venerdì 27 aprile 2012

Da Parigi a Firenze

di Redazione Noteblock


I temi di maggior rilevanza che hanno caratterizzato il dibattito politico di questa settimana, dal nostro punto di vista, sono le presidenziali francesi di domenica scorsa e la “assemblea costituente” del soggetto politico nuovo di domani. Le questioni si intrecciano perché in qualche modo il discreto successo della sinistra d’oltrealpe (seppur sotto le previsioni preelettorali che davano un consenso ben più ampio di quello ottenuto da Mélenchon) richiama il progetto – quanto meno sul piano formale organizzativo - a cui si ispirano i promotori convocatisi in quel di Firenze.
Il nodo da sciogliere, sia nell’ipotesi nostrana che in quella de “la rive gauche”, sebbene con differenze sostanziali non indifferenti (per esempio quell’antieuropeismo che ha caratterizzato fin qui l’estrema sinistra francese, oltre ad una arretratezza sul terreno programmatico, in primis, la questione sui beni comuni e un nuovo welfare basato sui diritti di cittadinanza), è quello del rapporto tra i movimenti e lo spazio della rappresentanza istituzionale.


In Francia, se la vittoria di Hollande sarà sancita dall’elettorato (così come previsto da tutti i sondaggi), si dovrà verificare la possibilità dei movimenti conflittuali di poter misurarsi –come si augura Negri nell’articolo che segue sul ns. blog- non soltanto sulle politiche rifondative del progetto comune europeo, ma soprattutto su “nuove esperienze di confronto e scontro” con la governance socialdemocratica. Ciò vale a maggior ragione, diciamo noi, anche nella prospettiva assai probabile di un assestamento tendenziale di questo segno politico su scala continentale e non solo francese: “Sarà possibile, attraverso la continua azione sociale dei movimenti, attraverso una ricomposizione dei movimenti a livello europeo, introdurre nuovi motivi ‘comuni’ nella governance che i socialdemocratici si preparano ad assumere a livello europeo?”.
In sostanza un limite che si riscontra nella esperienza della gauche francese è che pur avendo superato le pretese egemoniche della forma-partito (ed è già un bel passo avanti), ancora non è riuscita a comprendere sino in fondo la crisi in cui versa lo spazio di rappresentanza istituzionale e che senza un pieno riconoscimento della progettualità autocostituente dei movimenti anticapitalisti, delle loro pratiche e forme di cooperazione sociale, la rappresentazione politica della complessità soggettiva sarà inevitabilmente trasfigurata ed ipostatizzata nella mera rappresentanza cetuale.
Nella proposta del soggetto politico nuovo lo scarto tra la rappresentazione politica della complessità e la rappresentanza istituzionale delegata, così come conosciuta nella forma-partito novecentesca, è colta nella sua essenza e tuttavia la questione rimane irrisolta né peraltro - ad onor del vero- i firmatari hanno manifestato la pretesa di risolverla. I proponenti, nel prefigurare il modello strutturale del nuovo soggetto, immaginano un radicamento “a rete nei territori”, con forme di organizzazione e di coordinamento non centralizzate. Una struttura politica aperta  sebbene non acefala, non mancando di aggiungere la preoccupazione e la consapevolezza che tutto ciò è “Cosa bella a dirsi, difficile a farsi”. La partecipazione politica ad essa è finalizzata secondo una cornice giuridica che regoli gli assetti interni orientati al "rigoroso principio di legalità" e ad "un’assoluta trasparenza e condivisione dei processi decisionali".
Il percorso ipotizzato pur partendo dal rifiuto della delega e della rappresentanza non oltrepassa la finalità elettoralistica: il banco di prova della competizione elettorale rimane così centrale tanto da subordinare il successo del soggetto politico nuovo alla prossima scadenza della tornata sulle Politiche. Infatti ci dicono: “Dovremo affrontare il tema ispido delle elezioni e della rappresentanza, in maniera attiva come lo stanno già affrontando molte realtà dove si vota a queste amministrative. Naturalmente non abbiamo per nulla deciso se ci candideremo alle politiche e con chi, perché, appunto, potremo deciderlo solo col metodo democratico che ci stiamo dando quando la questione sarà matura. Ma di certo non potremo ignorare quella scadenza, per tante ragioni. In primo luogo perché quanto avverrà in Italia nel 2013 avrà un effetto decisivo sul destino della nostra democrazia e perché un’iniziativa come la nostra, che si propone di mettere in campo una nuova soggettività e ambisce a cambiare la politica nel nostro Paese, se dovesse mancare all’appuntamento delle prossime elezioni politiche abortirebbe sul nascere”.
I dubbi e le speranze che avevamo mosso prima in relazione alla situazione francese si ripropongono parimenti su quella italiana. “Per questo pensiamo –come rileva nel suo articolo Beppe Caccia che rilanciamo nelle nostre pagine- che sia oggi all'ordine del giorno, a partire dall'immersione nella ineludibile crucialità del conflitto sociale in atto, la costruzione di coalizioni sociali di ampio respiro, capaci di connettere quelle e quelli che hanno scelto da che parte stare. E che queste siano, in termini espliciti ed in piena autonomia, in grado di affrontare anche il nodo della politica istituzionale e pure la questione elettorale. Proprio perché non è oggi indifferente, per il tentativo di affermare una comune alternativa nel nostro Paese e quindi in Europa, la domanda intorno a chi e come si candida a governare i processi in atto.