di
Nicolas
Martino
un marxismo
della differenza e antidialettico che smaschera l’universalismo borghese,
alleato in questo del pensiero femminista in rivolta contro il dominio
patriarcale. Dopo il ’68 l’eredità operaista si dipanerà sostanzialmente in due
filoni: le teorizzazioni di Mario Tronti e di Antonio Negri, ovvero la
contrapposizione tra «autonomia del
politico» e «autonomia operaia»
Gli
anni dei Novissimi e del romanzo sperimentale, di Laborintus II di
Luciano Berio e La
fabbrica illuminata di Luigi Nono, dei monocromi e del No di
Mario Schifano, dei Bachi da setola e del Mare di
Pino Pascali, sono anche gli anni delle rivoluzioni copernicane e dei nuovi
prototipi mentali in ambito politico.
«Abbiamo
visto anche noi prima lo sviluppo capitalistico, poi le lotte operaie. È un
grave errore. Occorre rovesciare il problema, cambiare il segno, ripartire dal
principio: e il principio è la lotta di classe operaia». In questo celebre
passaggio di Lenin in Inghilterra, l’editoriale di Mario Tronti sul
primo numero di «Classe Operaia» (gennaio 1964), è contenuto il senso
e la novità dell’operaismo italiano degli anni Sessanta. Operaismo che, dice
ancora Tronti, «comincia con la nascita di Quaderni Rossi e
finisce con la morte diClasse Operaia».
Questa
rottura degli anni Sessanta conosce due, o meglio tre, importanti anticipazioni
e metà degli anni Cinquanta: 1. Le inchieste sulle classi subalterne condotte
nelle «Indie di quaggiù» da Ernesto De Martino, Danilo Dolci e Franco Cagnetta.
E tra queste, quella di Cagnetta in Barbagia si segnalava per un’impostazione
che, rompendo con il populismo neorealista e mettendo in campo la metodologia
della storia orale, voleva già essere conoscenza che trasforma. Nel 1960 con Milano, Corea Danilo
Montaldi, intellettuale e militante vicino a «Socialisme ou Barbarie», insieme
a Franco Alasia avrebbe portato l’inchiesta nella metropoli. 2. Il magistero di
Galvano Della Volpe che, rompendo con lo storicismo idealista del marxismo
ufficiale italiano, svelava il carattere essenzialmente mistico e romantico
della logica hegeliana e delle sue ipostasi, per proporre un marxismo piantato
sul metodo sperimentale del circolo concreto-astratto-concreto. Aristotele
contro Platone dunque, e la triade De Sanctis, Croce, Gramsci della via
togliattiana al socialismo veniva mandata in soffitta. 3. L’approccio
fenomenologico alla soggettività promosso da Enzo Paci.
Il
1961 è l’anno di fondazione dei «Quaderni Rossi». Impegnata nell’analisi
dello sviluppo capitalistico nel dopoguerra, la rivista promossa da Raniero
Panzieri individua la «composizione di classe» del neocapitalismo italiano in
quell’operaio massa protagonista della rivolta di Piazza Statuto – espressione
potente dell’autonomia operaia nella città – e indomabile protagonista delle
lotte narrate in Vogliamo tutto di
Nanni Balestrini1. I «Quaderni Rossi» portano
l’inchiesta in fabbrica – nel cuore del processo produttivo – dove Romano
Alquati sviluppa la conricerca, l’inchiesta come conoscenza che trasforma, e
Raniero Panzieri lavora sull’estraneità operaia rispetto alle forme politiche
che lo sviluppo si da. Estraneità perché la classe operaia non è per il
progresso, ma per la rottura, per la «costruzione di una razionalità
radicalmente nuova e contrapposta alla razionalità praticata dal capitalismo».
Nel
1964 con «Classe Operaia» si compie la rivoluzione copernicana di cui
dicevamo all’inizio: il principio è la lotta di classe operaia. Ovvero, solo la
lotta incessante tra operai e capitale spiega i movimenti del capitale, quindi
la classe operaia è il motore dello sviluppo, è condizione del capitale. La classe
operaia è il segreto del capitalismo. Il soggetto è la classe
operaia e non il popolo, il luogo è la fabbrica e non la
società civile. Il rifiuto del lavoro smonta la retorica lavorista, la rottura
con il togliattismo è radicale. La rottura è anche con il terzomondismo di
allora, perché «laddove più potente è il dominio del capitale, là si insinua
più profondamente la minaccia operaia» e quindi la catena si spezzerà non dove
il capitale è più debole, ma dove la classe operaia è più forte.
E
ancora, altro rovesciamento rispetto alla visione terzinternazionalista, la
classe operaia contiene gli elementi della strategia nella materialità autonoma
della sua composizione, mentre il partito detiene il ruolo tattico, della
mediazione politica. Ecco quindi che la lotta per il salario è immediatamente
politica, il salario è strumento politico di attacco e di redistribuzione
radicale della ricchezza sociale. Per la strategia del rifiuto operaio2, la questione del tempo è
quella intorno a cui si gioca la partita fondamentale della lotta dentro e
contro il capitale.
Ecco
la dunque la novità dell’operaismo italiano, un marxismo della differenza e
antidialettico che smaschera l’universalismo borghese, alleato in questo del
pensiero femminista in rivolta contro il dominio patriarcale. Scissione e
parzialità, nessuna Aufhebung possibile, anzi Sputiamo
su Hegel avrebbe detto Carla Lonzi. È il marxismo della rude razza
pagana, in rottura con il populismo proprio come Scrittori e popolo di
Alberto Asor Rosa pubblicato nel 1965. Operai e
capitale di Mario Tronti esce nel 1966 [appena
ripubblicato dalla casa editrice DeriveApprodi], ed è l’opera che esprime al meglio
la differenza del marxismo italiano, tanto che, parafrasando Mario Schifano, si
potrebbe dire che gli anni Sessanta sono Operai e capitale. Ma, è
bene sottolinearlo, Operai e capitale è un’opera collettiva,
nasce nelle lotte e dalle lotte, e dal lavoro collettivo dei «Quaderni
Rossi» e di «Classe Operaia».
Su «Contropiano»,
nel biennio ’68-’69, si consumerà un’altra rottura intorno al problema
organizzativo, quello del partito, e dopo il ’68 l’eredità operaista verrà
raccolta dalle teorizzazioni di Tronti sull’«autonomia del politico», e di
Antonio Negri sull’«autonomia operaia». E ancora da «Primo
Maggio», la rivista di storia militante promossa da Sergio Bologna, e dal
lavoro di Massimo Cacciari che introdurrà nel dibattito culturale italiano i
temi del cosiddetto pensiero negativo.
Ancora
oggi quella rivoluzione copernicana, tra salti e rotture, continua a fabbricare
prototipi mentali intorno ai quali lavora il pensiero internazionale più audace
e radicale. Grandeur de Tronti.