di
Francesco Pezzulli -
Con
questo articolo di Francesco Pezzulli ci associamo ad Effimera nell’omaggiare Luciano
Gallino, uno dei padri del pensiero sociale critico italiano, professore emerito
di Sociologia scomparso domenica scorsa a Torino, all’età di 88 anni. I
suoi lavori sono stati, negli anni, a partire dagli esordi all’Olivetti di
Ivrea, sempre fonte di stimolo e di ispirazione.
Il
professor Gallino ha sperato nelle sorti dell’informatica italiana[1]. Ha ritenuto
che questa sarebbe potuta diventare fondamentale per il miglioramento della
qualità del lavoro e, con esso, della democrazia e dello sviluppo
socioeconomico. A cavallo tra gli anni ’70 e ’80 il sociologo immagina tre
futuri possibili: un futuro di soppressione di posti di lavoro impiegatizi,
tecnici e operai, che la “delfica ambiguità” dell’informatica avrebbe reso
superflui. Un secondo futuro in cui l’informatica avrebbe pervaso la vita dei
suoi operatori e utenti. Vale la pena leggere un brano di questo secondo
futuro, scritto nel 1983, che possiamo definire profetico:
«in
questo futuro ciascuno, compreso chi fa i lavori domestici e gli studenti
d’ogni età, lavora diuturnamente ad un microcomputer, sia esso, momento per
momento della giornata, un personale, l’elaboratore di casa o un terminale
intelligente inserito in una vasta rete di elaborazione distribuita, oppure
collegato ad un lontano elaboratore di grande potenza»
Questo
secondo futuro invece di ridurre il tempo di lavoro lo estende all’intera vita,
cosi come moltiplica le modalità e tecniche di comando e di controllo. Lo
stesso sociologo afferma che in questa visione “pessimistica” l’informatica può
divenire «uno strumento implacabile di manipolazione e di controllo». Più
avanti nel testo, grazie ad esempi significativi, viene sottolineato che si sta
parlando di un’organizzazione del lavoro informatizzata, è vero, ma che ricalca
le modalità e tecniche di estrazione del plusvalore assoluto della grande
fabbrica operaia. E’ senza dubbio diverso il macchinario, ma il contenuto del lavoro
ricorda da vicino la parcellizzazione, monotonia e ripetitività tipiche del
taylorismo:
«Di
conseguenza si tenderà a scomporre, ad esempio, un programma di 25.000 righe in
una decina di subprogramma di 2.500 righe ciascuno; ciascun subprogramma in una
decina di moduli di 250 righe ciascuno; e ciascun modulo in una decina di
segmenti di 25 righe ciascuno (…) più i segmenti sono ridotti e facilmente
comprensibili, maggiore è la possibilità di impiegare personale scarsamente
qualificato, e maggiore altresì la possibilità di controllarne le prestazioni»
In
questo secondo futuro l’informatica è riassorbita e funzionalizzata alle
logiche di produzione classiche della grande industria fordista. Il
programmatore, il tecnico e le altre figure professionali sono inquadrati alla
stregua degli operai massa.
Ma
c’è un terzo futuro possibile, nel 1983, secondo Gallino. Questa volta è un
futuro in cui l’informatica non si sostituisce al lavoratore e neppure lo
sottomette ai suoi tempi e procedure, ma ne sviluppa e prolunga le capacità
cognitive ed operative: in questo futuro il lavoro recupera una misura umana,
«perché l’informatica stessa ha preso come misura la persona». In questo futuro
«l’ambiguità dell’informatica è risolta» e le ipotesi per cui la sua “natura” capitalistica
produce forme di asservimento alle macchine, con inerente proletarizzazione dei
lavoratori intellettuali come di quelli manuali, definite fuorvianti. Nel libro
sono riportati numerosi segnali di questo futuro possibile, per la cui
realizzazione hanno responsabilità non solo i capitani d’industria, ma anche
gli operatori dell’informatica a diversi livelli.
Quando
il Professor Gallino, trent’anni dopo, ritorna sul settore informatico
nazionale, descrive a ragione il caso dell’Olivetti come emblematico della
storia informatica nazionale[2]. La società di
Adriano Olivetti ha realizzato il primo personal computer al mondo, rispetto ai
concorrenti nazionali si è distinta per la propensione alla Ricerca e
Innovazione e per una organizzazione e gestione della forza lavoro avanzate, un
modello con il quale l’ingegner Adriano intendeva costruire la sua “comunità”
industriale.