-Editoriale EURONOMADE-
Per un nostro Pacto Histórico
La prima riguarda il basso continuo delle lotte che hanno comunque attraversato la pandemia e i mesi successivi alla fine della sua fase acuta. Lotte sui luoghi di lavoro, lotte per i diritti, lotte sul terreno della sanità e della scuola, lotte sul più ampio terreno della riproduzione sociale. A quelle lotte è corrisposta una modificazione significativa delle politiche europee, che per alcuni mesi almeno, sino all’esplodere della guerra russo-ucraina, si erano poste il problema della mutualizzazione del debito e si erano aperte alla possibilità di significativi aumenti di spesa, mobilitando risorse per ricostruire società ed economie ridotte allo stremo dai due precedenti anni. La proliferazione molecolare delle lotte, pur costante e capace di straordinarie durata e tenuta, non è però stata capace di mordere, cogliendo l’occasione per criticare, radicalizzare e riorientare contenuti e proposte del piano «Next Generation UE» assieme alle sue ricadute nazionali. Questa è la prima cosa da assumere come un dato. La seconda riguarda la guerra. E insieme alla sua feroce realtà, fatta di morti, devastazioni, oscene crudeltà, l’altrettanto cruda realtà di un’economia di guerra che ridefinisce integralmente gli scenari sul medio e sul lungo periodo. Non soltanto per l’evidente scarto imposto alle politiche economiche – dal previsto incremento della spesa per il welfare agli investimenti sul riarmo; dalla mutualizzazione del debito alla socializzazione dei costi della crisi energetica; dall’espansività monetaria alle politiche deflattive –, ma anche per il radicale cambio di rotta che la subalternità alla NATO ha imposto all’UE riducendo ulteriormente i suoi ambiti di manovra. Un’Europa che è evidentemente la posta in gioco del riarticolarsi centrifugo e multipolare dei differenti spazi imperiali.
Parlare di convergenza delle lotte, assumendo il dato materiale delle loro difficoltà di articolazione, è stato in questa fase utile e necessario. Ma il praticare la convergenza lo si deve forse intendere in termini più radicali e costituenti. Convergere può voler dire confluire – e cioè: unificare traiettorie su di un punto di convergenza già determinato –, ma può anche voler dire che un insieme di forze si combinino, trasformando e intensificando tanto se stesse quanto il piano su cui compongono la loro forza collettiva. Convergere in tal senso può anche voler dire, come ci mostrano le esperienze di nuovo municipalismo in Europa e Nord America e dei nuovi blocchi progressisti in America Latina (come il Pacto Histórico in Colombia), impegnarsi nella costruzione di costellazioni politico-istituzionali nelle quali sperimentare modalità inedite di incontro tra forme classiche della rappresentanza politica e movimenti emergenti del comune.
È piuttosto evidente che ciò che entra in gioco, nella fase che si apre, è la capacità dei movimenti di accedere alla seconda delle due accezioni qui riportate. Mettersi in grado di farlo, significa darsi la possibilità di passare dalla difesa all’attacco: dal livello microfisico della messa in relazione e del mutuo soccorso tra le lotte, all’individuazione di una prospettiva in grado di aggredire dal basso l’agenda europea, la sua economia di guerra, la sua gestione di una crisi economica e sociale che, tra contrazione della spesa, rincari energetici e accelerare dell’inflazione, spalanca un autunno feroce in faccia ai proletari. Qui non è solo questione di reciproco riconoscimento o di intersezionalità; ciò che entra qui in questione è la necessità di tracciare un comune piano di consistenza e una comune pratica dell’obiettivo. Nei quali rifiuto della guerra, lotta per il reddito e per i diritti sociali, ridefinizione del posizionamento geopolitico europeo, si facciano comune matrice di produzione di soggettività e comune grammatica per la coniugazione delle lotte.
Tre punti fermi ci sembra opportuno assumere a questo proposito. Il primo: la convergenza non è un modello additivo. Essa non fa segno a una semplice sommatoria di posizioni, ma alla capacità di ridescrivirle e di puntare oltre. Ed è proprio nell’esperienza latinomaericana di Nonunadimeno e nell’incrocio tra mobilitazioni operaie e lotte ecologiste rivendicato, con un evidente e coraggioso superamento della tradizionale e ricorrente contrapposizione tra movimento operaio e ambientalismo che ha in particolare caratterizzato in questi mesi le iniziative del collettivo di fabbrica GKN, che riconosciamo una significativa anticipazione nel cogliere questa necessità. Il secondo punto riguarda il rifiuto della guerra. Ci sembra del tutto paradossale lo straniante silenzio che accoglie il minaccioso riemergere dello spettro nucleare. Anche in questo caso, non è al pacifismo come spazio presidiato che facciamo riferimento, ma alla possibilità di trasformare lo stesso pacifismo in potenza costituente, per sparigliare la paralizzante indecisione di chi non sa che parte assumere nello scontro tra imperialismo putiniano e imperialismo della NATO. Rifiutare la guerra significa rifiutare il piano sul quale il capitale globale combatte le proprie battaglie per l’egemonia. Il terzo punto riguarda la forza: la convergenza non è fatta di linearità. Essa implica salti e rotture. E di fronte alla deriva fascista che travolge molti paesi europei, la questione di una convergenza tra le lotte capace di trasformare le identità e di materializzare l’interdipendenza della composizione di classe contemporanea in uno sciopero europeo contro la guerra, ci sembra essere una questione di assoluta urgenza. In inghilterra abbiamo visto iniziare a saldarsi lotte antidiscriminazione, lotte per il salario e movimenti Don’t Pay: è anche sulla traccia di questi passaggi che riteniamo possa muoversi l’apertura di uno spazio di politicizzazione e di convergenza capace di trasformare le posizioni, inaugurare pratiche e spazi inediti, sedimentare contropotere. La convergenza è tale quando si dota di capacità di attacco.
Ciò che va conquistata è una posizione di effettivo contropotere. Contropotere contro la guerra e contro la logica che paralizza una presa di parola costituente una volta si accetti l’ipersemplificatorio ordine del discorso che impone di schierarsi tra aggressori e resistenti, tra vincitori e vinti, tra fedeltà atlantiche globali e antimperialismi non sempre conseguenti. Contropotere contro le scelte di politica economica che ricacciano sul lavoro dipendente e sui poveri i costi della crisi energetica, facendo pagare un prezzo particolarmente alto a donne e migranti. Contropotere per la riconquista dei diritti sociali in una riscrittura dal basso di un nuovo welfare del lavoro e del non lavoro. Contropotere che attacchi la reiterata difesa della rendita finanziaria e che rivendichi servizi sociali efficienti, una sanità pubblica radicalmente ristrutturata, il diritto alla casa e alla formazione. Convergere significa qui contribuire – e farlo su di un piano comune – alla stesura di una Carta dei diritti della moltitudine e inventare le prassi che possano renderla effettuale.
Va da sé che tutto questo non è né semplice né immediato. Si tratta però di mettere all’ordine del giorno questo passaggio e la necessità di posizionarsi in una fase che si presenta rischiosa e estremamente incerta. Rifiutare la guerra (e la sua economia) è un passo decisivo da compiersi. Farlo, significa anche definire il piano di consistenza per lotte che, per essere convergenti, devono anche definire un comune baricentro e una comune traiettoria. Rifiutare la guerra significa anche, e soprattutto, rifiutare radicalmente lo spettro dell’austerity e la sterzata imposta alle politiche economiche europee e contribuire a una comune riscrittura del Welfare nella quale diritto alla casa, alla salute, alla formazione, acquistino il ruolo che loro compete nel quadro di un complessivo ridisegno dal basso dell’architettura istituzionale europea.
EuroNomade.info