di
EL CONFIDENTIAL
Dalla Spagna proponiamo la traduzione
di questa intervista giornalistica a Michael Hardt in quanto contiene utili
riflessioni sugli spazi di possibilità aperti dai movimenti nella crisi e la
posta in palio delle lotte. L’orizzonte su cui si insiste è quello della
costruzione di un movimento transnazionale, che in Europa non può assumere la
forma della semplice solidarietà dalla Germania verso il Sud: il punto è come
attivare processi costituenti e di creazione di nuove istituzioni, oltre e
contro la rappresentanza
Il
filosofo politico Michael Hardt non nasconde la sua ammirazione per la società
spagnola, principalmente per il protagonismo del 15M, “la fonte di ispirazione
senza la quale non sarebbe mai esistito il movimento Occupy Wall Street”.Un
affetto senza ombra di dubbio ricambiato, come dimostra la grande accoglienza ricevuta
nel breve viaggio spagnolo (Declaration Tour), culminato nell’affollato museo
Reina Sofia a Madrid.
Le
aspettativa su Hardt sono, non solo in Spagna, proporzionali al successo delle
sue prefigurazioni che hanno anticipato (e teorizzato) la sollevazione di
quello che insieme a Toni Negri ha definito come moltitudine in rete. É il
corpo vivo, dinamico ed eterogeneo che vigila i poteri fattuali della rete,
dove ci si organizza, per andare in piazza.
É
una moltitudine rivoluzionaria, quella del “non ci rappresenta nessuno”, che
supera le tradizionali strutture di partiti e sindacati per costruire una
democrazia dal basso. “Il rifiuto della rappresentanza è una delle qualità più
importanti di questi movimenti, perché permette di costruire una vera democrazia
che trasforma la società nel lungo termine, generando spazi liberi che
aiuteranno a costruire le istituzioni del comune”, dice Hardt.
Quest'ultimo
concetto, quello di “istituzioni del comune”, è la parte centrale dell'ultimo
lavoro scritto con Negri (Questo non è un manifesto) che è stato il
punto di partenza degli incontri tenutisi in Spagna. É un saggio che, passando
dall’elaborazione teorica alle pratiche concrete, permette di aprire “un nuovo
processo costituente”.
L’inizio
di un ciclo di lotte internazionali
L’iniziale
diffidenza espressa nei riguardi del 15M, non solo dalla destra ma anche dalla
sinistra istituzionale e dai sindacati tradizionali, si è oggi trasformata in
un atteggiamento di approvazione paternalistica, non tanto nella forma ma
proprio nella sostanza. Viene allora da chiedersi se non si stia in questo modo
glorificando il 15M, ma soprattutto: cosa resta di quel movimento che in
occasione della mobilitazione del 25S, poco più di un anno fa, è appena riuscito
a portare la gente in piazza?
“È
evidente che c’è stato un calo nella partecipazione dei cittadini, che non sta
più occupando le piazze. Tuttavia, sono molte le risonanze del 15M che si
riflettono nelle diverse maree, nelle azioni contro gli sfratti e in molti
progetti sociali concreti. Per me, questo è molto importante. Non vuol dire che
il 15M sia stato un completo successo, ma bisogna riconoscere che ha prodotto
nelle persone un cambiamento di mentalità molto importante”, dice Hardt.
Inoltre,
per l'intellettuale nordamericano il movimento degli indignados “ha cominciato
un ciclo di lotte internazionali che sono state replicate in molti paesi”, come
ad esempio i recenti casi di Turchia e Brasile. A suo parere, queste proteste
“hanno pratiche e aspirazioni condivise”. Un punto importante, dice, perché per
approfondire la democrazia, e “combattere le ingiustizie economiche causate dal
neoliberismo” è necessario un movimento a livello mondiale.
Non
basterebbe nemmeno un’alleanza, per esempio, tra i paesi più colpiti dalla
crisi come quelli dell'Europa meridionale, ma si deve superare i confini degli
stati. E in Europa, in ogni caso, Hardt spiega che “un movimento non deve
essere interpretato come un atto di solidarietà della Germania e di altri paesi
del nord con quelli meridionali perché siamo tutti nella stessa crisi”.
Il
nuovo progetto politico contemporaneo
Per
l’intellettuale nordamericano i cambiamenti sociali devono prodursi sia
all’interno delle istituzioni che nelle organizzazioni politiche, “non senza
fare pressione affinché evolvano” al di fuori do queste. Alla domanda se lui è
tra coloro che pensano che i movimenti sociali spagnoli come la PAH (Plataforma
de Afectados por la Hipoteca) o le mareas ciudadanas debbano
rivendicare la loro quota di potere nelle urne, schiva la risposta dicendo che
uno straniero non è la persona più appropriata per esprimere giudizi. Inoltre,
aggiunge, “questo tipo di decisioni vengono prese collettivamente”.
Nonostante
questo parla del Partito X come “un’alternativa intermedia interessante” e
sorprende ancora una volta per la buona conoscenza dell’attualità della
politica spagnola. Tuttavia, Hardt riconosce, in linea con le sue teorie, che è
“più a favorevole ai movimenti sociali democratici che alle opzioni elettorali,
anche se si può lavorare contemporaneamente su entrambi i fronti”.
Una
cosa è una prospettiva a breve termine, con la conseguente difficile ricerca
del consenso, altro è il lungo termine, definito come l’orizzonte da
raggiungere: la costruzione di istituzioni del comuni in cui sia lo Stato (il
“pubblico”) che il potere economico (il “privato”) hanno il minor spazio
possibile. Le istituzioni del comune, dice, sono la salvaguardia di diritti
sociali come l'istruzione, la salute e l'accesso alle risorse “che devono
essere gestite dalla società, e non dallo Stato o dalle imprese”.
Un
discorso da non confondere con l’economia dei beni comuni di Michael Felber nel
quale sono necessariamente coinvolte le organizzazioni imprenditoriali. I due
discorsi coincidono in quanto propongono un modello aperto che deve essere
costruito tra tutti i membri della società, cercando nuovi canali di
partecipazione, con orizzontalità e uguaglianza.
Entrambi
i modelli sfuggono anche agli -ismi: “Il comune non deve essere né il
capitalismo né il socialismo, ma una gestione democratica delle risorse vitali.
Un esempio che già esiste in Spagna è la piattaforma anti-sfratti e per
l'occupazione di case a gestione collettiva della Plataforma de Afectados por
la Hipoteca”.
E
il giorno dopo?
Tutte
le teorie politiche di trasformazione radicale dell’esistente hanno il peccato
originale del giorno dopo la caduta del modello dominante, un ostacolo che il
marxismo risolse con la dittatura del proletariato. Per avviare un “processo
costituente”, come quello che prefigura Hardt, è necessario che prima si
produca un “processo destituente”. Se si accelera la congiuntura attuale fino
al punto di provocare un collasso del sistema, la società è pronta ad assumere
il potere e a organizzarsi, oppure c’è il rischio che trionfino il populismo
reazionario o addirittura governi tecnocratici ancora più anti-democratici?
“Si
tratta di una sfida considerevole al giorno d’oggi, perché credo che i
movimenti sociali sono ancora effimeri e non raggiungono la potenzialità
sufficiente per prendere le redini di un processo costituente dopo la caduta
del regime vigente. Una cosa è occupare le piazze durante 4 o 5 settimane,
un’altra è quella di essere capaci di trasformare la società a lungo termine”.
Un problema che secondo Hardt bisogna risolvere attraverso la pratica
quotidiana, “costruendo giorno dopo giorno nuovi spazi democratici, e non solo
piazze dove dibattere, estendendoli a tutta la società per fa sì che si
riproducano nel tempo. Forse i movimenti sociali spagnoli possono in questo
senso offrire un punto di vista migliore di altri paesi, ma questa è una sfida
comune a tutti”.
Hardt
dice che nelle discussioni con Negri parlano sempre di questa possibilità futura.
La conclusione alla quale arrivano e che entrambi condividono è che “le lotte
quotidiane di resistenza ai processi neoliberisti, la liberazione di spazi
urbani che permettono la gestione del comune e si collocano al di fuori del
dominio delle decisioni dello Stato, ecc., possono servire come basi per il
futuro, che vanno lentamente migliorandosi per quando arriverà il momento”.
*
Pubblicata su El
Confidential. Traduzione per commonware.org
di Dario Lovaglio
Sugli
stessi temi dalla Spagna segnaliamo anche l'intervista su Diagonal.