venerdì 25 maggio 2012

A cent’anni da I vecchi e i giovani di Pirandello, insurrezione e narrazione

di Lanfranco Caminiti

Pensavamo di sintetizzare il lungo elaborato di Camiti cercando di mettere in rilievo gli aspetti più “politici” del suo contributo sul lavoro pirandelliano, ma gli aspetti della critica letteraria ci sono sembrati altrettanto fondamentali nella lettura dell’impianto tematico argomentato. La contrapposizione tra romanzo “storico” e “antistorico”  fa il paio con la rottura tra il movimento risorgimentale - fattosi  istituzione-  e i nuovi movimenti generazionali che sulle dinamiche dello sfruttamento del lavoro avevano spostato le ragioni del conflitto sociale

Il prossimo anno cade il centenario della pubblicazione de I vecchi e i giovani per l’editore Treves di Milano. In realtà, il romanzo – «amarissimo», lo definì lo stesso Pirandello in una lettera a un amico – era in buona parte già uscito a puntate, come spesso accadeva, per il giornale «Rassegna contemporanea» tra il gennaio e il novembre 1909. L’edizione del 1913 risistema l’articolazione dei capitoli, rivede quanto era già stato pubblicato e lo completa. Ancora nel 1931, Pirandello deciderà di intervenire sul testo per una definitiva edizione per Mondadori, che poi è quella che leggiamo oggi. In nessuna delle rivisitazioni Pirandello modifica l’impianto dei personaggi e l’intreccio tra i loro comportamenti e gli eventi e il suo sguardo.
Pirandello inizia a scrivere I vecchi e i giovani nel 1906, e sono passati poco più di dieci anni dalla “materia” del romanzo, che è l’esplosione del movimento dei Fasci siciliani tra il 1892 e il 1894, cioè tra l’inizio degli scioperi nelle campagne e nelle zolfare – una cosa nuova che mai si è veduta prima – e le stragi di contadini e popolani fino all’instaurazione dello stato d’assedio e la repressione di massa, con l’arresto di tutti i dirigenti dei Fasci e centinaia e centinaia di militanti; lo stesso lasso di tempo che intercorre tra lo scandalo della Banca romana e la crisi del giolittismo, con l’avvento al governo di Francesco Crispi. Dieci anni soltanto. Sembrerebbe perciò un po’ azzardato definire “romanzo storico” I vecchi e i giovani. Qui non si tratta della rivolta degli schiavi di Euno o dei Vespri. Eppure. Non è solo una questione di distanza temporale dai fatti narrati. Per dire d’un altro romanzo, I Viceré, De Roberto – le vicende della famiglia Uzeda dal 1860 arrivano sino alla prima elezione a suffragio “universale” [maschio, alfabeta, che paga tasse per una cifra annua di 19,8 lire] del 1882 – comincia a scrivere nel 1892, dieci anni dopo perciò il previsto punto di arrivo della saga, e il romanzo viene pubblicato nel 1894; tra l’altro, mentre attende alla scrittura, proprio l’arco delle lotte dei Fasci e della materia del romanzo di Pirandello. Ma mentre per De Roberto lo sbarco dei Mille del 1860 è il cuore e il filo di una vicenda che si è storicamente conclusa, per Pirandello è proprio nel ruolo “a parti rovesciate” del Risorgimento, e dei suoi uomini, che sta la materia narrativa. Non è solo emblematico il personaggio di Francesco D’Atri, che ricalca proprio Francesco Crispi, e decide da primo ministro di porre lo stato d’assedio e il tribunale militare, lui che gli stati d’assedio li aveva vissuti da patriota perseguitato, lui che aveva tuonato contro la legge Pica e i tribunali speciali; ma c’è Mauro Mortara, il personaggio del vecchio garibaldino tutto d’un pezzo, che fu costretto a rifugiarsi da esule a Malta e ormai vive una sorta di esilio in campagna, dove custodisce i ricordi del periodo eroico di speranze, a rappresentare il nodo delle contraddizioni di quel momento: ostile ai movimenti sociali, che considera un pericolo per l’unità della nazione – «Sbirro, vi giuro, andrei a farmi, vecchio come sono» –, fino a decidere di scendere in piazza con le sue pistolone per affrontarli, «armato come un brigante», finirà fucilato dall’esercito che lo scambiano per un rivoltoso: ormai i soldati sparano a tutto ciò che è rosso, come il gonfalone dei Fasci e come la camicia indossata da Mortara. In questo stare dalla parte sbagliata, in questo morire dalla parte sbagliata, è tutta la problematicità del romanzo nei confronti del Risorgimento.

Oltre il determinismo: una storicità sovversiva

di Antonio Negri

Partendo dalla recensione del volume di P. Dardot e C. Laval, Marx. Prenom: Karl (Edizioni Gallimard, Parigi, 2012) l’autore di Marx oltre Marx riprende lo specifico del filo dell’analisi marxiana, guardando alla metodologia materialistica della storia allargando le lenti dell’osservazione ‘oltre’  lo sviluppo delle forze produttive, collegando il processo di composizione/scomposizione/ricomposizione della classe alla potente capacità trasformativa della soggettività -antropologicamente intesa- al di là di ogni supposto deterministico dialettico del divenire sociale della vicenda umana, il cui approdo  non ha alcuna selciato predefinito
Quali sono i nodi più rilevanti di questo poderoso libro? È necessario chiederselo perché (essendo appunto troppo voluminoso – 800 pagine – da poter esser letto di un solo colpo) solo apprestando dei dispositivi di lettura, esso può essere scorso utilmente e permettere approssimazioni per una lettura centrata sui temi fondamentali e che venga, per così dire, sempre più precisandosi.
Il primo grande nodo consiste nell’espressione della necessità di rompere con la tradizione sempre parziale e settaria (quando non fosse introvabile) degli studi francesi su Marx. Qui invece Marx viene preso per intero, il filosofo l’economista il politico, ed è solo questa lettura, storicamente e filologicamente impiantata, senza “cesure” storiche né teoriche, che può permetterci di riprendere solidamente in mano l’interezza del discorso marxiano e di avanzare ipotesi nuove che si confrontino con quelle marxiane, attorno ad un progetto di emancipazione per l’attualità. Questa distanza critica dalla continuità della tradizione francese (ed in particolare dall’althusserismo), questo sentirsi in un’altra epoca dal XIX e XX secolo, non impedisce che gli autori si impegnino attorno a talune difficoltà ereditate dal passato. Solo per fare un paio di esempi, Dardot-Laval puntano criticamente molto in alto quando, ad esempio, in una polemica che sembra solo terminologica ma non lo è, traducono il concetto marxiano di Mehrwert, con plus-de-value. Non si tratta semplicemente di un’elegante reminiscenza lacaniana ma di una forte polemica, non solo contro un uso consolidato ma (ci sembra) anche contro le concezioni quasi metafisiche del plusvalore che tanto hanno afflitto i comunismi religiosi (cosa che non può lasciare indifferente un “operaista” e rende senz’altro felice chi nell’oggi, nell’epoca del capitalismo cognitivo, considera il Mehrwert senz’altro come una “eccedenza”). Non meno decisiva sembra la presa di distanza, solo per fare un altro esempio, dalla discussione di un tema, indubbiamente centrale per i marxisti, qui preso nel rinnovamento della discussione fra Séve e Fischbach, sulla maggiore o minore rilevanza delle determinazioni oggettive o di quelle soggettive nella costruzione del progetto marxiano di comunismo. È evidente che su questa critica si dovrà ritornare più tardi al termine nella nostra riflessione.

martedì 22 maggio 2012

Le lezioni di C.L.R. James

Gigi Roggero

Nell’attesa della prossima pubblicazione del volume contenente le lezioni di C.L.R James,  per i tipi della Casa editrici Ombre Corte, Roggero ci offre una presentazione sintetica della figura del giornalista marxiano e del suo approccio analitico sui nodi tematici che hanno attraversato la storia del movimento operaio dello scorso secolo, approccio non risolutivo ma indicativo del come porre in essere metodologicamente le questioni (per una prima lettura di James si rinvia a URL: http://uninomade.org/le-lezioni-di-james/)
Il 19 maggio 1989 moriva a Londra, all’età di 88 anni, Cyril Lionel Robert James. La sua vita, però, non è stata affatto sepolta tra le macerie del muro di Berlino, perché del socialismo reale James fu fin dagli inizi della sua militanza politica feroce critico e avversario. Nato a Port of Spain, capitale di Trinidad e Tobago, James è stato giornalista e giocatore di cricket, scrittore e studioso di Melville, si è formato sui testi di storia e letteratura. Soprattutto, ha da subito respirato l’aria delle lotte anti-coloniali, che l’ha accompagnato negli anni Trenta in Inghilterra e ha permeato la sua intera biografia diasporica. In questo periodo matura la sua formazione marxista, che lo porterà nel 1938 a scrivere quello che è certamente il suo libro più conosciuto e probabilmente il più importante, I giacobini neri (si veda l’edizione del 2006 di DeriveAppodi, con la bella prefazione di Sandro Chignola). É un Marx, quello di James, al contempo globale e situato, capace di immergersi nelle rivolte degli schiavi e confrontarsi con Toussaint Louverture. É un Marx ripensato a partire dalle “periferie” che, rivoltandosi, si appropriano degli appelli all’uguaglianza e alla libertà della rivoluzione francese, per disvelarne la non neutralità e costruire un nuovo universalismo. Ed è un Marx che serve per coniugare e dunque riformulare lotta anti-coloniale e lotta anti-capitalista, linee del colore e dello sfruttamento, razza e composizione di classe.

La «gabbia d'acciaio» e lo spettro anticapitalista. Appunti psicogeografici, di ritorno da Francoforte

di Francesco Raparelli

Questa cronaca politica racconta la manifestazione di sabato scorso a conclusione delle due giornate francofortesi che segnano forse l'apertura di una fase dei  movimenti sociali nella vicenda continentale. Evento strordinario che registra -come rileva l'autore- "un fatto nuovo nella storia europea, quella storia che va da Maastricht alla circolazione dell'euro fino alla crisi dei debiti sovrani: una imponente manifestazione europea ha assediato la City finanziaria, i grattacieli della Bce e della Deutsche Bank"

Francoforte è inquietante. Meglio, lo è la sua City finanziaria, un agglomerato di grattacieli che si snodano tra la Hauptbahnhof e Willy Brandt Platz. Dall'Eurotower alla sede della Ubs, dalla Deutsche Bahnhof alla Deutsche Bank, edifici di vetro che scavalcano il mondo e che performano la realtà con la loro altezza incontrastata. Fin lassù non si può arrivare, la società raggiunge il suo grado massimo di astrazione.
Di converso, in basso, per terra, ci sono il corpo del sesso e quello della droga. A Francoforte, City finanziaria, quartiere a luci rosse e strade della droga coincidono. La prima sta sopra, assieme agli angeli, per strada ci sono puttane, gioco d'azzardo (quello di terra e non quello di cielo, quello fatto con i derivati) e “pere”. Sì, a Francoforte ci sono le pere, le siringhe, c'è la gente che si fa le pere in strada, in una strada, quella dedicata a loro. In quella strada si può morire, tranquillamente, lì la polizia non passa o se passa non guarda o se guarda non gliene frega un cazzo. A Francoforte il reddito medio pro capite è di 72.000 euro l'anno (pensate un pò quali saranno i redditi alti!?), i servizi funzionano perfettamente, come nel resto della Germania, d'altronde, chi non ce l'ha fatta fa bene a crepare. Quindi quando si cammina, come in un balzo nel passato, nelle periferie romane dei primi anni '80 (o nella provincia italica degli anni '90), si incontrano i tossici che si fanno.

venerdì 4 maggio 2012

"Perché l'austerità è di destra". Intervista a Emiliano Brancaccio

di Stefano Galieni

“L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa”, (Il Saggiatore, pp.152, 13 euro) è la recentissima pubblicazione di Emiliano Brancaccio e Marco Passerella, attraverso cui gli autori provano a dare una lettura estremamente critica di come l’Italia e di fatto l’Europa stiano affrontando la crisi attuale. Ad Emiliano Brancaccio, economista di formazione marxista, chiediamo intanto le ragioni di questo titolo.
 «“L’austerità è di destra” vuole essere innanzitutto un monito per la sinistra. Le politiche di austerità sono state infatti praticate da governi di destra, di sinistra ed anche da governi tecnici sostenuti da ampie maggioranze, ma i dati mettono in luce che esse sono sistematicamente ricadute sulle spalle dei lavoratori subordinati e dei gruppi sociali più disagiati. Contrariamente a quel che si dice, queste politiche  non hanno mai intaccato gli sprechi e i privilegi. Basti pensare che i costi della cosiddetta “casta” sono aumentati proprio nei periodi di massimo avanzo primario, ovvero di eccesso di prelievo fiscale rispetto alla spesa pubblica al netto degli interessi. Ma quello che conta di più, per chiarire il contenuto del nostro libro, è il sottotitolo. Noi affermiamo infatti che l’austerità “sta distruggendo l’Europa”, perché invece di risanare i bilanci tende a deteriorarli. Per capire questo aspetto, occorre comprendere che il funzionamento di una economia nazionale e i conti di un intero stato non possono mai essere equiparati al funzionamento di una economia familiare. Una famiglia che “stringe la cinghia” vedrà migliorare il proprio bilancio, ma uno Stato che contrae le spese e aumenta le entrate fiscali ridurrà la capacità complessiva di imprese e famiglie, farà quindi cadere la produzione e l’occupazione e provocherà una caduta dei redditi che renderà ancor più difficile il rimborso dei debiti, non solo pubblici ma anche privati. La crisi che ne consegue finirà a un certo punto per costringere i paesi più deboli dell’Unione a uscire dalla zona euro per riconquistare almeno il controllo della moneta».

Fare cittadinanza

di Anna Simone/Federica Giardini

Come collocare, percepire e pensare i corpi che oggi provano a “fare il comune”? Più volte abbiamo evidenziato come siano sottoposti a processi di frammentazione e di ricompattamento che – attraverso strumenti statistici, attraverso una sorta di fideismo scientifico-oggettivo e dunque su base autoritaria – sono messi in atto dalle soluzioni neoliberiste alla crisi. In questi processi i cittadini, i corpi, le soggettività si profilano solo nella misura in cui vengono privati del loro potere decisionale e del loro desiderio di giustizia, non soggetti di conflitto ma oggetti “sensibili”, problematici e dunque target di policies economiche. I cittadini d’Europa, cioè noi, diventiamo sempre più “sudditi” del potere finanziario che privatizza, estorce beni comuni, attribuisce rappresentanza solo quando vuole ripristinare la supremazia dei doveri sull’esigibilità dei diritti. Le soggettività vengono scomposte e contrapposte sulla base di ripartizioni identitarie e funzionali allo stesso ordine neoliberista (garantiti contro non garantiti, autoctoni contro immigrati, degne contro vittime, etc.). I corpi emergono come merce di scambio o come storie di successo, scompaiono nei Cie, riappaiono sussunti dal potere biomedico, ma non sono mai messi nel conto quando si manifestano come voice, agency, quando portano conflitto.

Appello contro il ddl Fornero e per una nuova idea di lavoro e welfare

www.ilquintostato.it

Roma, Sabato 5 Maggio, ore 09,30 Città dell’Altra Economia-Largo Dino Frisullo- Assemblea lavorat* indipendenti. Questo è il momento di promuovere, oltre i confini delle singole categorie, la consapevolezza di un obiettivo comune, una coalizione del lavoro indipendente e precarizzato
Siamo lavoratrici e lavoratori della conoscenza, dello spettacolo, della cultura e della comunicazione, della formazione e della ricerca, autonomi e precari del terziario avanzato. Lavoriamo con la partita IVA, i contratti di collaborazione, in regime di diritto d’autore, con le borse di studio, nelle forme della microimpresa e dell’economia collaborativa. Siamo cervelli in lotta, non in fuga, ovunque ci troviamo. Ci occupiamo di cura della persona, della tutela del patrimonio artistico. Ogni giorno produciamo beni comuni intangibili e necessari: intelligenza, relazioni, benessere sociale.
Siamo il grande assente nel dibattito sulla riforma del mercato del lavoro, tutto concentrato sullo strumentale dibattito sull’articolo 18. Questa riforma sta facendo passare, in sordina, la decisione di aumentare l’aliquota previdenziale per le partite IVA di 6 punti, dal 27 al 33%. Una scelta gravissima, che inciderà sulla vita delle lavoratrici e dei lavoratori iscritti alla gestione separata INPS. Già dal prossimo settembre almeno un milione e trecentomila persone vedranno il proprio reddito nuovamente tagliato, senza alcuna speranza di percepire in futuro una pensione dignitosa.

Monti e Fornero, truffatori " Innocenti"

di Antonio Lettieri

I lavoratori dell’Alenia hanno apprezzato che il ministro del Welfare, Elsa Fornero, abbia accettato il confronto. Naturalmente i loro argomenti non hanno scalfito le convinzioni della professoressa. Non era possibile: con il capo del governo condivide la religione neo-liberista. È  una truffa, ma loro ci credono, e in questo senso, avrebbe detto Galbraith, sono innocenti.
Dopo l’assemblea, alla quale avevano invitato il ministro Fornero, i lavoratori dell’Alenia non mancarono di esprimere il loro apprezzamento per il fatto che il ministro aveva accolto il loro invito al confronto. Fornero aveva utilizzato tutta la sua capacità professorale per spiegare il senso delle riforme in cui è impegnato il governo ma, come era prevedibile, senza averli convinti. Ma anche i loro interventi – ammisero i lavoratori – per quanto motivati con inoppugnabili dati di fatto, non avevano minimamente scalfito le certezze del ministro. Rimane il fatto che i lavoratori avevano dalla loro parte gli argomenti di una schiera sempre più fitta di analisti e commentatori economici che considerano la politica europea di austerità un errore catastrofico, probabilmente destinato ad affondare l’euro insieme con una parte dei paesi che ne fanno parte.

giovedì 3 maggio 2012

RIFORMA CONTRO LA CONTRORIFORMA

di Carlo Guglielmi

un contributo sulla valutazioni del Disegno di legge 3249 che sarà tra i temi oggetto del dibattito di oggi nel corso dell’Assemblea romana indetta dal FORUM DEI DIRITTI 
Giorgio Manganelli (ne “la Metamorfosi del Gran Guaritore” ) scrive: “una legge giusta è più vessatoria di una legge ingiusta perché ti vuole suo complice”.  Ed è con questo segreto timore che chi scrive seguiva l’avvio del dibattito mass mediologico sulla “riforma del lavoro”. Nessuno, infatti, può negare il presupposto da cui nasce la necessità di una riforma  e cioè  il vero e proprio disastro compiuto dalle leggi che si sono succedute dalla fine degli anni 80 e poi con sempre maggiore velocità a partire dal 1997 con il famoso pacchetto Treu, e poi la riforma dei contratti a tempo determinato del 2001, la legge Biagi del 2003, il collegato lavoro del 2010 e il famigerato “art.8“ del 2011 per arrivare al cd Salva Italia del 2012 che imponendo l’età pensionabile più alta d’Europa ha definitivamente bloccato ogni possibile turn over (e questo per citare solo i provvedimenti principali voluti dalle forze che oggi sostengono il Governo). Si è infatti deciso di condannare le ultime due generazioni alla precarietà assoluta togliendo loro ogni  prospettiva di una costruzione di una “vita libera e dignitosa”. E le si è  usate per impoverire  di salario e diritti i lavoratori già nel mercato spingendo così l’imprenditoria italiana a competere sempre più sul costo del lavoro e la disciplina di fabbrica  abbandonando ogni seria innovazione di prodotto o processo e ogni politica industriale e di ricerca. E da ciò è conseguito il progressivo e inarrestabile tracollo contemporaneo della capacità produttiva del paese, dei consumi e della democrazia nel suo insieme che era stata disegnata dalla Carta proprio fondandola sulla capacità di  sorveglianza ed espansione della stessa ad opera delle lavoratrici e dei lavoratori. In questo quadro  una riforma che davvero mettesse fine al dilagare della precarietà (consentendo ai lavoratori una cornice di diritti condivisi da cui ripartire per la riconquista della dignità del lavoro con rinnovate regole  sulla loro capacità di effettiva rappresentanza) e che finalmente tendesse all’universalizzazione del riconoscimento del diritto  ad un reddito per consentire una vita libera e dignitosa anche a tutti i non occupati (all’interno di una rinnovata capacità del pubblico di orientare lo sviluppo nell’economia reale privilegiando ricerca,  sviluppo di qualità   e progressiva conversione ecologica) di certo avrebbe potuto in astratto legittimare rinunce anche importanti a rendite di posizioni cristallizzate a tutti gli attori chiamati a giocare la partita di un mercato più giusto (non solo lavoratori e datori cioè, ma anche sindacati, pubblica amministrazione,  giudici, avvocati, partiti ed enti locali).
Ebbene dopo aver letto il Disegno di legge 3249, meglio noto come “Riforma Monti – Fornero” (finalmente reso pubblico dopo molti mesi di sole battute giornalistiche), l’unico favorevole apprezzamento che si può fare è che ci evita completamente di correre il rischio evidenziato da Manganelli. E’ infatti una riforma profondamente  ingiusta che quindi non consente a nessuno che davvero abbia a cuore le premesse da cui è  partita di  essere “complice” della stessa.

mercoledì 2 maggio 2012

Bozza di proposta per la strutturazione del movimento contro il pagamento del debito

Comitato No Debito (www.nodebito.it)

Il Comitato No Debito è un movimento organizzato, indipendente dai partiti e che si riconosce nei contenuti dell'appello "Dobbiamo fermarli. Noi il debito non lo paghiamo. 5 proposte per un fronte comune contro il governo unico delle banche", approvati dall’assemblea del 1° ottobre 2011, sulla piattaforma della manifestazione “Occupyamo Piazza Affari” del 31 marzo 2012, sulla necessità di una opposizione e di una alternativa di fondo al governo Monti, agli accordi europei di austerità e a tutte le forze che li sostengono. Esso è aperto alla partecipazione e raccoglie militanti singoli, attraverso l’adesione individuale all'appello, e soggetti collettivi e organizzati sociali e politici. Gli aderenti individuali e i soggetti organizzati si impegnano a partecipare e a sostenere le manifestazioni e le iniziative pubbliche del movimento No Debito, a costruire i comitati locali e a sostenere e a stimolare l'allargamento dell'adesione individuale e collettiva ad esso.

Imparare da Oakland… e da New York, 9. Il copyright della lotta di classe: #Occupy, i sindacati e il general strike

di Michele Cento e Sean Patrick Casey
“Noi non abbiamo mai visto uno sciopero generale”. Così a metà degli anni Settanta Mariarosa Dalla Costa attaccava la pretesa universalità di uno sciopero che non riusciva a sfondare la linea del genere, impedendo alla lotta di classe di irrompere nella cucina di casa. Quarant’anni dopo, il lavoro riproduttivo continua a rimanere al di fuori dell’orizzonte tradizionale del conflitto sindacale, mentre i processi di precarizzazione e frammentazione del lavoro hanno ulteriormente depotenziato lo sciopero generale al punto tale che i lavoratori precari non hanno il potere di scioperare, anche se ne hanno il diritto.
Lo sciopero generale non sembra cioè più in grado di spostare i rapporti di forza che strutturano il luogo di lavoro, ma, come il caso italiano dimostra, appare semmai come uno spettro minaccioso da evocare per ottenere piccole limature a un testo di legge. In questa sua forma spettrale, lo sciopero generale come l’abbiamo conosciuto è destinato a diventare un mito. Non nel senso che Sorel si augurava, bensì come l’appello al cielo di un sindacato che tenta disperatamente di difendere istituti giuridici che il capitale ha già provveduto a liquidare sul piano materiale.
Eppure, “the general strike is back” è l’appello con cui i movimenti Occupy hanno lanciato la giornata che darà il tono alla primavera statunitense: lo sciopero generale del primo maggio, quando, ironia della sorte, negli Stati Uniti si osserva il Loyalty Day. È il giorno in cui si riafferma la lealtà alla nazione. Lavorando, certo. E come, altrimenti?

martedì 1 maggio 2012

Uno spettro si aggira per il primo maggio: è lo spettro della MayDay

MayDayParade -Documento di convocazione della MayDay a Milano

 È stato un anno di transizione, che con la perenne emergenza della crisi, ha portato a dei cambiamenti strutturali sia sul piano della politica che su quello economico sociale. Non è necessario fare un lungo elenco, basta ricordare il golpe bianco dettato dai potentati finanziarie con l’instaurazione di un governo tecnico, che – politicamente – sta facendo in pochi mesi ciò che a Berlusconi non era riuscito di fare in anni di (mal)governo. 80 miliardi di finanziaria stanno strangolando l’economia italiana, in nome del pagamento degli interessi alle banche e della finanziarizzazione della vita (smantellamento della previdenza pubblica, ulteriori privatizzazioni del patrimonio pubblico e comune, pseudo liberalizzazioni). Una finanziarizzazione della vita che oramai è un tutt’uno con la precarizzazione della vita. La controriforma del mercato del lavoro, che un parlamento bulgaro, senza opposizione alcuna e con la complicità delle forse di centro-sinistra, sta promulgando, completa definitivamente il disegno di totale subalternità del lavoro e della popolazione agli interessi di pochi speculatori, così come l’inserimento dell’obbligo di pareggio di bilancio nella Costituzione completa il processo di asservimento della politica agli interessi finanziari.
Ed è in questo declino, che con il passare degli anni, alcuni aspetti della mayday si sono trasformati. Nata e cresciuta come tribuna di denuncia e luogo di auto-indagine e narrazione, la MayDay si è via trasformata in un luogo di riconoscimento e autorganizzazione. E, a partire dall’anno scorso – l’anno della Grande Trasformazione – si è trasferita nelle pratiche di tutti i giorni, di lotta di denuncia, di elaborazione e di relazione. Non più pratica di un giorno, ma continuum dell’insorgenza precaria, non solo a livello nazionale, ma sempre più a livello internazionale. Quest’anno decine saranno le Mayday nel mondo E dopo l’incontro dell’Hubmeeting 2.0 svoltosi a Milano decine di città hanno deciso di coordinare i propri sforzi per creare venti giorni di mobilitazione globale contro la crisi, la finanza mondiale, la precarizzazione. Il primo maggio di quest’anno le Mayday di Lisbona, Berlino, Bochum, Vienna, Porto, in Europa, di Chicago, Oakland, Miami, New York, Toronto nel Nord America lanceranno le mobilitazioni che termineranno nelle giornate di Francoforte del 17-19 maggio, dopo aver attraversato le piazze del 12 e 15 maggio: i venti giorni che potrebbero sconvolgere l’Europa e il Mondo.