giovedì 3 ottobre 2019

«È POSSIBILE RECUPERARE IN EUROPA?»


 -Claudio Tognonato-


È possibile in questo contesto applicare con successo l’esperienza delle  fabbriche recuperate o dei Workers buyout? 


L’aggravarsi della crisi europea dopo il 2008 e il continuo arretramento dei  diritti rende necessario prospettare e  immaginare altre esperienze possibili 
Il sociologo argentino ripercorre in modo critico la nascita e il cammino di una delle esperienze di costruzione sociale di alternative più importanti del nostro tempo



Le statistiche indicano che il processo di automatizzazione della produzione tende inesorabilmente a produrre di più occupando di meno. A decrescere però non sono solo gli operai, diminuiscono anche le aziende che, costrette dalla concorrenza internazionale di un mercato senza regole, finiscono per chiudere o fallire. Cosa fare di fronte a questo ineluttabile crollo delle opportunità e dei diritti? È possibile in questo contesto applicare con successo l’esperienza delle fabbriche recuperate o dei Workers buyout? In Europa ci sono alcune imprese che hanno deciso di affrontare la sfida dell’autogestione. Varie aziende chiuse dopo lo scatenarsi della crisi nel 2008 sono state occupate in Italia, Francia, Grecia, Turchia, ecc., sulle orme di quanto era già accaduto in Argentina, erano più di quarant’anni che non si registravano casi analoghi. A modo di esempio segnaliamo alcuni casi. Nel settembre 2010 la multinazionale Unilever, proprietaria del marchio Thé Elephant e Lipton, ha deciso di chiudere lo stabilimento vicino a Marsiglia e delocalizzare la produzione in Polonia. I 182 lavoratori hanno però reagito occupando la fabbrica e alla fine, lo scorso 26 maggio 2014, hanno vinto la causa contro la Unilever e ripreso la produzione di thè e infusi in forma autogestita. I 60 lavoratori rimasti nella nuova Fralib hanno ottenuto anche un indennizzo dalla Unilever per i danni causati dalla chiusura dello stabilimento. Proprio presso la Fralib si era tenuto a febbraio 2014 un primo incontro internazionale promosso dalle fabbriche, movimenti e associazioni, insieme al Programa de la Facultad Abierta con la presenza di ricercatori europei e latinoamericani per dare il via a una rete europea. Questa riunione regionale è parte di una serie di Encuentros, il primo tenutosi a Buenos Aires nel 2007 e l’ultimo, il quinto, a luglio del 2015 in Venezuela con la partecipazione di lavoratori di imprese recuperate di 12 paesi. Anche in Grecia si sono registrate varie esperienze di questo tipo, come la Viome di Saloniccouna fabbrica di materiali edili dismessa, come tante altre e ora recuperata dagli operai. Sulla base delle esperienze argentine il recupero della fabbrica è stato possibile grazie al lavoro di sostegno e solidarietà del territorio e dei movimenti sociali. Nelle assemblee i lavoratori hanno deciso di ripensare la produzione in base alle necessità degli operai, non solo economiche, ma anche per quanto riguarda il ritmo di lavoro, le condizioni di salute, la sicurezza e l’ambiente. Ora la nuova cooperativa Viome opera nel campo dei detersivi biologici. In Italia in mancanza di un coordinamento non si può stabilire con certezza quante sono le esperienze in corso. Due tra queste hanno però suscitato grande interesse perché viste come una alternativa all’uscita dalla crisi. Si tratta delle Officine Zero di Roma e della Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio nei pressi di Milano. Le Officine Zero sono lavoratori degli ex Wagon Lits che dal 2012 occupano lo stabile adiacente alla stazione Tiburtina. La struttura è stata riconvertita in un cantiere di recupero, manutenzione e riciclo. Qui come in altre esperienze si creano canali di comunicazione e si tessono reti con il territorio trasformando il luogo in un posto dove condividere il proprio mestiere e il proprio spazio di lavoro (co-work). La loro situazione non è facile ma, grazie anche alla solidarietà ottenuta, 33 persone resistono e portano avanti questa esperienza. Alla Ri-Maflow invece si producevano componenti per impianti di condizionamento per grandi marchi automobilistici. La fabbrica, che nel 2008 impiegava 320 persone arrivò, dopo una gestione avventata alla chiusura. Alcuni operai decisero di tentare il recupero. Nel 2013 si costituì la cooperativa e oggi, anche se sono rimasti solo 17 persone, si dedicano alla riconversione ecologica e in particolare al riciclo e recupero di rifiuti elettronici. Il quadro normativo dell’Unione Europea prevede la possibilità per i lavoratori licenziati per chiusura aziendale di assumere la conduzione diretta dell’azienda. In Italia nel 1986 è stata promulgata la Legge Marcora che promuove lo sviluppo economico partecipato e generato dal basso. La legge, nata per iniziativa delle organizzazioni cooperative Agci, Confcooperative e Legacoop, ha sancito la nascita di Cooperazione Finanza Imprese (CFI). Il suo compito è quello di gestire il Fondo rotativo destinato alla salvaguardia dell’occupazione attraverso la formazione di imprese cooperative tra dipendenti di aziende in crisi. La CFI ha in portafoglio 90 imprese cooperative che operano su tutto il territorio nazionale in diversi settori: costruzioni, impiantistica, industria, servizi, sociale. Sviluppano un valore della produzione consolidato di oltre 400 milioni di euro e impiegano 2.500 addetti, di queste cooperative 37 sono registrate come Workers buyout. Nel periodo 2011-2014 la CFI ha approvato 45 interventi a sostegno di progetti di Workers buyout, oltre a 12 start up. I primi passi della nuova impresa spesso trovano il sostegno della Legacoop. L’ultimo, per fare un esempio, a gennaio 2016 la Coopfond è intervenuta a sostegno della Ora Acciaio Spa di Pomezia che a dicembre 2014 si era dichiarata in fallimento. L’azienda, altamente automatizzata, che produce mobili in legno per uffici, è stata rilevata dai dipendenti che hanno stilato un progetto di Workers buyout con il supporto della Legacoop Lazio. Un riscossa che arriva dal basso e prevede, anche con l’aiuto della CFI, raddoppiare il fatturato e aumentare l’occupazione.
Conclusione Le esperienze in Europa non sono molte e nemmeno hanno un peso rilevante nel contesto dei singoli paesi, sono però importanti perché rappresentano la testimonianza di una inversione di marcia che vuole contrastare la tendenza all’espulsione e al degrado del lavoro in linea con il Manifesto for the Foundational Economy. Questo Manifesto considera che la politica industriale deve essere riorientata. Non deve perseguire ad ogni costo la legge del minor costo e massimo profitto, ma orientarsi verso il territorio e i bisogni della popolazione. Anche se la maggior parte degli economisti parla di economia al singolare, le esperienze che nascono dal basso indicano il contrario: ci sono tante economie perché l’economia è una scienza umana vincolata alla cultura e alla società, da sola non esiste. In ogni modo, il prolungarsi della crisi politica ed economica produce gravi conseguenze sul lavoro. I diritti devono fare i conti con un mercato che si presenta come arbitro imparziale in grado di imporsi su ogni realtà. In questo contesto dove continuano ad essere usati termini come “mercato del lavoro” abolito già nel 1948 dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), è facile che esperienze isolate di recupero, di cooperative autogestite finiscano nel nulla, o peggio ancora, per riprodurre forme di sfruttamento che contribuiscono ad abbassare il costo del lavoro. Occorre una rete, una federazione, la costruzione di un insieme di esperienze solidali tra di loro che diano corpo e riescano ad articolare una somma di debolezze. Occorre la presenza di uno Stato, consapevole che senza lavoro crolla non solo la società ma tutto il sistema che sostiene la cosa pubblica. In Italia la lunga esperienza del movimento cooperativo e le conquiste istituzionali, come la legge Marcora, sono uno strumento essenziale per chi non si rassegna di fronte alla perdita del posto di lavoro ed è disposto a costruirsi una nuova opportunità. Si può concludere dicendo che la chiave del successo nelle imprese recuperate in Argentina è stata l’interazione tra diversi attori su diversi piani. Ogni processo di cambiamento, anche se eccezionale, se resta isolato finisce per scomparire. Da sola, ogni singola esperienza, si sarebbe esaurita in poco tempo: il contesto, la società, il territorio, la solidarietà di altre fabbriche in analoghe condizioni ed infine la nascita di un movimento e una federazione hanno consentito dare i primi passi. Si sono poi sommati altri attori come il Programa de la Facultad Abierta e l’appoggio dello Stato. Oggi il Ministero del lavoro pubblica perfino una Guida delle imprese recuperate dove vengono elencate, divise per settore, tutte le attività, con la loro storia, la loro potenzialità, quantità di soci, indirizzo e tutto quanto possa servire per promuovere la loro attività[*]. In Argentina e in Europa, le motivazioni che spingono a fondare molte cooperative sono, in parte, di natura puramente economica, ma anche attraverso di esse, si perseguono scopi di riforma sociale. Molte delle esperienze in corso sono mosse da una spinta ugualitaria, da un’idea di cambiamento con un orizzonte più ampio che non coincide necessariamente con l’accettare il capitalismo come ineluttabile destino. I Workers buyout forse non hanno queste pretese, ma di fatto la loro azione genera anche nuove forme di lavoro e inclusione.

[*] Guia empresas recuperadas y autogestionadas por sus trabajadores, Ministerio de Trabajo, Empleo y Seguridad Social, Presidencia de la Nación de la República Argentina

per la lettura integrale dell’intervento “Aperto per fallimento” di Claudio Tognonato clicca su COMUNE-INFO.net