società europea a partire dal
secondo dopoguerra, se non prima, ma appare ora come un concetto obsoleto. Di
nuovo, Judt ha dedicato pagine molto belle a «quello che abbiamo perduto».1 La
divisione dei Paesi in creditori e debitori oggi getta una luce negativa sui
secondi (la parola tedesca Schuld significa sia debito sia
colpa). Più in generale, la crisi incrementa le spinte localistiche (lo
dimostrano, per esempio, le manifestazioni a Barcellona per l’autonomia da
Madrid), e l’enfasi sui consumi privati piuttosto che sui servizi pubblici, con
il duplice obiettivo di sostenere la produzione industriale e diminuire la
spesa pubblica. Ma ci sono anche giganteschi cambiamenti nella moralità
pubblica che minano alla base la solidarietà. Quale può essere la
reazione morale alle forme di ingiustizia estreme e ovvie che ogni giorno
vengono commesse? Per esempio, i contribuenti americani hanno versato
6 miliardi di dollari per salvare la Goldman Sachs, che l’anno dopo ne ha spesi
2,6 in bonus per i suoi top manager. Walmart in un anno accumula una quantità
di denaro (166miliardi di dollari) superiore a tre volte l’intero PIL del
Bangladesh. Qual è il posto della sanità pubblica e della
responsabilità individuale in un contesto simile? Che l’aumentata
mobilità del capitale ha reso impraticabili le politiche di welfare è
una convinzione diffusa tra certi economisti paladini del libero mercato, in
particolare in Europa. Lo spettro del
default mantiene i governi sintonizzati
sulle richieste del capitale speculativo.7Come possiamo aspettarci
che le persone contribuiscano al welfare in questo scenario?
In effetti, se l’Europa fallisce e la sua unione politica si sbriciola, una
delle conseguenze può essere la privatizzazione di parte dei servizi sanitari
nazionali e l’introduzione di un sistema a due velocità: assicurazioni private
per i ricchi e un servizio pubblico impoverito e di bassa qualità per i poveri,
sotto finanziato con le tasse. Sarebbe una regressione grave, e di questo
dobbiamo convincere la maggioranza dei cittadini. Serve innanzitutto
un’opera di informazione enorme per contrastare chi costantemente getta
discredito sul ruolo dello Stato.
fonte: epiprev