di Frédéric Lordon* -
in
queste settimane ha rivestito un ruolo di primo piano all’interno di questo
nuovo movimento francese che si è chiamato “Nuit Debout”. In questo articolo Lordon,
tratto da Le Monde Diplomatique, di cui si propone la lettura in francese,
emergono i motivi che stanno alla base delle proteste, la distanza di prospettive e di visuale tra i sogni/bisogni
di una generazione che ha poco da perdere e l’ottusità conservatrice, ipocrita
e anche un po’ comica, di una classe dirigente che, sempre più, è parte
integrante (nonostante le promesse elettorali) delle politiche di austerity.
Attraverso la Loi Travail, come in una sorta di apoteosi, questa classe
dirigente ha reso ancor più esplicito che idea ha della vita. Con questo
potere, sostiene Lordon, c’è poco da negoziare poiché non gli può essere
riconosciuta legittimità. Inoltre, le “rivendicazioni” classiche, di tipo
sindacale per esempio, hanno perso capacità di attrattiva poiché le persone
sono ormai consapevoli che si tratta di disposizioni rituali, di rotte
concordate, che non sono sufficienti. Così, in sostanza, è estremamente
innovativo e radicale, per un’insorgenza come questa, partire dal “non
rivendicare nulla”: “noi non rivendichiamo nulla”, si dice nel titolo.
Provocano qualche moto di ironia “la sinistra di governo” e i suoi sacerdoti
intellettuali, le varie distinzioni della “sinistra” fino alla “sinistra
sinistra”… “c’est vrai, nous sommes complètement fous. Et nous arrivons”
[Effimera]
Al
punto in cui siamo bisogna essere ciechi per non capire che nel movimento
sociale si gioca molto di più di una semplice
legge e dei suoi articoli. Ma la cecità è precisamente la caratteristica
dei nostri governanti e dei loro commentatori embedded. Così tutto
questo piccolo mondo continua ad agitarsi come in un teatro delle ombre, e a
recitare una commedia ogni giorno più assurda, gli uni impegnati a pesare sul
bilancino le loro concessioni di facciata, gli altri i loro guadagni risibili,
e i terzi intenti a tessere le lodi di ciò che è ragionevole o impegnati a
preparare le future “primarie”. E tutti a chiedersi quale possa essere il
colore più consono per ritingere la cancellata del giardinetto che si sono
impegnati a coltivare, lì, sul fianco di un vulcano tremante e fumante.
Per
un paradosso tipico, quando si è alla fine di un ciclo, sono questi stessi
signori che accelerano il processo di decomposizione, del quale si percepisce
il progredire quando le soglie di corruzione del linguaggio vengono sfondate
una dopo l’altra. Al riguardo, abbiamo preso l’abitudine di utilizzare Orwell
come metro di riferimento. Ma Orwell era un piccolo giocatore al quale mancava
decisamente la fantasia. Bisogna essere del tutto onesti: non era completamente
privo di talento, si è dovuto aspettare un po’ prima di vederlo superato nelle
falsificazioni linguistiche, ma questo momento è arrivato. Ed è Bruno Le Roux,
presidente del gruppo “socialista” all’Assemblea Nazionale, che si incaricato
di insegnargli a quali altezze si può portare il prodigio del rovesciamento
delle parole: “Bisogna che il contratto a tempo indeterminato non sia una
gabbia per gli imprenditori (1)”. Bisogna riconoscere che si fa fatica ad
afferrare pienamente cotanto genio e che bisogna reggersi per non essere presi
dalla vertigine. Chi se lo ricorda penserà subito a un brano estratto dalle Nouveaux
chiens de garde (2) nel quale Bénédicte Tassart (RTL), volendo
vituperare il sequestro dei padroni (da parte dei sindacalisti), diceva che “è
inammissibile costringere le persone contro la loro volontà in ufficio”,
ovviamente senza rendersi conto che, in tal modo, molto acutamente,
rappresentava semplicemente la condizione salariale (senz’altro limitata al
settore terziario, ma agevolmente generalizzabile). La poverina era inconsapevole
del fatto che le analogie carcerarie di Bruno Le Roux sono calibrate meglio.
Talmente ben calibrate che si resta quasi nel dubbio che siano intenzionali.
Si
potrebbe in effetti pensare che tutto ciò che avviene in questo momento giri
precisamente intorno alla connessione, potentemente evidenziata da Bruno Le
Roux, del contratto salariale e della prigione. Chi è veramente il carcerato? È
questo il punto di controversia residuale, sul quale, per fortuna, non si
fermano quelli che, bombolette spray in mano, rielaborano per conto loro, e in
maniera alquanto energica, la grande intuizione di Le Roux.
E
non solamente la sua, perché è decisamente un governo che non manca di filosofi
e che eccelle nell’arte del “far pensare”. Ricordiamoci di Emmanuel Macron, che
suggeriva, meditando sui fini esistenziali, che “c’è bisogno di giovani che
vogliano diventare miliardari”. Passare all’articolo indeterminativo per fargli
dire che bisogna che “i giovani abbiano voglia di diventare miliardari” sarebbe
violentare un pensiero che, visibilmente, si trattiene dal trarre tutte le
conseguenze per il timore di reazioni retrograde? Dall’uno all’altro, comunque
– da Le Roux a Macron – e anche se per vie diverse, si tratta di un’idea
generale dell’esistenza che ci viene proposta.
C’è
un invito e dobbiamo mostrarci sensibili. Prendiamo le cose allo stesso livello
di genericità in cui ci vengono proposte – il solo modo per rispondere
adeguatamente. Diciamo per onestà che questa risposta ha avuto bisogno di tempo
per arrivare a maturazione. È vero che tanto la brutalità dell’assalto
neoliberale quanto il crollo dell’“alternativa comunista” non hanno facilitato
la presa di coscienza. Trent’anni di sperimentazione sulla pelle non potevano
che produrre qualche incomprensione. Ma il “reale” fa il suo cammino, e lo fa
sempre meglio quando si sviluppano luoghi di condivisione (primo esempio
tra altri il sito #OnVautMieuxQueCa),
dove la gente scopre che ciò che è costretta a vivere contro la propria volontà
è condiviso da tanti.
Inoltre,
bisogna ringraziare sentitamente questo governo che non ha mai smesso di
stimolare il pensiero: la cosiddetta “Legge sul Lavoro” giunge come una
sorta di apoteosi che ci permette le ultime precisazioni. L’idea della vita che
queste persone ci propongono appare ora in tutta la sua chiarezza. È per questo
che, oramai dotati della conoscenza necessaria e dopo lunghe riflessioni,
possiamo rispondere “no”. Sottolineiamo, per i sordi – e ce ne sono
sempre tanti dalla parte del potere -, che è di questo che si tratta oggi. Non
di quante volte il contratto a tempo determinato possa essere rinnovato o
dell’opportunità deivoucher, o di altro: si tratta, piuttosto, dell’idea
dell’esistenza.
Si
può convincere qualcuno facendo ricorso ai principi, si può ancora meglio
attraverso le immagini. Per quelli che non avessero ancora ben chiaro il tipo
di mondo che la filosofia del governo desidera per noi – nei due sensi della
parola: al nostro posto e per imporcelo – basterebbe considerare una o due cose
che possono rappresentare una sfida al potere. Ci riferiamo, e sono state viste
da tutti, alle immagini di una diatriba molto accesa tra tre poliziotti
antisommossa ed un pericoloso liceale parigino, o le immagini del ritorno delle
squadre speciali di polizia sui banchi dell’università di Tolbiac, che gettano
una luce diversa sulle parole di François Hollande del 2012 – “Vorrei ridare la
speranza alle nuove generazioni” – o il più recente discorso della ministra
dell’Educazione Najat Vallaud-Belkacem (24 Marzo 2016) – “Educazione: ciò
che facciamo per la gioventù”. A meno che non fosse precisamente ciò che
intendevano.
La
realtà del ordine sociale si trova altrimenti esplicitata in due video: il
primo, di pura
testimonianza, è stata girato dal giornale Fakir e vede
Henri (il suo cognome non è noto) raccontare come lui, salariato di un
subappaltatore, è stato denunciato dalla Renault, dove interveniva, al suo
datore di lavoro per avere, fuori orario di lavoro e tramite la sua email
personale, segnalato il film Merci patron! ad
alcuni sindacalisti del Technocentre (il centro ricerca della Renault)…
Denunciato
e, ovviamente, allontanato dal sito dove svolgeva il suo lavoro… è ora alle
prese con una procedura di licenziamento con il suo datore di lavoro. Ancora
più sconcertante, se si può, è la scena
registrata in un ufficio postale di Asnières: durante un’assemblea di
fronte ad un gruppo di robocop in assetto ed armati di flashball,
chiamati dalla direzione. Solo la loro coesione e la reazione di un
sindacalista coi controcoglioni, corazzato dai suoi diritti sindacali, ha
potuto cacciarli.
Forse
è proprio questa la scena che sintetizza il terrore del potere: l’incontro tra
studenti e salariati. La sorveglianza in ultima istanza poliziesca, del
salariato riottoso, ovvero la fusione tra Stato e capitale, paradossalmente
ancor più forte quando si tratta di capitale pubblico; l’alternativa radicale
della sottomissione o della lotta collettiva. È più che evidente che di fronte
a un tale spettacolo, la chiarezza della comprensione ottiene l’aiuto
dall’immaginazione. Ed anche un rimescolarsi di affetti ed emozioni. E grazie a
questa bella spinta, siamo finalmente in grado di dire l’indicibile: non
rivendichiamo nulla. Capirete che dopo decenni in cui ci avete mostrato,
voi e i vostri simili, le vostre alte qualità e lungimiranze, l’idea di
negoziare con voi ci appare semplicemente senza senso. Il fatto è che
“rivendicare” ha senso solo in un contesto che si possa riconoscere
come implicitamente legittimo. Viene il momento in cui, a forza di negoziare
per poche briciole e anche semplicemente per ridurre la riduzione delle
briciole, l’impensabile ritorni alla mente. Non più come oggetto di una qualche
“rivendicazione”, ma come oggetto di una trasformazione completa.
Certo,
lo sappiamo: per continuare a sostenere l’illusione potete contare sul
sindacalismo color ranuncolo (giallo), quello che vede “aspettative di
progresso” (3) dopo le peggiori regressioni, e del quale la scienza araldica ha
ormai stabilito sia lo stemma “di moccio incrociato” che l’eterno motto “Iam
mendacium semper”. Contro un certo sindacalismo in ginocchio, ciò che nasce
adesso è un movimento in piedi. Come si sa, un movimento inteso in questo
senso, inizia dalle assemblee e dai raduni. Tra la gente si è diffusa l’idea
che semplicemente manifestare sugli stessi percorsi prestabiliti, in altre
parole “rivendicare”, non è più sufficiente. La conseguenza è che non
torneranno a casa loro dopo il corteo, si raduneranno da qualche parte per
iniziare qualcosa di diverso. “Nuit debout” (Notte
in piedi), è il nome di questa iniziativa, e il suo slogan, copiato dal
messaggio del film Merci patron!, è indicativo del rapporto con la
controparte: “terrorizzarli”… Radunarsi, non sciogliere i cortei, non
rivendicare: in effetti, un concentrato di inquietanti anomalie per i saggi
amministratori della controparte.
Ed
è vero che, anche se non conosciamo bene la nostra forza, ciò che sta nascendo
è un incubo per lo Stato, che vede manifestare le sue paure in una congiuntura
astrale del peggio: la negazione della mediazione, l’abbandono della
rivendicazione e la sua sostituzione con l’affermazione.
Si
potrebbe dire, infatti, che siamo sul punto di vivere uno di questi momenti
benedetti della storia nei quali gruppi fra loro frammentati riscoprono ciò che
hanno in comune, questo comune massiccio istituito dal capitalismo stesso: la
condizione salariale. I salariati maltrattati di oggi, gli studenti e i liceali
maltrattati di domani, i precari di ogni sorta, ma anche tutte le altre vittime
indirette, si direbbe collaterali, della logica generale del capitale, migranti
in situazione irregolare e sfruttabili all’infinito.
Che
cosa può fare un ministro, o il suo sottosegretario, di tutta questa gente che
non ne vuole più saperne di rivendicare? Niente, assolutamente nulla, e lo
sanno, tra l’altro, ed è questo che li terrorizza. Quando abbandonano la
pratica infantile della rivendicazione, i cittadini ritrovano il gusto
dell’affermazione – la rottura del monopolio dello Stato sul diritto
all’affermazione. Per sua sfortuna, la legge El Khomri sarà stata la
prevaricazione di troppo, quella che oltrepassa la soglia dello scandalo e
genera negli spiriti la spinta al radicale cambiamento del punto di vista sulle
cose, delle posizioni, dei ruoli. Non abbiamo nessuna voglia di lottare per
cambiare due commi: vogliamo affermare nuove forme dell’attività politica.
Bisogna
sentire il commovente appello di Michel Wievorka a “salvare la sinistra di
governo” (6) per comprendere il livello di integrazione degli intellettuali
conniventi al “quadro” generale delle cose, e di conseguenza, la loro totale
incapacità di capire ciò che si muove nella società, anche e sopratutto se sono
sociologi. In un tentativo di ridefinizione performativa delle categorie
politiche che esplicita pienamente lo slittamento a destra di questo personale
di accompagnamento (a seguito dei loro maestri, che non possono abbandonare),
Wievorka nomina rappresentanti della “sinistra della sinistra” … Benoit Hamon e
Arnaud Montebourg (sinistra socialista)! Un modo per indicare a questa gente
dove è situato il confine estremo del mondo politico – perché, per definizione,
a sinistra della sinistra della sinistra, non c’è nulla. O piuttosto si: ci
sono i matti, la “sinistra matta”, è l’espressione preferita di tutti gli
esterrefatti che non si capacitano che si possa non volere scegliere tra “la
sinistra liberal-marziale di Manuel Valls” (sic), “la sinistra social-liberale
di Emmanuel Macron” e quindi “la sinistra della sinistra di Benoit Hamon e
Arnaud Montebourg”. Rinchiusi nelle loro certezze, costoro ridisegnano i
confini di questo dominio della follia sempre più vicino a loro. Allora bisogna
dirlo, a Wievorka e a tutti i suoi simili, agli Olivennes (7), ai Joffrin (8),
eccetera… è vero, siamo completamente matti. E stiamo arrivando.
NOTE
(1) LCP, 10 mars 2016.
(2) Les nouveaux chiens de
garde, film de Gilles Balbastre et Yannick Kergoat, Epicentre films
éditions, 2011
(3) Laurent Berger, « La loi Travail “peut répondre à une
ambition de progrès” », L’Obs,
24 mars 2016
(4) Voir également sur le site Convergence
des luttes
(5) Voir « Pour la république sociale », Le Monde
Diplomatique, mars 2016
(6) Michel Wieviorka, « Il faut
sauver la gauche de gouvernement », entretien, L’Obs,
27 mars 2016
(7) Denis Olivennes, La maladie
de la gauche folle, Plon, 2000
Questo
articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2016 su Le Monde Diplomatique
Traduzione dal francese di Guillaume Mariel
(*)
economista e filosofo, il cui ultimo libro tradotto in Italia è Capitalismo, desiderio, servitù.
Antropologia delle passioni e forme dello sfruttamento, DeriveApprodi, 2015