-toni casano-
Un processo imperante
quello delle mostre-evento che mette in secondo piano la relazione
soggettiva con l’opera d’arte e la sua rappresentazione. Sembra inutile
richiamare i modelli di eminenti personalità siciliane che hanno fatto la storia dei beni
culturali, e che hanno cercato d’innestare un rapporto virtuoso tra
l’istituzione pubblica e il cittadino, proponendo il museo quale luogo
formativo critico della coscienza sociale e civile
Le
polemiche sui beni culturali siciliani occupano uno spazio “fisso” sulle pagine
dei giornali della carta stampata e delle testate online. Dopo quelle insorte
sul caso-Taormina, a seguito delle dichiarazione del sindaco Mario Bolognari
sulla pressione antropica subita sia dal Teatro sia della cittadina, domenica
scorsa è montata la polemica contro le scelte evenemenziali dell’Assessorato
regionale competente. Stavolta il casus belli è la mostra dedicata ad Antonello
da Messina che, previo rastrellamento delle opere antonelliane custodite nei
vari siti museali siciliani, sarà inaugurata il prossimo 13 dicembre alla
Galleria di Palazzo Abatellis, nell’ambito delle iniziative “Palermo capitale
della cultura”. Ma questa sarà solo la prima tappa, dopodiché volerà alla volta
della capitale meneghina per un’esposizione internazionale. I primi ad alzare
gli scudi sono stati i direttori dei musei che hanno in dotazione le opere in
questione. L’Assessore Tusa non nasconde di aver dovuto fronteggiare lo stato
di fibrillazione in cui sono entrati giustamente i responsabili dei presidi
interessati. Cercando di rassicurarli ha dichiarato che: “non vi è alcun
pericolo per le opere che saranno trasportate in tutta sicurezza”. Partita
chiusa? Neanche per sogno.
Per
fortuna v’è ancora un’estesa sensibilità sociale pronta a fronteggiare
l’autoreferenzialità politica e burocratica. Nel merito della tenzone è
intervenuto -fra gli altri- Paolo Giansiracusa (docente ordinario di storia
dell’arte all’Università di Catania) che nel caso particolare dell’
Annunciazione (esposta alla Galleria Regionale di Palazzo Bellomo, in quel di
Siracusa) ha precisato: “la Regione Siciliana ha emanato qualche anno fa un decreto
di inamovibilità che oltre al capolavoro di Antonello comprende anche altre
opere di pregio custodite nelle collezioni pubbliche dell’Isola. Gli attuali
amministratori, superando le indicazioni del decreto, dichiarando l’opera in
perfetta salute, ne chiedono adesso il trasferimento a Palermo”. Ora se sic
stantibus rebus l’Assessore Tusa e gli Uffici dipartimentali dovrebbero
spiegare come e quando siano venute meno le motivazioni per le quali è stata
posta in essere, in attuazione delle Delibere della Giunta Regionale n. 94 e n.
155 del 2013, la decretazione istitutiva del “Divieto di uscita dal territorio
della Regione Siciliana dei Beni che costituiscono il fondo principale di
Musei, Gallerie, Biblioteche e Collezioni”, giusta DA n. 1771 del 27 Giugno 2013.
Sappiamo
bene che la ratio del divieto non si attesta soltanto in ragione
dell’inamovibilità delle opere caratterizzanti il rapporto indissolubile tra
l’istituzione museale e il territorio. Quelle opere contenute nell’elenco
allegato al decreto, di cui è parte integrante, sono sottratte alla
“movimentazione” poiché è buona regola di prevenzione sottesa nei protocolli
conservativi che si rispettano, per ridurre l’invasività degli eventuali
interventi di restauro. Allora, in cosa si sostanzia la sicumera di chi
certifica l’assoluta mancanza di pericolo, soprattutto nel caso
dell’Annunciazione? Forse che in questi anni la Regione Siciliana abbia
destinato fiumi di risorse in ricerche e studi per la prevenzione,
conservazione e restauro delle opere d'arte senza che qualcuno nell’isola se ne
sia accorto? Siamo sicuri di non essere stati disattenti e, pertanto, possiamo
affermare -senza tema di smentita- che tutto ciò non è accaduto affatto. Anzi
abbiamo assistito alla totale indifferenza e non curanza del ceto politico –da
destra a sinistra- che si è guardato bene, in merito al degrado del patrimonio
culturale, dal destinare il becco di un quattrino ad esso; e quando c’è da
tagliare sul bilancio la prima rubrica a soffrirne è proprio quella dei beni
culturali, con la piena compiacenza dei vertici amministrativi, i quali invece
di puntare i piedi per l’assenza di risorse, senza le quali non possono
perseguire gli obiettivi loro assegnati, fanno spallucce pur di mantenere la
poltrona, mostrano quanto siano sideralmente distanti dalla parola d’ordine di
un tempo, in cui la dirigenza rivendicava la “separazione della responsabilità
politica da quella amministrativa”, con buona pace del DL 29 “Cassese”.
“Dobbiamo
restaurare e preservare le opere del passato. Dovrebbero esserci fondi a
pioggia dalle regioni e dal governo per la conservazione delle opere d'arte.
Quanto detto sembrerebbe ovvio, ma invece non è così”. Questa osservazione di
Paolo Giansiracusa è paradossalmente di un buon senso disarmante, forse troppo semplice
per chi siede nella cabina di regia guardando allo spirito modernista e alla
proiezione dei grandi numeri, pensando alla raccolta dei consensi. Insomma:
“Piuttosto che restaurare ci apprestiamo a rovinare, piuttosto che conservare
noi traslochiamo, incuranti delle condizioni dell'opera. Questo è il destino
–conclude Giansiracusa- che taluni vorrebbero riservare all'Annunciazione di
Antonello da Messina conservata con tutte le cure del caso nel Palazzo Bellomo
a Siracusa. Nemmeno l’offerta della contropartita, proposta da Tusa, sembra
convincere più di tanto, ovvero lo scambio (come si proponeva una volta per i
“fustini delle casalinghe” o le “figurine dei ragazzi”) di altra opera della
stessa levatura, messa a disposizione da Palazzo Abatellis, al fine di riempire
il vuoto delle pareti che lasceranno le opere antonelliane nei musei siciliani.
Perfino
quel che si dice essere il mentore dell’assessore in carica, il politico
siracusano Fabio Granata, prova a scongiurare quel che a tutti sembra una
solenne scelleratezza: “Bisogna evitare il prestito sia per la delicatezza
dell’opera sia per il vuoto che lascerebbe nella offerta della nostra città”.
Quella della turistificazione delle opere d’arte è un processo imperante,
risponde più a logiche di mercato che alla diffusione della cultura attraverso
la valenza intrinseca del bene storico-artistico. Le mostre-evento
spettacolarizzano le macchine dell’apparire, mettendo in secondo piano la
relazione con l’opera e la sua rappresentazione. È inutile richiamare i modelli
di eminenti personalità, anche siciliane, che hanno fatto la storia dei beni
culturali, e che hanno cercato d’innestare un rapporto virtuoso tra
l’istituzione pubblica e il cittadino, proponendo il museo quale luogo
formativo critico della coscienza sociale e civile. Oggi, riecheggiando alcuni
critici non asserviti, possiamo dire: "Checché ne dica l’assessore demagogo di turno, questo
processo non ha nulla a che fare con la democratizzazione della cultura".
l’articolo
è stato pubblicato (con qualche variazione) anche su Palermo
today.it