venerdì 23 giugno 2017

abstract/ POPULISMI DI IERI E DI OGGI

-TONI NEGRI-

l’estinzione della società civile e il declino del ceto medio
/la metamorfosi digitale e sociale del lavoro
/la dissoluzione dei vecchi gruppi corporativi 
/la conflittualità e l'antagonismo sociali 
/la produzione di soluzioni illusorie della proposta populista 

Oggi il «populismo di sinistra», se interpretato (come vorremmo fare) con benevolenza, propone innanzitutto la verticalità della leadership. Di che cosa è sintomo questa rivendicazione? Di una nuova percezione del fatto che la legittimità democratica riposa su un «popolo» che, materialmente, è una molteplicità forte, un rapporto comunicativo orizzontale, un insieme di singolarità. Non si tratta più semplicemente di unificare la molteplicità ma di sussumere l’orizzontalità, l’insieme delle singolarità nella verticalità del comando. Nel muoversi in questo senso, il comando populista si oppone alla forma-orizzontale nella quale i movimenti, a partire dal 2011, hanno organizzato le lotte, le occupazioni, e si sono espressi in favore della leaderless e contro rappresentanza e gerarchie politiche. Il populismo di sinistra trasforma quindi il fenomeno leaderless (ci si è permesso di abbreviare così il ragionamento) nel suo contrario, assumendo il rifiuto della rappresentanza (della casta, di un sistema politico ossificato, ecc.) e dell’«autonomia del politico» come materia della trasformazione «rousseauiana» della molteplicità nell’Uno sovrano.
Come reagire a questa operazione? Insistendo sul fatto che non è mistificabile e riducibile in maniera autoritaria quella orizzontalità che le lotte hanno costruito. Essa propone di fondare ogni legittimità sociale sui progetti politici che dai movimenti moltitudinari promanano. Ogni strategia politica e sociale è dei movimenti e non può espropriata. La trasfigurazione verticale della molteplicità mistifica quanto c’è di più nuovo e forte nella figura dei movimenti oggi: il fatto di trattenere la strategia politica in se stessi e di cercare di organizzarla, di costruirla e di svilupparla in «istituzioni-non-sovrane». Dentro la mancanza di unità dell’«insieme di singolarità» della moltitudine (ché così la si vede dal basso mentre dall’alto era vista come soggetto frammentato) vive piuttosto il desiderio di formare un’ontologia plurale e cooperativa di coalizioni politiche. Molti movimenti parlano ormai in termini di interelazionalità, di connessioni variabili e potenti di rivendicazioni, di lotte e di istituzioni: così si organizza la nuova potenza della moltitudine.
Vi è poi un altro percorso sintomatico da compiere nell’analisi del populismo di sinistra, al fine di svelarne un’altra mistificazione. Nell’insistenza con la quale esso promuove i discorsi sui valori del «popolo» (nazione/patria) si possono certo riconoscere ripugnanti pulsioni identitarie e razziste. Ma c’è anche un’indistinta percezione comunitaria che va qui colta e criticata perché non è possibile irridere alla protesta contro il dominio della finanza sulla vita né alla denuncia dell’alienazione crescente che il lavoro vivo subisce nello sfruttamento/estrazione del suo valore. Non sarà difficile vedere dietro queste sofferenze del «popolo» l’oscuro riconoscimento di una operazione ben complessa e definita: quella del denaro, del capitale finanziario che sfrutta il comune, il lavoro collettivo associato, ed estrae valore dall’insieme biopolitico della natura e della società. Il populismo traduce qui le molteplicità cooperanti in un mostro unitario al quale non sa proporre che la trasfigurazione nell’identico, nell’equivalente astratto del popolo – ripetendo l’illusione del gioco dialettico, che sempre rinnova la falsificazione della realtà nel descrivere lo sfruttamento del capitale. Criticando quest’operazione, riconosciamone comunque l’efficace aggiornamento che esso opera (da parte capitalista) della mistificazione borghese nell’identificazione del nuovo soggetto dello sfruttamento: la moltitudine, innervata dal modo di produrre del comune.
È troppo benevola questa nostra valutazione del populismo postmoderno? Forse. È tuttavia utile svolgerla perché essa non apre solo alla demistificazione formale di quel processo dialettico. Ma anche ad un successivo e più importante approfondimento della critica. Nel senso dello svelamento di ciò che, rovesciando il tavolo da gioco, appare: l’urgenza di una politica di riappropriazione di quel comune, strappatogli nell’assetto finanziario dello sfruttamento da parte della moltitudine, da parte dell’insieme di soggettività potenti che la costituiscono. Smascherando lo Stato e tutte le oblique finzioni che il populismo propone, organizzando il comune in termini cooperativi, non-proprietari, costituenti.
per la lettura del testo integrale si rinvia a www.euronomade.info