-FRANCESCA COIN-
il plusvalore è
la dismisura, quell’attività mentale, affettiva e corporale che fa da
cartina tornasole alla differenza tra lavoro erogato e lavoro pagato/
è espressione stessa dell’assenza di un equivalente monetario per il lavoro comandato/
più che equivalente generale, il denaro è forma del valore una sorta di tecnologia sociale che funge da comando sul lavoro prima ancora che esistano le merci-salario preposte alla sua retribuzione
è espressione stessa dell’assenza di un equivalente monetario per il lavoro comandato/
più che equivalente generale, il denaro è forma del valore una sorta di tecnologia sociale che funge da comando sul lavoro prima ancora che esistano le merci-salario preposte alla sua retribuzione
È sempre un balsamo leggere i nuovi
libri di Christian Marazzi. Lo dico nei panni di una delle tante lettrici e
lettori che, negli anni, sono ritornati alle sue pagine, cercando ogni volta di
sgranarle per disfarne la complessità e arrivare ai nodi fondanti della sua
analisi. In questo senso l’uscita di Che cos’è il plusvalore? (Edizioni Casagrande, 2016) può, per tanti versi, rallegrare
il lettore che più con le sue pagine ha litigato, perché quest’ultima opera ha
un tono colloquiale che conduce quasi per mano a percorrere per intero i punti
cardini del suo pensiero. Da dove arriva questa crisi? Possiamo attraversare il
libro ponendoci questa domanda e lui, burlescamente, risponderà, quasi fosse
una cosa banale, dal ritorno del plusvalore.
E qui Christian Marazzi ci porta a
ripercorrere una storia antica, ma non per questo meno complicata: il plusvalore è
la dismisura, quell’attività mentale, affettiva e corporale che fa da
cartina tornasole alla differenza tra lavoro erogato e lavoro pagato. Il
problema è che quando pensiamo al denaro pensiamo generalmente in termini di
merce – più precisamente ancora, pensiamo al denaro come equivalente generale,
ma il plusvalore è espressione stessa dell’assenza di un
equivalente monetario per il lavoro comandato. Più che equivalente generale, il
denaro è forma del valore, scrive Christian Marazzi, una
sorta di tecnologia sociale che funge da comando sul lavoro prima ancora
che esistano le merci-salario preposte alla sua retribuzione. «La funzione
del denaro come mezzo di pagamento immateriale è precisata dalle condizioni
d’acquisto della forza lavoro. Quest’ultima è pagata dopo esser stata
messa all’opera e in questo senso l’operaio fa credito al capitalista di una
settimana o di un mese», scrive. Il che significa che il denaro creato ex
nihilo funge da comando sul lavoro prima ancora che questo, tra l’atto
del comando e quello della retribuzione, produca quelle merci-salario che non
esistevano al momento del contratto, e sarà da queste merci-salario che
dipenderà il famoso salto mortale della merce di cui parla
Marx, quella capacità di vendere le merci prodotte dalla quale dipende la
trasformazione del plusvalore in denaro.
Torna a mente la citazione dal Libro
Primo del Capitale di Marx nella quale il critico dell’economia politica
spiegava come «[il valore] si differenzia, come valore originario, da se
stesso come plusvalore, allo stesso modo in cui Dio Padre si
distingue da se stesso come Dio Figlio, ed entrambi sono coetanei, e
costituiscono di fatto una sola persona, poiché solo mediante il plusvalore di
dieci sterline le cento sterline anticipate diventano capitale, e non appena
sono diventate capitale, e appena è generato il figlio, e mediante il figlio
il padre, la loro distinzione torna a scomparire, ed entrambi sono uno,
centodieci sterline». In questa strana filiazione del denaro che produce denaro
c’è, se vogliamo, il segreto del capitale, la straordinaria
capacità che ha il denaro di comperare le merci al loro valore, di
venderle al loro valore, «eppure alla fine del processo deve trarne più
valore di quanto ve ne abbia immesso».
Il fatto è che il plusvalore, questa
dismisura che il pensiero economico ha a lungo faticato per occultare, è non
solo il perno della straordinaria diseguaglianza attuale – quella crisi della
riproduzione all’interno della quale ci troviamo a vivere – ma è anche la
ragione degli straordinari squilibri che descrivono l’economia odierna, la
ragione per cui il capitalismo contemporaneo vive di diseguaglianze ben più di
quanto possa mai pretendere di esserne turbato. Fatto sta che in questo breve
viaggio nella storia del plusvalore Marazzi ci conduce con una
sola chiave analitica a disvelare tutti gli arcani dell’epoca contemporanea.
Diventa chiaro allora che il lavoro gratuito è plusvalore – il
denaro come promessa di pagamento si presenta qui come l’esca per succhiare
l’anima del lavoro contemporaneo, condannandolo a divenire la fonte stessa
della rendita del capitale; gli straordinari squilibri commerciali dell’epoca
contemporanea sono conseguenza dal plusvalore, espressione del
tentativo tipicamente imperiale di sopperire all’insufficienza della domanda
interna annettendo a sé nuovi sbocchi di mercato – una pratica coloniale che,
se vogliamo, rinveniamo all’origine dello stesso surplus tedesco
come del deficit greco o italiano. Nasce dal plusvalore, infine,
la stessa finanziarizzazione, espressione della necessità di compensare la
crisi della riproduzione creando domanda aggiuntiva per mezzo del credito
privato, esattamente quanto avvenuto ad esempio con la crisi dei mutui sub-prime.
Ma allora, se il problema fondante è il plusvalore,
perché nessuno ne parla? L’assoluta coerenza che come un filo rosso accompagna
l’intero periplo dell’analisi di Marazzi continua a nascondersi dietro la
rassicurante narrazione neo-liberale, quell’idea di equilibrio generale che,
ricorda l’autore, non spiega la crisi e forse precisamente per questo ancora
c’incanta con la fiaba del denaro-merce e della capacità auto-regolativa dei
mercati, quella bugia rassicurante secondo la quale la crisi
odierna è un fulmine a ciel sereno, un disguido della democrazia liberale, un
errore di percorso in questo ordine sociale superiore che è il mercato, cui
porre fine banalmente accettando nuove riforme strutturali, come viene intimato
ripetutamente in questi giorni all’Italia. Così non è, né così può essere, ci
dice l’autore. Il nodo irrisolto della crisi odierna giunge di lontano, da
quello squilibrio strutturale che un tempo senza esitazione veniva ricondotto
semplicemente all’antagonismo tra classi. La situazione attuale è
insostenibile, è questo il monito che si insinua tra le pagine.
Christian Marazzi chiude il testo con un
riferimento al Quantitative easing for the people, da
intendersi coerentemente come possibilità di contrastare l’insufficienza
di domanda di beni e servizi attraverso una politica monetaria espansiva capace
di gocciolare liquidità direttamente là dove sarebbe necessaria, nelle tasche e
nei conti bancari e postali dei cittadini europei. Tempo addietro, nel
presentare questa proposta, Marazzi suggeriva di incunearsi in un paradosso, di
rifarsi alla critica monetarista per contrastare i danni che la
stessa politica monetarista ha creato, costringendo le banche centrali in
questo modo a risolvere la stagnazione secolare che attanaglia l’economia
odierna finanziando direttamente i consumatori. Dietro a questa spiegazione si
poteva rinvenire ieri come oggi una preoccupazione: la necessità di prevenire
le conseguenze politiche degli squilibri odierni prima ancora che
queste divengano ingestibili, una premonizione di cui la politica xenofoba
di Trump pare essere l’efferata incarnazione.
La storia è accelerata rapidamente da
quando Marazzi ha tenuto il seminario all’Istituto Svizzero di Roma da cui
nasce questo testo, e il mondo davanti ai nostri occhi è rapidamente cambiato.
Pare di poter dire che le autorità monetarie non saranno così sagge da
invertire la tendenza nella politica monetaria; al contrario, per certi versi,
sembrano pronte a cavalcarne le contraddizioni – l’accanimento contro l’Italia
mostra la tendenza a tenersi ben saldi ai rapporti di forza scaricando di volta
in volta la crisi su di una nuova vittima sacrificale – la prima era la Grecia,
e ora pare stia arrivando il turno dell’Italia. Una consapevolezza emerge,
tuttavia, da questo testo ed è che la diseguaglianza è sempre destinata a
trovare soluzione. La vita eccede sempre la prescrizione, scrive Marazzi,
né il plusvalore è destinato a vivere in eterno. La vita si
libera sempre dalle camice di forza, incluse quelle derivanti dalla politica
monetaria, l’unica domanda è se questo avverrà con le buone o con le cattive e
a quale costo in termini di sofferenza sociale.