mercoledì 25 marzo 2020

INTERVISTA AD UGO MATTEI. SUL DECLINO DELLA SOGGETTIVITÀ

 -Julia Page- 
    dall’Essere-consumatore all’Essere-merce    


«bisogna cercare di capire come si possano immaginare nuovamente degli spazi della politica, e anche in tempi molto rapidi»
Il  virus come acceleratore del processo di disfacimento delle istituzioni sovranazionali – dell’Europa in primo luogo – e dei processi di individualizzazione delle soggettività ? 
Vi sarà  - più in generale –  un ripensamento della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta ? 
Alcuni passi delle dichiarazioni rilasciate a Commonware dal giurista noto anche per aver promosso la campagna della legge popolare sui beni comuni

Dopo questa emergenza assisteremo a una battuta di arresto della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta, e ci sarà un ritorno, con le dovute differenze rispetto al passato, degli Stati Sovrani?
L’Europa, a mio modo di vedere, non ha mai superato il suo status di povera semiperiferia. Non credo che, dato che in Europa siamo 500 milioni di persone più o meno ricche, l’Europa costituisca in alcun modo una potenza globale. L’Europa è stata sempre, a partire dal ’48 in avanti, una sorta di semiperiferia contesa, e dopo la caduta del muro di Berlino al claim dell’Unione Sovietica si è sostituito, in questa fase, quello della Cina. Ma l’Europa, in questo contesto, non conta assolutamente nulla. Credo che le decisioni Europee vengano prese sostanzialmente dalla NATO, e che l’Europa sia stata ancor più marginalizzata in seguito alla Brexit. Essendosi rinsaldato un forte asse atlantico fra Stati Uniti e Regno Unito, l’Europa è ormai un gruppetto di paesi con una postura fortemente egoistica. In più tutta una serie di stati del Nord, come avevamo visto benissimo rispetto alla crisi greca, hanno un atteggiamento fortemente razzista nei confronti dei paesi meridionali, e in questo contesto l’Italia, in particolare, è un target di conquista molto importante, perché è stata tradizionalmente competitiva rispetto agli interessi della Germania, essendo anche la nostra un’economia di esportazione. Insomma, L’Europa è un non player in questa cosa: a giocare sono da un lato la NATO, e dall’altra una specie di neonata asse fra Russia e Cina; l’Europa è un po’ terreno di conquista lì in mezzo. In più, immaginare una risposta europea a questa crisi è un’ipotesi assolutamente reazionaria: pensare di poter ricostruire le istituzioni giuridiche liberal-occidentali, che sono poi state la principale ragione del disastro capitalistico, è semplicemente un reazionario. Adesso bisogna cercare di capire come si possano immaginare nuovamente degli spazi della politica, e anche in tempi molto rapidi.
Questa crisi, insieme alle altre cose, ha messo in luce l’attualità del binomio Libertà/Sicurezza. In questa fase, sembra che siamo molto più disposti a rinunciare alla merce-libertà in nome della merce-sicurezza, che non viceversa. In che rapporto sono questi due elementi?
Sono molto d’accordo sull’inquadrare la libertà e la sicurezza come merci sul mercato del cittadino-consumatore. Da parecchio tempo ipotizzo che il declino della cittadinanza, di cui parlavamo anche prima, sia passato attraverso una fase che si colloca tra gli anni Cinquanta e tutti gli anni Settanta compresi, con la trasformazione del cittadino in consumatore. Il cittadino è cioè, poco per volta, diventato dapprima consumatore, dunque per definizione interessato soltanto a se stesso, e  poi, con il nuovo millennio e la nascita del capitalismo della sorveglianza, addirittura merce. C’è stato quindi un passaggio da cittadino a consumatore a merce. Adesso credo ci sia stato un ulteriore passaggio, che è quello cittadino - consumatore - merce - paziente. Quindi, sostanzialmente, cos’è che interessa al cittadino divenuto paziente? Sopravvivere, campare. Quando ti mettono in un ospedale, e ti dicono “stai male”, fai qualunque cosa per stare al mondo, rinunciando a tutto. Però il punto è che si è creata l’alternativa tra “vivere” e “vivere liberi”. Se pensiamo anche alla retorica giacobina, o della rivoluzione americana - quindi di nuovo, non stiamo parlando di categorie del pensiero socialista, ma di categorie profondamente radicate in quello che ha poi generato il capitalismo - lo slogan era “live free or die”, vivi libero o muori. Se leggiamo le lettere scritte durante la resistenza dai partigiani condannati a morte, quasi tutti consideravano la “vita libera” come sinonimo di “vita”. Morire è meglio piuttosto che essere schiavi, e quindi erano disposti a sacrificare persino la loro giovane vita per poter essere politicamente liberi. Oggi invece questa visione è scomparsa, nel senso che hanno tutti una paura fottuta di morire, la gente è terrorizzata, e addirittura non sopporta nemmeno che qualcun altro possa contestare, che qualcuno possa anche dire “guarda che a me non va bene essere trasformato in un pollo da batteria”. Tutto questo è un passaggio secondo me di declino della soggettività, che ha come presupposto proprio il passaggio dall’essere consumatore all’essere merce, non più soggetto ma oggetto del gioco capitalistico. 
Sul piano del diritto, il processo di individualizzazione della responsabilità soggettiva potrebbe incarnarsi in una tensione verso l’autogoverno dei singoli, piuttosto che sugli espliciti dispositivi di governo - normativi o repressivi? E come cambierà il diritto, alla fine di questa emergenza?
È la metafora della rana nella pentola: se metti una rana a nuotare in una pentola e accendi il fuoco sotto alla pentola, la rana piano piano si addormenta e muore bollita. Se tu prendi una pentola di acqua bollente e ci metti una rana viva, la rana reagisce e scappa. Uso questa metafora per dire che questo processo di individualizzazione è un processo che parte molto indietro, essendo l’esito della retorica fortemente individualizzante ed egotica della sovranità del consumatore (“io ho il potere di scegliere”) che ci rende tutti giovani, belli e soli. Certamente, in questa nuova fase l’individualizzazione ha fatto però un ulteriore passo avanti, che è quello della colpevolizzazione dell’individuo che cerca la socialità. La socialità non è più neanche qualcosa di utile o perlomeno accettabile, ma diventa essa stessa una colpa. E la colpa è un grandissimo dispositivo di governamentalità, nel senso foucaultiano del termine: basti pensare al debito, che è un meccanismo efficacissimo di governance perché basato sulla colpa. In tedesco, d’altra parte, debito si dice “shuld”, che vuol dire responsabilità e colpa. 
La questione da capire adesso è, cui prodest?, cioè chi ci guadagna. Da un lato questa situazione giova a chi si trova al potere in questo momento: basta prendere un soggetto come Conte, debolissimo, lì quasi per caso, che si è trovato davanti l’occasione della vita. In questo momento il popolo, terrorizzato, si avvicina al manovratore, e difficilmente chi è al potere adesso verrà messo in discussione. D’altra parte, sul frontespizio del Leviatano di Hobbes, sotto il sovrano c’è la figura del medico della peste: perché comunque il Leviatano ti difende, e da cosa bisogna farsi difendere di più, se non dall’epidemia? 
Dall’altro lato, tuttavia, il potere ha ora le sue radici in un meccanismo assolutamente massacrato. L’individualizzazione era funzionale alla mediazione, da parte del mercato, di rapporti che altrimenti non sarebbero potuti essere mercificati. Adesso, invece, gli altri grandi beneficiari di questa crisi sono tutti quei soggetti che si sono posizionati come avanguardia sulla rete: stiamo infatti assistendo a un grande spostamento del capitalismo online. Le relazioni capitalistiche che si sono svolte tradizionalmente offline, quindi nel mondo della corporeità, vengono brutalmente spostate online, anche e sopratutto per quanto riguarda il mondo della formazione, con le piattaforme che adesso hanno tutti i dati di tutti, le scuole che comprano e investono nella nuova tecnologia e nei computer per gli studenti, le sovvenzioni per la grande società che è nata Omnitel e TIM che fanno il 5G. 
Quindi in questa fase chi ne sta guadagnando è, sì, il potere costituito, che comunque mantiene la sua simbologia, ma anche e soprattutto il potere reale, ovvero quello economico, che poi dà vita al potere costituito e che si sta ristrutturando, con dinamiche fortemente oligopolistiche e di prosecuzione della guerra fredda con altri mezzi. La potenziale valorizzazione della progressiva tecnologizzazione di sempre crescenti spazi di vita è gigantesca, e probabilmente vale molto di più del collasso economico. Dal punto di vista dello sviluppo capitalistico è forse meglio avere un miliardo e mezzo di persone ricche e sempre collegate, e lasciar crepare due miliardi di poveri.
L’impatto sul diritto, infine, è chiaro: se guardiamo al diritto nella sua storicità, come fenomeno sociale, vediamo che il diritto ha sempre sperimentato in frontiera, durante processi coloniali, le forme che vengono poi utilizzate nella madrepatria. Tutte le istituzioni giuridiche che utilizziamo oggi, sono state sperimentate nelle Americhe dal 1600 in poi, durante il saccheggio coloniale, perché la proprietà privata completamente libera, il contratto completamente libero, la responsabilità fondata unicamente sulla colpa non sarebbero potuti essere sperimentati nella madrepatria, perché le incrostazioni culturali - profondamente radicate nel feudalesimo, nello status, nel paternalismo - di fatto lo impedivano. Nelle colonie, invece, dove c’è la tabula rasa per dirla con Locke, questi sistemi potevano agilmente essere messi in piedi. La Costituzione Americana non a caso è la costituzione più antica del mondo, perché è la prima costituzione del Nuovo Mondo, in cui c’è la proprietà privata sacralizzata e tutta la struttura che poi ha fatto da innesto della struttura giuridica del capitalismo. Oggi questa cosa succede con Internet: la frontiera della produzione di capitale, da una decina d’anni a questa parte, si è spostata in rete. E in rete il diritto non esiste. La rete è il luogo delle relazioni di fatto. Se io non ho la password, non entro. Se io non mi adeguo a quel determinato programma, semplicemente vengo escluso. Non c’è nessuna mediazione giuridica sulla frontiera di internet. Accettiamo o para-accettiamo una serie di cose, dopodiché siamo alla mercé del più forte. Internet è cioè il mondo dei rapporti tecnologici di fatto. Il diritto prova ad incidere su Internet con quelle cose un po’ ridicole, come la privacy, che poi diventa solo mettere dei click su delle cose, e che adesso dà da mangiare a un sacco di avvocati ma che non serve assolutamente a nulla. Figurarsi se è possibile farsi spiegare “succintamente” come ha fatto l’algoritmo ad escluderti da una piattaforma o dall’altra, o a cancellare il tuo post. Siamo nel mondo dell’intelligenza artificiale, non lo saprebbe spiegare nemmeno quello che ha inventato l’algoritmo. Questo mondo di totale fattività, in cui il diritto è di fatto deriso, si trasferisce nel mondo della vita reale, cosicché Conte usa il D.P.C.M. che non è manco fonte del diritto primaria, l’Agcom - che non si sa bene chi sia - si permette di dire che esiste una sola verità scientifica e il sindaco di Moncalieri dice che non posso portare il cane oltre 400 m da casa mia. Queste relazioni puramente verticali, puramente di fatto, sono state completamente ripristinate ancora una volta, in modo ancor più radicale.

da  commonware- "Cittadino-consumatore e cittadino-paziente". Intervista sull’emergenza a Ugo Mattei - di Julia Page Leggi tutto...