di Gianni Giovannelli
«Spazio
di contraddizioni, di dibattito, di ansie private e collettive, il lavoro è,
oggi più che mai, un tema che è importante analizzare. Il lavoro è un bene?
Cosa significa che non il lavoro, ma la vita stessa produce valore? Che peso
avranno, nel futuro anche vicino, figure mai contemplate negli indicatori
tradizionali come i precari, gli scoraggiati, i giovani che non studiano e non
lavorano, i lavoratori irregolari? Descrivere correttamente la situazione è solo
il primo passo per inter venire. Perché è arrivato il momento di pensare a
nuovi modelli. E questo libro sostiene senza timidezza una proposta forte,
discutendone presupposti, possibili esiti e concrete vie di attuazione: il
reddito di base garantito» (A. Fumagalli, Lavoro male comune, Bruno Mondadori,
2013, pp.134)
Al termine della prima parte del libro Andrea
Fumagalli spiega il titolo, curioso, e insieme riassume le prime conclusioni
dell’indagine. Nel processo di trasformazione in corso, il moderno biocapitalismo
cognitivo tende inesorabilmente a impadronirsi dell’intero tempo di vita, così
che perfino ozio, svago e capacità artistiche finiscono con l’essere utilizzati
ai fini del profitto.
Il processo di espropriazione invade l’esistenza complessiva dei soggetti,
e secondo questa nuova e più ampia definizione di lavoro, l’alienazione che ne
consegue non lascia scampo ai tradizionali rifugi (il tempo libero). In quanto
oggetto della generale appropriazione per mano altrui, questo lavoro non può
certo essere un bene comune; il quotidiano di ogni singolo individuo viene
mercificato, gerarchizzato, salarizzato.
Con una punta di ironia, Fumagalli osserva: «lungi dall’entrare
nell’era della fine del lavoro siamo in presenza del lavoro senza fine». Questo è il punto, ovvero la tesi suggestiva e radicale
dell’opera: il processo di creazione di valore si sottrae ai limiti della
giornata lavorativa, conquista l’esistenza stessa (ecco perché biocapitalismo).
Il secondo dei tre capitoli esamina la trasformazione in atto nei suoi
risvolti giuridici, sociali, economici. A partire dal 1984 (nuove disposizioni
sul part time), e fino alla legge Fornero, l’intervento legislativo ha
accompagnato il processo di precarizzazione del rapporto lavorativo, smantellando
i diritti precedentemente acquisiti. Non si tratta, mette in guardia l’autore,
di un provvisorio giro di vite per contenere i costi dentro la crisi; la scelta
è strutturale, strategica, irreversibile: il rapporto di lavoro ha assunto
nell’ultimo quarto di secolo una dimensione sempre più intermittente.
Nel nuovo assetto la precarietà, definita dagli studiosi neoliberisti
flessibilità, per una sorta di inganno semantico, convive armonicamente e
necessariamente con l’appropriazione dell’intera esistenza. E lo stesso vale
per l’attuale forma in cui si sostanziano disoccupazione (specie giovanile),
sotto occupazione, lavoro nero, inattività (interessante la
classificazione/descrizione degli scoraggiati e dei Neet, i giovani che non
studiano, non sono in formazione, non hanno impiego).
I dati oggettivi mettono in luce una situazione italiana contrassegnata da
notevole criticità rispetto alla media europea, ove si sappiano leggere i
numeri oltre l’apparenza (ipotesi di un criterio statistico diverso, diffuso in
Europa: il tasso di disoccupazione reale risulterebbe più del doppio di quello
ufficiale, e sicuramente corrisponderebbe di più alla reale situazione socio
economica del mercato del lavoro).
Nelle pagine del volume viene richiamato Mandeville, perché in effetti La favola delle api anticipa le motivazioni
logiche che hanno condotto all’imposizione di una condizione precaria
generalizzata nell’ambito di un meccanismo di valorizzazione fondato
sull’esproprio del tempo di vita al completo. In una nazione libera dove non è
permesso tenere schiavi la ricchezza più sicura consiste in una moltitudine di
poveri: oltre al fatto che costituiscono una riserva inesauribile senza di loro
nessun prodotto di alcun paese avrebbe valore.
Nell’ultimo capitolo del saggio Fumagalli indica una soluzione motivata
al Che fare? per sfuggire alla trappola della
precarietà. La critica è rivolta, subito, al meccanismo dei due tempi, prima
flessibilità poi i benefici della crescita, rilevando il fallimento di questa
prassi adottata dalle diverse compagini governative che nell’ultimo decennio si
sono avvicendate alla direzione del paese. Occorre rovesciare la questione:
prima sicurezza sociale, ovvero continuità di reddito a prescindere dalla
prestazione lavorativa. Attenzione.
Il nostro autore si guarda bene dal ripresentare il programma delle vecchie
socialdemocrazie, e non mostra alcuna propensione nostalgica per le forme
stabili di lavoro subordinato tipiche della fase industriale a catena. Muove
invece da quello che ci presenta come un dato di fatto irreversibile, ovvero il
processo che viene espressamente definito come sussunzione totale dell’essere
umano ai dettami della produzione, la messa a valore della vita. Una nota
precisa che per sussunzione totale deve intendersi, adeguando il concetto
marxiano ai tempi nuovi, la commistione inseparabile e contemporanea di
sussunzione reale e formale.
Consapevole dell’incompletezza goedeliana di qualsiasi teoria economica,
dimostra con una convincente lettura dei conti e dei bilanci la concreta
possibilità di attuare, qui e oggi, l’erogazione di un reddito minimo
generalizzato, quale preventivo ammortizzatore sociale. Assicurare in forma
incondizionata l’abbandono della soglia di povertà (7200 euro annui) costerebbe
21 miliardi di euro, ma ipotizzando di sostituire gli attuali diversi sostegni
in essere, il costo sarebbe di 5,2 miliardi di euro. Rifiutarlo si rivela
essere soltanto una scelta politica. Liberare ogni individuo dal timore del
bisogno, apre la via allo sviluppo della cooperazione. Il capitalismo
cognitivo, abbandonata la via della restaurazione della vecchia stabilità
fordista, apre (senza volerlo) la strada antagonista che conduce al diritto di
scegliere un lavoro, in luogo dell’antico diritto al lavoro travolto dalla
messa a valore della vita.
Il reddito di base incondizionato diviene così lo strumento immediato di
emancipazione in questo primo secolo del terzo millennio. Fumagalli ci pone
quattro elementi fondanti a sostegno della proposta (che è anche di legge): la
destinazione individuale del reddito, la continuità dell’erogazione, l’assenza
di condizioni, il finanziamento mediante fiscalità progressiva. È questa la
prima compiuta esposizione, insieme scientifica e divulgativa, di un progetto
che va trovando un crescente consenso.