-Julia Page-
dall’Essere-consumatore all’Essere-merce
«bisogna cercare di capire come si possano immaginare nuovamente degli spazi della politica, e anche in tempi molto rapidi»
Il virus come acceleratore del
processo di disfacimento delle istituzioni sovranazionali – dell’Europa in
primo luogo – e dei processi di individualizzazione delle soggettività ?
Vi sarà - più in generale – un ripensamento della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta ?
Alcuni passi delle dichiarazioni rilasciate a Commonware dal giurista noto anche per aver promosso la campagna della legge popolare sui beni comuni
Vi sarà - più in generale – un ripensamento della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta ?
Alcuni passi delle dichiarazioni rilasciate a Commonware dal giurista noto anche per aver promosso la campagna della legge popolare sui beni comuni
Dopo questa emergenza assisteremo a una
battuta di arresto della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta, e ci
sarà un ritorno, con le dovute differenze rispetto al passato, degli Stati
Sovrani?
L’Europa, a mio modo di vedere, non ha
mai superato il suo status di povera semiperiferia. Non credo che,
dato che in Europa siamo 500 milioni di persone più o meno ricche, l’Europa
costituisca in alcun modo una potenza globale. L’Europa è stata sempre, a
partire dal ’48 in avanti, una sorta di semiperiferia contesa, e dopo la caduta
del muro di Berlino al claim dell’Unione Sovietica si è
sostituito, in questa fase, quello della Cina. Ma l’Europa, in questo contesto,
non conta assolutamente nulla. Credo che le decisioni Europee vengano prese
sostanzialmente dalla NATO, e che l’Europa sia stata ancor più marginalizzata
in seguito alla Brexit. Essendosi rinsaldato un forte asse atlantico fra Stati
Uniti e Regno Unito, l’Europa è ormai un gruppetto di paesi con una postura
fortemente egoistica. In più tutta una serie di stati del Nord, come avevamo
visto benissimo rispetto alla crisi greca, hanno un atteggiamento fortemente
razzista nei confronti dei paesi meridionali, e in questo contesto l’Italia, in
particolare, è un target di conquista molto importante, perché è stata
tradizionalmente competitiva rispetto agli interessi della Germania, essendo
anche la nostra un’economia di esportazione. Insomma, L’Europa è un non
player in questa cosa: a giocare sono da un lato la NATO, e dall’altra
una specie di neonata asse fra Russia e Cina; l’Europa è un po’ terreno di conquista
lì in mezzo. In più, immaginare una risposta europea a questa crisi è
un’ipotesi assolutamente reazionaria: pensare di poter ricostruire le
istituzioni giuridiche liberal-occidentali, che sono poi state la principale
ragione del disastro capitalistico, è semplicemente un reazionario. Adesso
bisogna cercare di capire come si possano immaginare nuovamente degli spazi
della politica, e anche in tempi molto rapidi.
Questa crisi, insieme alle altre cose,
ha messo in luce l’attualità del binomio Libertà/Sicurezza. In questa fase,
sembra che siamo molto più disposti a rinunciare alla merce-libertà in nome
della merce-sicurezza, che non viceversa. In che rapporto sono questi due
elementi?
Sono molto d’accordo sull’inquadrare la
libertà e la sicurezza come merci sul mercato del cittadino-consumatore. Da
parecchio tempo ipotizzo che il declino della cittadinanza, di cui parlavamo
anche prima, sia passato attraverso una fase che si colloca tra gli anni
Cinquanta e tutti gli anni Settanta compresi, con la trasformazione del
cittadino in consumatore. Il cittadino è cioè, poco per volta, diventato
dapprima consumatore, dunque per definizione interessato soltanto a se stesso,
e poi, con il nuovo millennio e la nascita del capitalismo della
sorveglianza, addirittura merce. C’è stato quindi un passaggio da cittadino a
consumatore a merce. Adesso credo ci sia stato un ulteriore passaggio, che è
quello cittadino - consumatore - merce - paziente. Quindi, sostanzialmente,
cos’è che interessa al cittadino divenuto paziente? Sopravvivere, campare.
Quando ti mettono in un ospedale, e ti dicono “stai male”, fai qualunque cosa
per stare al mondo, rinunciando a tutto. Però il punto è che si è creata
l’alternativa tra “vivere” e “vivere liberi”. Se pensiamo anche alla retorica
giacobina, o della rivoluzione americana - quindi di nuovo, non stiamo parlando
di categorie del pensiero socialista, ma di categorie profondamente radicate in
quello che ha poi generato il capitalismo - lo slogan era “live free or die”,
vivi libero o muori. Se leggiamo le lettere scritte durante la resistenza dai
partigiani condannati a morte, quasi tutti consideravano la “vita libera” come
sinonimo di “vita”. Morire è meglio piuttosto che essere schiavi, e quindi
erano disposti a sacrificare persino la loro giovane vita per poter essere
politicamente liberi. Oggi invece questa visione è scomparsa, nel senso che
hanno tutti una paura fottuta di morire, la gente è terrorizzata, e addirittura
non sopporta nemmeno che qualcun altro possa contestare, che qualcuno possa
anche dire “guarda che a me non va bene essere trasformato in un pollo da
batteria”. Tutto questo è un passaggio secondo me di declino della
soggettività, che ha come presupposto proprio il passaggio dall’essere
consumatore all’essere merce, non più soggetto ma oggetto del gioco
capitalistico.
Sul piano del diritto, il processo di
individualizzazione della responsabilità soggettiva potrebbe incarnarsi in una
tensione verso l’autogoverno dei singoli, piuttosto che sugli espliciti
dispositivi di governo - normativi o repressivi? E come cambierà il diritto,
alla fine di questa emergenza?
È la metafora della rana nella pentola:
se metti una rana a nuotare in una pentola e accendi il fuoco sotto alla
pentola, la rana piano piano si addormenta e muore bollita. Se tu prendi una
pentola di acqua bollente e ci metti una rana viva, la rana reagisce e scappa.
Uso questa metafora per dire che questo processo di individualizzazione è un
processo che parte molto indietro, essendo l’esito della retorica fortemente
individualizzante ed egotica della sovranità del consumatore (“io ho il potere
di scegliere”) che ci rende tutti giovani, belli e soli. Certamente, in questa
nuova fase l’individualizzazione ha fatto però un ulteriore passo avanti, che è
quello della colpevolizzazione dell’individuo che cerca la socialità. La
socialità non è più neanche qualcosa di utile o perlomeno accettabile, ma
diventa essa stessa una colpa. E la colpa è un grandissimo dispositivo di
governamentalità, nel senso foucaultiano del termine: basti pensare al debito,
che è un meccanismo efficacissimo di governance perché basato sulla colpa. In
tedesco, d’altra parte, debito si dice “shuld”, che vuol dire responsabilità
e colpa.
La questione da capire adesso è, cui
prodest?, cioè chi ci guadagna. Da un lato questa situazione giova a chi si
trova al potere in questo momento: basta prendere un soggetto come Conte,
debolissimo, lì quasi per caso, che si è trovato davanti l’occasione della
vita. In questo momento il popolo, terrorizzato, si avvicina al manovratore, e
difficilmente chi è al potere adesso verrà messo in discussione. D’altra parte,
sul frontespizio del Leviatano di Hobbes, sotto il sovrano c’è la figura del
medico della peste: perché comunque il Leviatano ti difende, e da cosa bisogna
farsi difendere di più, se non dall’epidemia?
Dall’altro lato, tuttavia, il potere ha
ora le sue radici in un meccanismo assolutamente massacrato.
L’individualizzazione era funzionale alla mediazione, da parte del mercato, di
rapporti che altrimenti non sarebbero potuti essere mercificati. Adesso,
invece, gli altri grandi beneficiari di questa crisi sono tutti quei soggetti
che si sono posizionati come avanguardia sulla rete: stiamo infatti assistendo
a un grande spostamento del capitalismo online. Le relazioni
capitalistiche che si sono svolte tradizionalmente offline, quindi
nel mondo della corporeità, vengono brutalmente spostate online, anche e
sopratutto per quanto riguarda il mondo della formazione, con le piattaforme
che adesso hanno tutti i dati di tutti, le scuole che comprano e investono
nella nuova tecnologia e nei computer per gli studenti, le sovvenzioni per la
grande società che è nata Omnitel e TIM che fanno il 5G.
Quindi in questa fase chi ne sta
guadagnando è, sì, il potere costituito, che comunque mantiene la sua
simbologia, ma anche e soprattutto il potere reale, ovvero quello economico,
che poi dà vita al potere costituito e che si sta ristrutturando, con dinamiche
fortemente oligopolistiche e di prosecuzione della guerra fredda con altri
mezzi. La potenziale valorizzazione della progressiva tecnologizzazione di
sempre crescenti spazi di vita è gigantesca, e probabilmente vale molto di più
del collasso economico. Dal punto di vista dello sviluppo capitalistico è forse
meglio avere un miliardo e mezzo di persone ricche e sempre collegate, e
lasciar crepare due miliardi di poveri.
L’impatto sul diritto, infine, è chiaro:
se guardiamo al diritto nella sua storicità, come fenomeno sociale, vediamo che
il diritto ha sempre sperimentato in frontiera, durante processi coloniali, le
forme che vengono poi utilizzate nella madrepatria. Tutte le istituzioni
giuridiche che utilizziamo oggi, sono state sperimentate nelle Americhe dal
1600 in poi, durante il saccheggio coloniale, perché la proprietà privata
completamente libera, il contratto completamente libero, la responsabilità
fondata unicamente sulla colpa non sarebbero potuti essere sperimentati nella
madrepatria, perché le incrostazioni culturali - profondamente radicate nel
feudalesimo, nello status, nel paternalismo - di fatto lo
impedivano. Nelle colonie, invece, dove c’è la tabula rasa per
dirla con Locke, questi sistemi potevano agilmente essere messi in piedi. La
Costituzione Americana non a caso è la costituzione più antica del mondo,
perché è la prima costituzione del Nuovo Mondo, in cui c’è la proprietà privata
sacralizzata e tutta la struttura che poi ha fatto da innesto della struttura
giuridica del capitalismo. Oggi questa cosa succede con Internet: la frontiera
della produzione di capitale, da una decina d’anni a questa parte, si è
spostata in rete. E in rete il diritto non esiste. La rete è il luogo delle
relazioni di fatto. Se io non ho la password, non entro. Se io non mi adeguo a
quel determinato programma, semplicemente vengo escluso. Non c’è nessuna
mediazione giuridica sulla frontiera di internet. Accettiamo o para-accettiamo
una serie di cose, dopodiché siamo alla mercé del più forte.
Internet è cioè il mondo dei rapporti tecnologici di fatto. Il diritto prova ad
incidere su Internet con quelle cose un po’ ridicole, come la privacy,
che poi diventa solo mettere dei click su delle cose, e che adesso dà da
mangiare a un sacco di avvocati ma che non serve assolutamente a nulla.
Figurarsi se è possibile farsi spiegare “succintamente” come ha fatto
l’algoritmo ad escluderti da una piattaforma o dall’altra, o a cancellare il
tuo post. Siamo nel mondo dell’intelligenza artificiale, non lo saprebbe spiegare
nemmeno quello che ha inventato l’algoritmo. Questo mondo di totale fattività,
in cui il diritto è di fatto deriso, si trasferisce nel mondo della vita reale,
cosicché Conte usa il D.P.C.M. che non è manco fonte del diritto primaria,
l’Agcom - che non si sa bene chi sia - si permette di dire che esiste una sola
verità scientifica e il sindaco di Moncalieri dice che non posso portare il
cane oltre 400 m da casa mia. Queste relazioni puramente verticali, puramente
di fatto, sono state completamente ripristinate ancora una volta, in modo ancor
più radicale.