IN DIALOGO CON ALICE CASTIGLIONE -Arianna Giardina-
“Nel 2018 avevo già lasciato l’Italia, ma decisi che dovevo fare qualcosa per andare contro il clima di odio generato dalla comunicazione mainstream di un fenomeno che non rende giustizia alle storie degli esseri umani che ci sono dietro i numeri. Ho scelto di raccontare le donne che attraversano il Mediterraneo perché, da femminista, ho sentito il dovere di essere un tramite, un megafono. Sono io stessa una migrante economica e ho ragionato sulla domanda “perché a me si appioppa la parola expat e a loro si affibbia 'migrante'?” o anche “perché le donne che vediamo nelle immagini sono sempre piangenti? C'è del razzismo intrinseco nella narrazione della migrazione” .Alice il tuo documentario parla delle donne, sono loro le protagoniste perché?
La mia è una reazione. Storie di donne Migranti è un
fotodocumentario condotto per l’Università di Portsmouth, in collaborazione con
il Centro Diaconale La Noce – Istituto Valdese e con Mediterranean Hope – Casa
Delle Culture di Scicli e il Cara di Mineo che parte dal bisogno di fare
controinformazione.
Sono io stessa una migrante economica e ho ragionato sulla domanda “perché a me
si appioppa la parola expat e a loro si affibbia ‘migrante’?”
o anche “perché le donne che vediamo nelle immagini sono sempre piangenti?” C’è
del razzismo intrinseco nella narrazione della migrazione.
C’è un fotografo,
Cesar Dezfuli, che nel 2016, appena due anni prima del mio progetto, veniva
premiato per “Passengers”, un progetto fotodocumentaristico composto da una
serie di ritratti scattati al momento del salvataggio per riflettere sullo
stato fisico di queste persone e per assegnare un volto a quelli che a noi
vengono presentati come numeri. In questo lavoro ho riscontrato 2 problemi:
1- sono tutti uomini e
ragazzi
2-continuiamo a non
sapere nulla di loro.
Il fotografo madrileno, infatti, assegna una serie di dati come l’età, il nome e la provenienza. Sembra una schedatura in caserma più che un progetto atto alla riumanizzazione. Ho deciso quindi che avrei ricercato quelle storie umane che al pubblico vengono negate in favore di una narrazione sensazionalistica, ma che consentono l’allenamento all’empatia. Inoltre, e questo è molto importante, ho scelto di documentare le donne perché ci sono storie che un uomo non potrà mai raccontare con lo stesso punto di vista. Il punto di vista di un genere storicamente internazionalmente oppresso per rispondere ai bisogni essenziali della produzione e della riproduzione del sistema economico-sociale presente in ogni Paese e declinato in varie forme nel corso del tempo.
É importante raccontare ed ascoltare le storie delle donne, ma soprattutto ci
si deve rendere conto dei privilegi di classe che rendono noi (me in questo
caso) abili a raccogliere storie, pezzi di realtà che altrimenti cadrebbero
nell’oblio ed usarle come strumento di presa di coscienza. Ho vissuto con loro,
mangiato alla loro tavola, conquistato la loro fiducia e ho spiegato loro cosa
stavo facendo con molta umiltà, da donna a donna. Mi hanno accettata, accolta,
hanno visto la sincerità dei miei intenti e si sono aperte. Specialmente a
Scicli, abbiamo pianto insieme, dormito sotto lo stesso tetto e mangiato alla
stessa tavola. É stata una esperienza immensa, arricchente sotto tutti i punti
di vista.
Camilla Paglia scrive: “La moderna società benestante ha protetto le donne della media borghesia dalle verità spiacevoli che eruttano solo durante i disastri naturali o la guerra. Io sono stata cresciuta col codice degli immigrati della campagna italiana, un codice che diceva: la vita è pericolosa”. Cosa ne pensi tu?
Penso che ci troviamo in un momento storico in cui la necessità di movimento sbatte contro i muri di modelli socioeconomici che condizionano la percezione dello spazio in cui viviamo. Penso che il femminismo raccontato senza includere la lotta di classe sia una bugia pericolosissima per tutte le donne, biologiche e non.
Mi fa molto male vedere gente che è felice di vedere
questo o quel brand usare l’immagine di una donna trans (per esempio) per
pubblicizzare il proprio prodotto. Si, vero, si dà esposizione ad una realtà
oppressa, ma è una analisi superficiale in cui non si considera che l’unico che
vince è il sistema che le oppressioni le crea. Il sistema in cui viviamo
(capitalismo) non guarda in faccia a nessuno. Non basta mettere una donna trans
in copertina o andare in giro con la maglia di Frida per inneggiare al
cambiamento culturale. Serve una lotta di classe sistematica e costante.
I modelli a cui mi ispiro sono le donne Mapuche in Sud America, le guerrigliere
curde o le donne Adivasi in India, non mi interessa il femminismo
borghese/individualista/liberale. Il mio compito in quanto artista è quello di
contrastare con i miei strumenti l’abbrutimento delle relazioni sociali, di cui
le donne sono le principali vittime. La mia produzione è molto politica perché
non credo che l’arte debba essere qualcosa di elitario, ma un mezzo che ha
l’essere umano per elevarsi fisicamente e spiritualmente, come individuo e come
civiltà.
Cosa pensi del femminismo oggi? E quali precetti possono essere fattivamente utili e di supporto per queste donne e per tutte le donne?
Inoltre, molti movimenti femministi sono composti da casalinghe, lavoratrici, studentesse ecc.. che non hanno una alfabetizzazione informatica e visuale. Ci si trova quindi con assemblee telematiche organizzata da persone che usano i nuovi media solo per social e email, assemblee in cui l’età media è molto alta e che troppo spesso non parla un linguaggio comprensibile alle nuove generazioni. Questo è un peccato perché molte conoscenze dovrebbero essere trasmesse, molte persone potrebbero entrare in contatto anche se a distanza. É giusto concentrarsi sui numeri della piazza, sulla presenza fisica, ma è anche giusto non lasciare indietro i codici di comunicazione. Sono quelli che aggregano. Ieri era il volantino, oggi è qualcosa d’altro. Ci sono intere subculture che vengono lasciate da parte dal movimento perché considerate distanti oppure, più semplicemente, non sono conosciute. Internazionalmente abbiamo moltissimi esempi di hacker femministe, per esempio. Nel 2020 ho creato, insieme alla ONG femLENS, un festival transnazionale online chiamato Her Visual Story in cui, tra le altre cose, abbiamo proposto laboratori di scrittura e diversi interventi volti a migliorare la comprensione dello spazio digitale.
Hai scritto che per te è importante elaborare i sentimenti e creare uno spazio di consapevolezza ed empatia per abbattere le barriere di tutti i tipi e che riguardano le politiche odierne. Trovi ci sia davvero inclusione nelle comunità? Tu cosa hai visto, cos’hai colto?
No, l’inclusione non c’è. C’é accoglienza, ci sono sforzi positivi, ci sono
gruppi, assemblee, iniziative. Ma no, non c’è inclusione. In Europa
l’inclusione è una parola che viene usata troppo spesso dalle istituzioni per
ripulirsi la faccia, ma chi arriva in Europa si scontra con una serie di
problemi come l’accesso al lavoro, ai documenti, alla sicurezza sociale,
alla childcare e via dicendo.
Per dirne una: in Italia decreto flussi 2023 varato del governo Meloni prevede
che, prima di accettare la richiesta di assunzione del cittadino straniero
“potenzialmente regolare”, il centro per l’impiego inoltri la stessa offerta
agli uffici corrispettivi di tutta Italia al fine di verificare che nessun
italiano prima sia disponibile per ricoprire quella stessa posizione. Questo
per dire che le vie legali di accesso sono tendenzialmente impossibili da
conseguire. Nonostante l’articolo 10 della Costituzione reciti che “Lo
straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle
libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo
nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”,
questo stesso risulta “rottamato” dopo l’adesione del nostro Paese al Trattato
di Lisbona. Come si può parlare di integrazione? Giorno 4 Marzo ho presenziato
a Bruxelles alla manifestazione Mamans Du Monde organizzata
dalla European Network Of Migrant Women. Ho esposto lì il mio fotodocumentario
a margine di una giornata in cui si è discusso proprio di queste tematiche. Ho
vissuto un clima di entusiasmo, allergia, collaborazione e quella rabbia
positiva che spinge a lottare per diritti e cambiamento al grido “il posto
delle donne migranti è in parlamento (europeo)”.
Narrare le donne (madri e non) migranti come bisognose di aiuto, non
autodeterminate e succubi degli eventi è limitante e non rispecchia la realtà.
Bisogna rompere questi stereotipi. Le donne migranti, come tutte le donne del
mondo, si organizzano con forza, autodeterminazione e spirito di creazione per
l’abbattimento del sistema classista e patriarcale, contro le frontiere che
creano cittadini di serie A e serie B e per la libera circolazione delle
persone.
La partecipazione delle donne migranti alla vita politica e sociale é
importante per il raggiungimento dell’inclusione, ma pare che le istituzioni
non vogliano ascoltare queste voci.
e qui:
https://ecointernazionale.com/2019/07/parola-alle-operaie-la-denuncia-delle-donne-della-montello/
Parli di diversità come ricchezza e mi trovi d’accordo. Credi sia
ancora viva e reale la paura del diverso? Tu ti sei trovata arricchita da
questa esperienza?
La paura del “diverso”, come tutte le paure, é data dalla non conoscenza.
Dici che la questione femminile è una questione di civiltà, e che spesso la donna e il corpo della donna sono un campo di battaglia, lo viviamo oggi più che mai in Iran con la Rivoluzione e in diversi altri paesi. Ma anche in occidente la donna subisce ancora, vedi i molti femminicidi e le violenze. Tu che cosa ne pensi?
Penso che con
differenti modalità siamo tutte nella stessa barca, per questo nasce e cresce
il movimento femminista di stampo internazionalista. La classe sociale o la
nazionalità sono solo delle varianti sul tema dell’oppressione storica. Nel
mondo non esiste un Paese in cui le donne possano sentirsi esenti dalla
violenza maschile.
La partenza, il viaggio, il deserto, i campi in Libia, il mare e poi
l’arrivo. Ho visto che le tue immagini sono davvero molto evocative. Che
difficoltà e ostacoli incontrano queste donne? E all’ arrivo cosa devono
affrontare?
Gli ostacoli sono innumerevoli. Molte vengono attirate con l’inganno per
poi finire tra le maglie della tratta. Quelle che non finiscono nella rete
della tratta o riescono a fuggirla, arrivano in Italia per affrontare una serie
di barriere (linguistica, culturale, ecc..). Arrivano provate fisicamente e
psicologicamente e molte volte con figli al seguito, spesso nati da stupri
avvenuti durante il viaggio. Molte sono giovanissime.
Arrivano in strutture di accoglienza che le accudiscono ma, una volta fuori,
difficilmente avranno la possibilità di autosostentarsi finendo spesso per
vendere il proprio corpo. Parlando con una di loro del tema della vendita dei
corpi, ricordo di aver tradotto per lei un articolo, non ricordo precisamente
quale, ma parlava di sex work e del diritto delle persone di poter esercitare
questa professione. Ricordo distintamente la sua espressione: era un misto di
perplessità, stupore e per me è stato molto difficile spiegare che c’è chi
sceglie questo percorso. I punti di vista rispetto al lavoro più antico del
mondo possono essere molto vari e forti.
Hai scritto” la bella vita è qua” è una frase significativa che richiama gioia e serenità, ma che fa molto riflettere. È davvero così per queste donne? Che cosa intendi?
Non ho scritto io
quella frase sul muro. L’ho solo fotografata. Era in un muro di una stanza in
cui alloggiavano delle ragazze accolte da una delle strutture con cui ho
collaborato. Le ragazze stavano imparando l’italiano e ho trovato fosse davvero
significativa quella frase, in quel contesto. L’idea di venire in Europa per
loro è speranza, è aspirare ad una vita “migliore”. E pagano per questo, molte
arrivano con l’inganno. Lascio qui uno stralcio del racconto di V., 19 anni
«“Ok, non hai pagato soldi… ti sei chiesta che devi pagare?” “No, perché
nessuno mi ha chiesto di pagare.” “Ok allora te lo dico io. Devi pagare.”
“Come??? E quanto è? Allora, dove posso lavorare? Sono felice, lavoro, vi
pagherò e manderò soldi alla mia famiglia” “Sei felice di lavorare?” “Si, che
tipo di lavoro volete darmi da fare? Tipo pulire… io so pulire, lavare la
biancheria, so farlo, qualunque lavoro domestico, lo so fare!”[…]”Zitta! Non
abbiamo questi tipi di lavoro qui in Libia! Farai la prostituta!”» (parte del
racconto di V. 19 anni, Nigeria).
Quando leggo o sento di persone che chiedono “perché non vengono con un viaggio
regolare” mi chiedo se si rendano conto di come funzionino i passaporti, di
come si oltrepassino i confini. Ci vorrebbe più informazione sulla
discriminazione dei passaporti. Viaggiare può essere impossibile, se non sei
nato nel lato giusto del mondo. In alcuni Paesi le donne hanno perfino bisogno
di essere accompagnate da un uomo per poter oltrepassare il confine.
Hai avuto modo di entrare nelle loro comunità, qual è la loro quotidianità?
Pensi che il nostro paese sia un paese inclusivo?
Non si può descrivere in due parole come è la quotidianità di queste
persone. Di certo cercano tranquillità. Ho visitato posti molto diversi tra
loro, la quotidianità al CARA di Mineo non è certo la stessa che puoi trovare alla
Casa Delle Culture. É sicuramente una quotidianità fatta di recupero di se
stesse. L’Italia, come molti paesi, è un luogo in cui si fa di tutto per non
perdere l’umanità, ma bisogna distinguere il popolo dalle istituzioni.
Noi cosa possiamo imparare da loro? Dovremmo trarre qualche insegnamento, per esempio che l’unione fa la forza, che siamo tutte uguali, che dovremmo lottare insieme per la pace e ogni bene superiore comune? Dovremmo imparare, l’umiltà, la pazienza, a non essere avide, annoiate o a non dare molte cose per scontate perché abbiamo privilegi dalla nascita, ad apprezzare le piccole cose?
Adesso parliamo di politica: Il nostro Presidente del Consiglio è una
donna, anche se ha specificato e vuole farsi chiamare ” il presidente ” al
maschile.
L’insistenza della
Meloni nel farsi chiamare Presidente (al maschile) denota quanto di destra e
profondamente retrogrado sia il suo concetto di Donna nell’accezione umana e
sociale. Ha un’importanza fondamentale invece cominciare in Italia a
distaccarsi da certi stereotipi culturali indotti e imposti. Siamo indietro di
50 anni rispetto a paesi che ironizzano sulla cosa delineandone l’importanza
fondamentale. A Novembre del 2022 risulta che l 80% delle donne uccise in
Europa sono italiane. Adesso mentre noi facciamo quest’intervista, viene uccisa
una donna ogni 3 donne in Italia.
Abbiamo da poco eletto la segreteria del Partito Democratico Elly Schlein,
lei sembra invece più aperta alle politiche di inclusione come la vedi? Cosa
pensi di queste due presidenti e rappresentanti politiche donne? Cosa potrebbe
fare la politica per le donne migranti?
Abbiamo parlato di politica fin dal principio. Io non credo nella politica
istituzionale, non credo che la politica per come è impostata possa fare molto.
É un sistema che vive di discriminazione di classe. La politica istituzionale,
in teoria, rappresenta porzioni di popolazione, ma in pratica è un sistema
gattopardo che cambia tutto per non cambiare niente. Chi ha il potere di
cambiare sono i popoli, la base. La politica di palazzo fa gli interessi di
banche, industriali, finanza ecc. Recentemente con la questione Covid si è
palesato per l’ennesima volta. Conte ha ricevuto pressioni dagli industriali
che non volevano perdere profitto, il risultato si è visto sui corpi delle
persone.
Cosa penso della Shlein? Chi crede di cambiare le cose “dall’interno” è un
illuso. Quelli che “la politica si cambia da dentro” mi fanno sorridere perché
ci credono davvero. Non vedo come essere parte di un sistema malato possa
risolvere le cose se poi devi stare a delle regole che quel sistema che vuoi
distruggere lo mantengono vivo.
Queste vite potremo
salvarle solo quando non ci sarà più bisogno di scappare da un paese ad un
altro, quando non ci saranno più barriere per attraversare terre e mari, quando
i popoli saranno liberi dall’oppressione di un sistema di produzione e
riproduzione che costringe ad adottare modi di vivere e di concepire la realtà
senza vedere alternative possibili. Spesso sento dire che il sistema capitalista
è l’unico possibile, ma questo non è vero. Nella storia abbiamo visto diversi
sistemi e probabilmente anche durante il feudalesimo le persone pensavano che
fosse l’unico possibile. Il punto è che prima o poi tutti i sistemi cambiano, a
seconda delle necessità di chi li vive e nutre. Dopo le rivoluzioni industriali
abbiamo visto un cambiamento radicale e il capitalismo ha preso piede, ma chi
dice che è ancora il sistema più adatto? Anche l’era capitalista è destinata al
declino.
Con il tuo fotodocumentario e le interviste hai dato voce a non ne ha (rapporti ufficiali dimostrano che la forza-lavoro migrante è più soggetta a perdere o non ottenere un lavoro mentre i clandestini, in quanto ricattabili, sono oggetto del peggiore super sfruttamento: una nuova forma di schiavismo). Le donne immigrate quindi sono doppiamente svantaggiate 1 perché donne, 2 perché straniere. Cosa vorresti dire in merito?
L’essere umano ha sempre usato le immagini per raccontare e raccontarsi, adoperando stili narrativi e simbolismi in grado di fare presa sulla massa. Nel caso delle tv nazionali è palese come le narrazioni vengano usate per scopi politici e per manipolare l’opinione pubblica. Pensiamo di essere liberi, ma non lo siamo. La narrazione della migrazione, del lavoro delle persone che arrivano in Italia, dello sfruttamento, della contrapposizione tra italiano e straniero, della violenza maschile sulle donne ecc… è una narrazione a mio parere intellettualmente disonesta e pochissime sono le eccezioni.
Sul tema delle immagini di consumo ho scritto un articolo che lascio qui
per completezza https://ecointernazionale.com/2021/09/immagini-diventano-storia-twin-towers-kabul-oggi/