-anna curcio-
/ riportare l’antirazzismo al centro delle lotte e non farne mera appendice. Un antirazzismo che sappia porre l’accento sulle effettive condizioni di vita dei e delle migranti e sulle ragioni strutturali e strutturanti che queste interpellano
È
tornato nella mani di papa Francesco il pallino della “questione migranti”.
Ieri, in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, ha
rilanciato l’appello all’accoglienza e alla solidarietà, raccogliendo ancora
una volta una parte almeno delle aspettative, ma anche le illusioni, andate
deluse con il nulla di fatto sullo ius soli. Una misura sacrosanta
ma, mi si lasci dire, ipocrita al contempo, illusoriamente antirazzista
perché in sé selettiva e assimilante, che avrebbe in tutti i casi esteso i
diritti di cittadinanza agli oltre 800mila giovani “stranieri” cresciuti nel
nostro paese. Ma il 23 dicembre scorso, stupendo solo i più ingenui o quelli in
malafede, la farsa dello ius soli è arrivata alla sua logica
conclusione: affossata in Senato da un manipolo di parlamentari Dem già in
vacanza per il Natale; una misura concreta dell’effettivo interesse che il
provvedimento ha rivestito per la sinistra di governo.
Hanno
subito gridato allo scandalo l’opposizione interna al PD e la sinistra dei
buoni sentimenti, mentre la chiesa cattolica tuonava contro “gli ignavi in
fuga” e papa Francesco raccoglieva trasversalmente consensi quando dal pulpito
di San Pietro, la sera di Natale, lanciava l’appello all’accoglienza dei
migranti. Alla fiera della falsa coscienza andata in scena tra la fine del
vecchio e l’inizio del nuovo anno, il migrante ha ancora una volta perso la sua
specifica soggettività materiale per incarnare il discorso emergenziale e farsi
vittima indifesa alla mercede della pelosa carità cattolica e della solidarietà
strumentale della sinistra.
Una
solidarietà che divide più che congiungere, perché non guarda alle materiali
condizioni di esistenza e propone un’immagine astratta del migrante, sradicato
dal suo posizionamento all’interno delle gerarchi di classe e razza. Una
solidarietà che stratifica e marca la differenza tra chi dà e chi riceve
solidarietà: Stato e chiesa in anelito di progressismo umanitario da una parte,
vittime bisognose di accoglienza dall’altra. È l’erma bifronte del dispositivo
razziale di governo delle migrazioni che il paese appoggia in Europa
raccogliendo consensi, fatto di emergenzialità e stretta securitaria
all’interno e di hotspot, missioni militari e Migration Compact all’esterno,
con tanto di violenze e campi di tortura come in Libia. Non sorprenderà che lo
scorso 23 dicembre, con il cadavere dello ius soli ancora
caldo nell’emiciclo di Palazzo Madama, il Senato abbia discusso di un
intervento “umanitario” in Niger “a contrasto del traffico di esseri umani”,
proprio come in Libia.
Nello
stesso tempo il migrante, disincarnato dalle materiali condizioni della sua
esistenza, diventa specchio delle retoriche elettorali alterne ma speculari di
sinistra e destra: vittima bisognosa di accoglienza nel primo caso, nemico da
combattere nel secondo. In entrambi i casi la proiezione di una verità
mistificata, una mistificazione in senso marxiano ovvero come punto di vista
che organizza interessi di parte. È una verità parziale che guarda agli effetti
e rimuove le cause: è vero, nella crisi i processi di declassamento e
impoverimento rischiano continuamente di aprire la competizione tra “italiani”
e “stranieri” per l’accesso alle residue risorse di welfare e reddito, però ciò
che viene volutamente occultato è che sono le politiche di destra e di sinistra
a creare questa contrapposizione, radendo al suolo le risorse di welfare e
reddito nel nome dell’accumulazione selvaggia. È dunque una verità parziale che
affonda le sue radici nell’interesse comune tra destra e sinistra, laici e
cattolici, di rimuovere i processi di razzializzazione che strutturano la
società capitalista lungo gerarchie sociali e materiali, ossia di classe. È qui
che si annida il reciproco alimentarsi delle retoriche di destra e sinistra,
dove l’immagine del nemico invasore “minaccia per la razza bianca” si somma e
sovrappone a quella del migrante in preda alla “paura” bisognoso di “protezione”.
Due immagini speculari che occultano i rapporti sociali e materiali e le
gerarchie costruite sul terreno della razza.
Detto
altrimenti, sono proprio le politiche del governo nella crisi, dalla
deregolamentazione del lavoro del Jobs Act ai tagli al welfare, fino al
farsi businessdell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati
(dentro un quadro di malaffare e corruzione che descrive la messa al lavoro del
sistema di accoglienza per produrre ricchezze anche illecite e forza lavoro
servile) ad alimentare le fratture sociali cavalcavate dalle destre, dove i
processi di impoverimento e la riduzione dei servizi aprono alla guerra tra
poveri; una guerra che corre inevitabilmente lungo la linea del colore, per la
diffusa incapacità sociale di cogliere le radici materiali del razzismo e il
loro carattere socialmente strutturante.
E
c’è dell’altro: che rifletta l’immagine della vittima da accogliere o quella
dell’invasore da espellere, il migrante, persa la sua connotazione materiale
fatta di sfruttamento sul lavoro e marginalizzazione sociale, di
razzializzazione, inclusione differenziale e razzismo esplicito, si fa specchio
e proiezione di politiche istituzionali che insistono sull’assenza di diritti
civili piuttosto che sulla materialità delle condizioni di vita; ius
soli (per altro “temperato”) invece di garanzie sociali e sul lavoro
per tutte e tutti, stranieri e non, “contrasto al traffico di esseri umani” e
accoglienza emergenziale invece di politiche di convivenza e garanzie per il
lavoro migrante. È qui, intorno all’equivoco della solidarietà (in un’accezione
che segna invece di annullare le gerarchie) che si svela la natura
dell’antirazzismo umanitario continuamente invocato dalle anime belle tra
sinistra e cattolici: qui la solidarietà è pura menzogna proprio perché non
interviene sul piano materiale ma – in un rapporto asimmetrico – si limita al
piano formale dei diritti, lasciando così campo aperto alle destre per
cavalcare i processi di impoverimento e declassamento che stanno attraversando
la crisi, canalizzando politicamente, attraverso l’immagine dello straniero
invasore, la rabbia sociale.
Per
questo motivo, come già altre volte ho sostenuto, razzismo materialista e
antirazzismo umanitario, destra dal volto truce e sinistra buonista, sono
complici, hanno continuamente bisogno uno dell’altro. Sono due facce della
stessa medaglia: la medaglia che ha creato e governa la crisi, la medaglia che
produce i processi di impoverimento di tutti, migranti e non, e che per
gestirli deve mettere i differenti segmenti della catena in contrapposizione. E
mentre il razzismo materialista insiste sulla razza per rafforzare e
naturalizzare i dispositivi di gerarchizzazione, gli antirazzisti umanitari ne
fanno un tabù che, per ipocrisia formale, evita di mettere in discussione
quegli stessi dispositivi.
Però,
con buona pace di sinistra e chiesa cattolica (e talvolta ahimè anche di una
vocazione assistenzialista che in tempi di crisi sembra essersi impossessata di
una parte del “movimento”), esiste anche una solidarietà che apre a processi di
trasformazione e contro-soggettivazione, che non vive di rapporti asimmetrici,
di debolezza e carità, di vittimizzazione e aneliti umanitari. La solidarietà
può essere sovversiva, portatrice di nuove relazioni e rapporti di potere quando
interviene concretamente sulle condizioni materiali di vita, quando si incarna
nelle lotte e non nella carità. Forse conviene non chiamarla neppure più
solidarietà, per non cadere nell’equivoco ripetuto dalle anime belle che si
fanno complici dei volti truci. Abbiamo bisogno non di supposte debolezze da
compatire e sommare, ma di potenziali forze da far esplodere e ricomporre. È
per questo che da anni insistiamo sulla necessità di riportare
l’antirazzismo al centro delle lotte e non farne mera appendice, magari da
richiamare seguendo l’agenda di una “emergenza umanitaria” (che presto diventa
“emergenza elettorale”), un antirazzismo che sappia porre l’accento sulle
effettive condizioni di vita dei e delle migranti e sulle ragioni strutturali e
strutturanti che queste interpellano. Questo antirazzismo non si può basare
sulla solidarietà di chi se lo può permettere, ma deve fondarsi sulla capacità
di connettere gli interessi materiali di soggetti razzializzati e non, perché
gli uni e gli altri sono attaccati dalle stesse politiche e hanno un nemico
comune: la destra e la sinistra, cioè coloro che li vorrebbero divisi e
contrapposti. Perché le condizioni di vita degli autoctoni non possono
migliorare finché peggiorano quelle dei migranti, e viceversa. E non miglioreranno
né le une né le altre senza lottare contro l’erma bifronte che a marzo si
spartirà ancora le sue poltrone sulla nostra pelle, qualunque colore essa
abbia.