di Federica Giardini e Anna Simone
Questo
non è un comunicato, ma un modo per significare i tempi di ingiustizia che
sentiamo inscritti nei nostri corpi, nelle nostre esperienze, nelle nostre
pratiche e nelle nostre relazioni
Da
tempo coltiviamo la presa di parola sul funzionamento di questo capitalismo che
si traduce nelle nostre vite quotidiane attraverso l’antropologia prodotta dal
neoliberismo. Siamo convinte che il femminismo sia un pensiero per tutte e
tutti, un pensiero di civiltà che apre nuove prospettive, sia partendo da noi,
sia ragionando su grande scala. Non ci basta più un pensiero di donne sulle
donne, vogliamo parlare del mondo collocandoci nella realtà delle nostre vite e
delle nostre esperienze. Proponiamo, quindi, una scrittura scandita in alcune
tesi per avviare un percorso comune, un percorso che articoli la materialità di
questo presente, per ricollocare i nostri desideri e i nostri bisogni, per una
nuova misura del mondo, una nuova economia politica.
SULLA RIPRODUZIONE
1.
Assumiamo le attività di riproduzione come il paradigma dei tempi in cui
viviamo. Per riproduzione non intendiamo la sola rigenerazione biologica,
eterosessuale, della specie, bensì tutto il ciclo di attività che mettono e
rimettono al mondo, e sul mercato, l’umano. Consideriamo dunque conclusa la fase
della contrapposizione tra femminismo marxista o materialista e femminismo del
simbolico. Il paradigma riproduttivo può dunque interpellare tutti i soggetti
che si collocano al di fuori del quadro eterosessuale o che non assumono la
prospettiva di genere. Il soggetto queer, come tutte noi, abita,
dipende dalle relazioni, necessita delle condizioni materiali e dei mezzi per
dire una vita degna, quando voglia nominare materialmente la sua esperienza.
2.
Il paradigma riproduttivo si afferma in un’epoca postpatriarcale, nella
sovversione delle categorie che hanno regolato il vivere umano in epoca
moderna: natura-cultura, attività domestiche-lavoro, privato-pubblico,
etica-politica, economico-sociale, inclusione-esclusione. Per riproduzione
intendiamo dunque la generazione e rigenerazione fisica e mentale dell’umano
nella sua primaria dimensione relazionale, tra famiglia e società, tra condotte
individuali e collettive, tra attività necessarie incomprimibili e attività
relazionalmente libere… Dai comitati di bioetica al telelavoro, dal
ritorno del volontariato, fino alla società dei servizi, tutto ci parla della
fine di quei confini.
3.
Il paradigma riproduttivo non è né in alternativa, né complementare alla
produzione, ne registra le metamorfosi e ne è un polo ineliminabile.
Consideriamo la riproduzione il punto cieco della tradizione economica e
politica della modernità occidentale. È su
questo impensato che si sta ricostituendo la presa del capitalismo, ovvero la
sperequazione, lo sfruttamento e l’ingiustizia. Il pensiero femminista ha
strumenti ben collaudati per collocarsi su questo terreno e sviluppare un
conflitto all’altezza delle trasformazioni del presente. Il paradigma
riproduttivo svela come, di epoca in epoca, il confine tra produzione di beni e
riproduzione dell’umano si sposti e ridefinisca quali sono le attività non
qualificate (lavoro semplice), quali le attività necessarie alla sopravvivenza
(lavoro necessario), quali le attività qualificate e dunque valorizzate,
ricollocando così le aree di esercizio dello sfruttamento e dell’oppressione. Com’è
possibile che oggi un’ora di traduzione dall’inglese sia pagata meno di un’ora
di pulizie in casa altrui?
SUI DIBATTITI IN CORSO
4.
Il paradigma riproduttivo evidenzia come i dibattiti nordoccidentali sulla cura,
non affrontando gli effetti economici su grande scala prodotti dal
neoliberismo, non si confrontano con i criteri della valorizzazione e
svalorizzazione di queste attività. “Prendersi cura del mondo” va preso alla
lettera. Significa assumersi la cruda materialità della manutenzione del
vivere; posizionarsi sulla grande scala nella quale viviamo; riappropriarsi
delle misure per non automercificarci e per non mercificare l’altra, “la colf e
la badante”; significa dunque generare e orientare le pratiche conflittuali
volte a riappropriarsi delle misure del valore del vivere. Mi basta
l’apprezzamento, una eventuale gratitudine, il riconoscimento e la fantasia di
una promessa per il futuro prossimo, in ritorno di quel che ho fatto, quando
nessuno si preoccupa di come pago l’affitto?
5.
Il paradigma riproduttivo non coincide con la diagnosi della femminilizzazione
della società, del mercato, del lavoro. È un paradigma che - oltre a indicare
l’estensione a tutti i soggetti del carico delle attività di generazione
continua dei corpi relazionali che siamo e in cui consistiamo - intende
individuare, tra produzione e riproduzione, lo spostamento della linea del
valore che di volta in volta ridefinisce cosa è lavoro non qualificato, lavoro
necessario e lavoro valorizzato. Le retoriche sulla femminilizzazione del
lavoro e della società sono solo la forma “gestionale”, antropologica, del
neoliberismo, che ha già stabilito in altre sedi - da chi costruisce gli
indicatori statistici o da chi elabora i criteri di valutazione nei rating o
nell’erogazione di fondi comunitari e nazionali... - il quadro generale di
criteri, priorità e finalità. Per il desiderio di chi sto svolgendo
lavoro gratuito o mal pagato?
6.
Il paradigma riproduttivo aumenta la capacità descrittiva di quel che è stato
messo sotto il titolo di “lavoro cognitivo” o “lavoro immateriale”. Accogliamo
positivamente il terreno comune creato dalla diagnosi dell’”egemonia del lavoro
immateriale” e dalla diffusione del paradigma biopolitico, ma vogliamo una
maggiore presa sulla materialità delle vite. Oltre alla formula della “messa a
valore delle capacità linguistiche, relazionali, affettive”, ci dotiamo di
strumenti più affilati per descrivere le attività non viste eppure necessarie e
dunque lasciate ad altre, ad altri. Il paradigma riproduttivo, mantenendo la
tensione con le attività di produzione di beni, permette di far cadere la
distinzione tra lavoro materiale e lavoro immateriale e di ritrovarla come
distinzione tra attività rinaturalizzate, rese cioè invisibili e indicibili, e
attività valorizzate, salariate, svalorizzate. Accogliere – lavoro
complesso ma rinaturalizzato - è lasciato all’invisibile al pari dell’ovvietà
del respiro, è richiesto come sovrappiù nella prestazione professionale o è già
politica?
SUL VALORE
7.
Nel venire meno della partizione tra attività domestiche e attività produttive,
il paradigma riproduttivo ridefinisce tutto quel che andava sotto il titolo
“lavoro”. Misura, valore, salario, tempo di vita, tempo produttivo, bisogno e
consumo, virtù pubbliche e private, si sono disposte in una precisa
organizzazione sociale, che non esiste più. Consideriamo il paradigma critico
della “mercificazione” – il valore inteso come valore monetario attribuito a
uno scambio ed esteso a relazioni che prima monetarie non erano - insufficiente
per descrivere le trasformazioni del contemporaneo. L’attribuzione di valore e
disvalore non si limita alla sola misura monetaria, al prezzo o al salario, ma
implica una vasta gamma di tecniche di comunicazione e del sé che plasmano la
nostra stessa percezione di cosa vale. Dal tremore all’incredulità di
fronte alle procedure di selezione (concorsi, contest, colloquio di lavoro,
valutazione permanente).
8.
Contro l’eccesso soggettivo nel concepire lo sfruttamento e l’eccesso
oggettivo-scientista dell’economico, contro la sussunzione del monetario nel
sociale o viceversa, il paradigma riproduttivo richiede una nuova teoria del
valore, che sia in grado di descrivere sia gli effetti di dominio, che
distribuiscono degni e indegni, meritevoli e immeritevoli, sia la traduzione
delle attività sociali in prezzi e salari. I valori delle nostre attività non
riguardano solo il senso di sé e di quel che si fa, sono individuati da una
dinamica retroattiva tra domanda-offerta e il più ampio andamento discorsivo e
virtuale che la ricostituisce. Differenza, nel paradigma riproduttivo, è il
nome del campo su cui si esercita la messa a valore, come anche la sua
riappropriazione. Il voto, il rating non sono solo numeri, ma sono più
dei loro effetti sui soggetti.
9.
Che differenza corre tra una donna che cucina e uno chef? In questa differenza
il paradigma riproduttivo individua le attività naturalizzate e dunque senza
valore e le attività messe a mercato, anche simbolico e comunicativo, e dunque
dotate di valore. Che differenza c’è tra una donna che cucina e una donna che
va a servizio in casa altrui? In questa differenza, il paradigma riproduttivo
individua l’intreccio tra valorizzazione e svalorizzazione, discorsiva e
monetaria, dunque simbolica. Donna che cucina sta a precario come chef
sta a opinionista, oppure donna di servizio sta a ricercatore a contratto o a
dirigente di pubblica amministrazione come chef sta a procuratore finanziario.
10.
Al salario e alla gratitudine preferiamo la restituzione. Il reddito garantito
prevede un provvedimento monetario che è condizione necessaria ma non
sufficiente. La restituzione – reddere – è un circuito simbolico-materiale, un
circuito di riproduzione della vita degna, che non può esaurirsi nella
possibilità di pagarsi quel che serve per sopravvivere. Essere parte di un
circuito di reddito significa accedere, utilizzare e moltiplicare le condizioni
del vivere. Voglio un salario o tutto quel che serve per un’esistenza
gioiosa?
11.
“La casalinga somiglia all’artigiano e quindi è meno suscettibile di rivoltarsi
alla sua condizione”. Assumere il paradigma riproduttivo permette di portare a
parola i soggetti che fanno corpo con le loro attività e dunque più
suscettibili di aderire a criteri di valorizzazione eterodiretti; permette di
individuare il crinale tra valorizzazione per il profitto altrui e pratiche e
istituzioni di autovalorizzazione. Dalla finanza “etica” al reddito
incondizionato, la posta in gioco è riappropriarsi non del valore, bensì dei
criteri, e delle misure, di attribuzione del valore. Chi decide in cosa
consiste sentirsi bene?
SULLE RELAZIONI E LE LORO FORME
12.
Il paradigma riproduttivo rimette in questione la stessa libertà. Il
neoliberismo si serve ma nasconde la dimensione necessaria e ineliminabile
della interdipendenza, del legame, della cooperazione. Rende visibili solo le
libertà che generano e rigenerano “individui” indipendenti, dotati di libero
arbitrio, di libertà di scelta. L’occultamento avviene su almeno due piani: la
libera scelta si esercita entro un quadro di opzioni stabilite altrove, che a
loro volta non sono materia di scelta; la libertà di competere si esercita
nella dipendenza estrema dal mercato, dalla sola dinamica domanda-offerta.
Individui consumatori del segmento finale di produzione e individui competitivi
ricattati dalla paura di cadere fuori, nello status abissale del bisognoso. Il
paradigma riproduttivo punta alla riappropriazione della dipendenza, della
interdipendenza e della relazione quale condizione della libertà. Dal
mutualismo alla solidarietà autodeterminata.
13.
Consideriamo l’estendersi degli “espulsi” e dei “bisognosi” come l’effetto
della dinamica di valorizzazione-svalorizzazione di attività umane
fondamentali. Gli effetti di questo respingimento nella sfera del
quasi-politico, nella naturalità muta del bisogno, possono essere contenuti e/o
governati solo con la violenza. Nel paradigma riproduttivo, che non separa
fisico e mentale, violenza epistemologica e violenza poliziesca sono due
aspetti di uno stesso processo di ridefinizione e ri(de)legittimazione di quel
che si può considerare umano, dotato di diritti, politico. L’ottantenne
sfrattata per fine locazione, è un soggetto abbietto, pericoloso, o soggetto di
una nuova economia politica?
14.
Se le attività riproduttive delle relazioni sono l’atmosfera che respiriamo e
che ci viene sottratta, perché si discute della “fine della società”? Le
attività riproduttive, quando portate a coincidenza con le attività monetizzate
e sottoposte al valore di scambio, riformulano il legame sociale in rapporti
individuali contrattualizzati e i diritti in contratti assicurativi sul
rischio. Consideriamo una conferma la rilevanza strategica attribuita alla liberalizzazione
dei servizi prevista dal TTIP (Transatlantic Trade Investment Partnership) e
dal TISA (Trade in Services Agreement). Domani, curarsi
corrisponderebbe a questa sequenza di atti: ricognizione dei centri sanitari
aperti o chiusi a seguito di valutazione della loro virtuosità di bilancio,
calcolo costi-benefici, valutazione rapporto qualità-prezzo.
15.
Il paradigma riproduttivo interroga la cittadinanza e i suoi istituti, oggi che
non è più fondata sul patto costituzionale e sulla divisione sessuale e
nazionale del lavoro. In questo senso leggiamo le teorie della
governamentalità: generazione e rigenerazione delle relazioni e delle risorse
necessarie alle relazioni, in un quadro di finalità che non è nelle mani degli
agenti delle attività riproduttive. Il passaggio dal cittadino-lavoratore al
cittadino-consumatore-cliente indica il passaggio da un regime di Welfare, di
esigibilità dei diritti sociali e fondamentali, a politiche sociali quale
sistema di “gestione” del disagio sociale in cui, quali “clienti” subalterni
e/o “bisognosi”, siamo privati della piena soggettività e autodeterminazione. Non
le relazioni che prevedono la bellezza e l’uso del luogo in cui si vive
insieme, ma il criterio della sicurezza e la stipula di un contratto
assicurativo in caso di incidente.
16.
Nel venire meno della partizione tra pubblico e privato, il paradigma
riproduttivo si manifesta nell’estendersi della dimensione amministrativa in
cui si inscrivono e a cui sono sottoposte le nostre vite. Le progressive
riforme della Pubblica amministrazione vanno intese come estensione delle
attività riproduttive a tutti e ciascuno. Nel paradigma
riproduttivo-amministrativo i diritti sociali si trasformano in servizi, in
prestazioni, in prodotto di attività che devono essere costantemente ripetute,
individualmente e ben oltre le istituzioni pubblico-statuali: dalla previdenza
e assistenza, all’istruzione, alle risorse sociali primarie. La scelta
delle tariffe di acqua, luce, gas, comunicazione, come anche la ricerca,
valutazione e accesso a casa, scuola…
17.
Tra le principali attività della riproduzione includiamo il sistema
dell’istruzione, della formazione e dell’educazione, quale ambito nuovamente
strategico nella costruzione e orientamento del “capitale umano”. Troviamo
conferma di questo nella priorità ed effettualità della riforma a livello
europeo e nazionale dei diversi cicli di istruzione, che si nutrono di nuovi
apparati di valutazione e selettività e che investono il “mercato” del lavoro
tanto quanto la formazione. Ritorno al Giudizio universale e per giunta
senza giustizia.
18.
Tra i sintomi dell’instaurarsi di un regime
amministrativo-gestionale-riproduttivo registriamo le espressioni “capitale
umano”, “risorse umane”, “capitale sociale”, “knowledge economy”, “knowledge
society”, ma anche “smart city” e “green economy”. Nell’epoca della
“rigenerazione urbana”, il paradigma riproduttivo individua l’umano nel suo
ciclo di attività vitali, tutte già politiche ma, diversamente dalla nozione di
“biopolitica”, permette di cogliere le dinamiche di valorizzazione della
dimensione non umana, evitando l’ipostatizzazione della natura o dell’ambiente
in materia inerte offerta alla produzione, materiale o immateriale che sia. Abbiamo
visto una politica capace di dare significato all’espressione “democrazia
dell’acqua”.
Prendere parola femminista in questo quadro significa dunque ripensare
tutto: l’economico, il culturale, il materiale-naturale, il sociale, il
giuridico, il politico. Non si tratta di ambiti separati, bensì intrecciati all’interno
di un processo di valorizzazione complessivo e complesso di cui occorre farsi
carico. Non ci basta pensare le forme di liberazione dalle misure che
instaurano lo sfruttamento, riteniamo dirimente individuare nuove misure, nuove
forme regolative in grado di ridare valore alle nostre vite, qui e ora.
Parte
delle questioni formulate sono oggetto di un lavoro condiviso con Eleonora De
Majo, Gea Piccardi e Alessia Dro (fg)