domenica 29 giugno 2014

SEL, ovvero come sottrarsi alla lunga agonia nella terra di mezzo

di Franco Piperno

con il suo intervento Piperno entra nella discussione relativa al travaglio politico interno a SEL. Ma guarda più in là, alle aspettative di quanti si sono impegnati nella campagna elettorale europea e sostenuto la Lista Tsipras, fuori da tutti i cespugli testimoniali della forma-partito novecentesca. Superare la residualità cetuale e la pretesa di rappresentanza istituzionale del movimento antagonista. Rideterminare il rapporto della militanza nel processo dal basso per una nuova soggettività autodeterminata, piuttosto che esaurirlo nello svilimento ciclico e rituale per la conquista di qualche strapuntino parlamentare: l'esodo dalla forma partito è il presupposto –e non solo per SEL- per la costruzione di un progetto comune: “ Organizzare questo esodo comporta anche una trasformazione interiore del militante, immunizzandolo dalla corruzione della rappresentanza”

L'assemblea dei militanti SEL a Roma si presenta come l'approdo di una lunga deriva durata anni. All'inizio era stata Rifondazione Comunista, il tentativo, pubblicamente dichiarato, di riprendere in Italia la prassi politica comunista, dopo la fine del PCI. L'idea era quella, non nuova per la verità, di costruire un "partito di lotta e di governo", dove la lotta facesse aggio sul governo.
Le cose erano andate in modo diverso; e dopo una fase nella quale Il corpo politico di Rifondazione aveva mostrato con bella evidenza la sua internità alle lotte sociali e perfino alle insorgenze dei luoghi, il successivo coinvolgimento nel governo di centro-sinistra aveva rapidamente corrotto quel partito; non già nella condotta morale dei militanti, ma nel prevalere sistemico dei vincoli di governabilità sulle esigenze dei movimenti sociali.
Così l'esperimento di Rifondazione s'era risolto in un naufragio, che a sua volta aveva generato tre partiti e mezzo al posto di uno. Uno di questi, il più consistente per altro, s'è venuto sedimentando attorno a Niki Vendola, il governatore delle Puglie, a capo di una giunta di sinistra-centro.
Si sono dati come nome SEL, sinistra, ecologia e libertà. E già questo lessico, anodino e ridondante, designava un destino, una sorta di tacita ipoteca. In SEL ogni riferimento sia pure indiretto alla parola "comunismo" si è dileguato; come anche a termini più mansueti come "socialismo", "socialdemocrazia", "liberal socialismo" e via sciorinando. Niente che ricordi, sia pure alla lontana, la singolarità dell'origine di quel ceto politico, la sua provenienza etico-politica.

Questo annacquamento semantico è una premessa ideologica che giustifica, nella dimensione economico-politica, l'accettazione del rapporto sociale capitalistico e del sistema rappresentativo, come una specie di orizzonte obbligato degli eventi.
In questo orizzonte rattrappito risulta impossibile per i militanti di SEL apprezzare le virtù della automazione, della tecno-scienza, di quel suo inesorabile sostituirsi al lavoro salariato; processo talmente maturo da escludere ogni retorica sulla centralità del lavoro, ogni forma di autonomia operaia in fabbrica, ogni uso politico del sindacato.
Solo slargando l'orizzonte si intravede l'immenso continente del tempo liberato, una condizione di possibilità per l'attività libera, quella vocazionale, dell'individuo sociale.
SEL, a modo suo, resta ottocentesca: nel senso logico storico si colloca prima della critica di Marx al rapporto di produzione capitalistico. Tutti e tre i termini -sinistra, ecologia, libertà- che compaiono nelle sue bandiere indicano concetti e sentimenti, ideologie insomma, che sono già state messe alla prova e risultano ben lontane dall'avere assicurato una qualche forma stabile d'emancipazione sociale.
Considerazioni analoghe possono farsi a proposito della crisi epocale della rappresentanza che non è certo affrontabile e neppure configurabile nella sua profondità con il correttivo delle primarie, correttivo che risulta in una coazione a ripetere, un tentativo di legittimare piuttosto che di porre riparo ad un errore. 
Vorrà pure dire qualcosa il fatto che il tema della democrazia diretta, quella municipale, ripreso ambiguamente da M5S, non sia mai stato agitato da SEL, perché considerato ideologico. Come non è senza significato l'incapacità di SEL di entrare in risonanza con la rabbia sociale diffusa -che è stata così agevolmente intercettata sul piano del consenso elettorale dal partito-non partito di Beppe Grillo.
Senza ideologia, senza una messa in comune di una concezione del mondo, un corpo politico non sopravvive se non come partito personale, fondato sul carisma del capo.
D'altro canto proporsi d'agire senza ideologia è anch'essa una ideologia, solo più confusa.
SEL è la figlia illegittima di Rifondazione. Rinnegando la madre s'è ritrovata senza memoria ed ha finito per percorrere, più in fretta e ciecamente, lo stesso percorso che dal governo della lotta porta alla lotta per il governo; e là è riuscita ad intrappolarsi da sola.
Per scongiurare una lunga agonia nella terra di mezzo, v'è per il ceto politico di SEL, una uscita di sicurezza: l'esodo dalla forma partito; immergersi di nuovo, come all'origine, nel movimento che trasforma; assicurare la presenza corporea laddove si svolge lo scontro sociale, si tratti di diritto all'abitare, d'accoglienza dei migranti, della difesa dell'anima dei luoghi, dell'uso del tempo liberato dal lavoro e così via. Organizzare questo esodo comporta anche una trasformazione interiore del militante, immunizzandolo dalla corruzione della rappresentanza.
Senza esodo, è prevedibile che SEL divenga "Sinistra e basta", quanto di più viscido ed usurato sia presente sul mercato delle ideologie nel nostro paese.
In questo caso, nessun Dio potrà risparmiare a SEL gli spasimi di una lunga agonia. E si potrà dire di SEL quel che vale per l'eroe meschino: ha fallito il suo scopo non già per aver voluto molto ma per aver desiderato così poco.