di Anna Simone
la genealogia
del presente, dicono i curatori nel preludio del volume recensito dalla Simone,
“non fonda, al contrario inquieta quel si percepiva immobile, frammenta quel
che si pensava unito; mostra l’eterogeneità di quel che s’immaginava conforme a
se stesso”
Checchè
ne dicano i criteri stabiliti dall’Anvur, inclini a non riconoscere il valore
delle curatele e della costruzione di percorsi di ricerca basati sulla
relazione e sulla tensione sul presente, lavorare alla stesura di un lessico
filosofico-politico è quanto di più difficile preveda l’ambito del lavoro
intellettuale: partire da un punto, sviscerarlo, scioglierlo, metterlo in
comune, lavorare sulla restituzione, tenere assieme stratificazioni epistemiche
diverse, tradurre seppure dalla stessa lingua, fare lavoro di sponda e di
concerto allo stesso tempo, dare valore al singolo percorso e al contempo
amalgamarlo per la coralità del volume. In altre parole una fatica immane non
sempre esente dai rischi di fallimento.
Da
questo punto di vista Genealogie del presente. Lessico politico per
tempi interessanti, a cura di Federico Zappino, Lorenzo Coccoli e Marco
Tabacchini è un esperimento
perfettamente riuscito, il livello di rischiosità ampiamente superato, la
restituzione di complessità assai ben rappresentata. Ma i lessici non sono solo
questo. Si può partire da un assioma dogmatico e chiedere agli altri di
declinarlo in vari temi, ambiti con il fine di restituire un’ideologia compatta
ma differenziata, così come si può “aprire” all’imprevisto, lavorare su ciò che
è “interessante” proprio perché “caotico, mutevole, sfuggente”. Il presente,
appunto.
Zappino,
Coccoli e Tabacchini scelgono questa seconda strada dichiarandolo subito, il
resto è un posizionamento chiaro, un “muoversi su un altro piano” rispetto al
solito sapere assertivo, privo di contraddizioni che spesso caratterizza il
lessico politico contemporaneo, sia quello filosofico che quello istituzionale,
sia quello afferente agli ordini discorsivi di alcuni movimenti sociali, sia
alle parole d’ordine della grande religione neoliberista. A differenza di altri
libri curati da pensatori e studiosi di sesso maschile, questo libro ha lo
straordinario pregio di fare il punto su una serie di parole chiave del
presente, utilizzando concetti e strumenti dichiaratamente legati al pensiero
femminile e femminista. Un “pensare senza ringhiera”, concetto arendtiano, che
fa dell’analisi della contingenza politica, giuridica e sociale del presente,
fondamentalmente centrata sulla nozione di “crisi”, una prassi linguistica
basata su ciò che Butler chiamerebbe il “farsi e il disfarsi” (undoing).
Una
genealogia del presente, non un’ontologia perché la prima, a differenza della
seconda, per rimanere fedeli a Foucault – come si legge nel preludio scritto
dagli stessi curatori – “non fonda, al contrario inquieta quel si percepiva
immobile, frammenta quel che si pensava unito; mostra l’eterogeneità di quel
che s’immaginava conforme a se stesso”. Ma anche un’attenzione continua
all’individuazione delle nuove forme di “oggettivazione” messe a punto dal capitalismo
– notoriamente antropofagico con tutto quel che si muove contro di lui – e dal
potere. Tuttavia, il dato “interessante” che emerge nel volume, almeno per me,
è proprio la scelta, da parte degli autori, di aver escluso le voci capitalismo
e neoliberismo.
Questo
lessico, infatti, è più interessato agli effetti del capitalismo e del
neoliberismo anziché ai due concetti in sè, come se, appunto, partisse dal
presupposto secondo cui ha più senso capire come, dove e perché, fino a che
punto questi due concetti si sono incarnati facendosi largo ovunque e quali
resistenze hanno messo in atto. La parola chiave di Genealogie del presente è
dunque crisi (scritta da Zappino), secondo me, intesa come
pericolo e opportunità allo stesso tempo, al pari della definizione data dai
saggi cinesi direi, nonostante l’autore riporti molto più correttamente la
geneaologia sul binario che le compete, ovvero la filosofia dell’antica Grecia.
Crisi come instrumentum regni, come ordine del discorso, come
micro-potere e come forgiatura consapevole e inconsapevole di un’antropologia
nuova fondamentalmente basata sull’economia della promessa e sul suo rovescio,
l’emergenza, un presente invasivo, quasi un presentismo ed un tempo progettuale
perennemente spostato.
Da
qui, secondo me, discende tutto il resto del volume che ho letto disobbedendo
all’ordine alfabetico dell’indice e lavorando di classificazioni mai dichiarate
dai curatori, come si fa con le scatole cinesi (il bello del leggere i
lessici!): il politico (Democrazia di L. Bazzicalupo, Destra/Sinistra di
F. Remotti, Governabilità di S. Chignola, Movimento di
M. Tabacchini, Popolo di P. Amato, Responsabilità di
B. Giacomini, Trasparenza di V. Pinto, Futuro di
L. Bernini); il giuridico (Bene Comune e Beni Comuni di M.R.
Marella, Costituzione di G. Amendola, Legalità di
U. Mattei e M. Spanò); la “questione sociale” (Povertà di L.
Coccoli, Precarietà di C. Morini, Sacrificio di M.
Esposito, Società di M. Ricciardi); l’inclusione differenziale
(Eccellenza di F. Giardini, Eguaglianza di G.
Zanetti).
Non
potendo soffermarmi su tutte le voci per ragioni di spazio ne citerò solo
alcune, piuttosto significative rispetto al potere antropofagico del capitale e
degli ordini discorsivi neoliberisti. Maria Rosaria Marella, ad esempio, spiega
con efficacia come la retorica onnipervasiva del bene comune (slogan del PD)
intesa come ensemble di beni pubblici dentro la logica della
legalità costituzionale di ordine statuale non abbia nulla a che vedere con le
pratiche di riappropriazione dei beni comuni atte, al contrario, a
disarticolare la proprietà dell’uno, lo Stato. Giso Amendola ci spiega come la
crisi della mediazione costituzionale e della rappresentanza non può risolversi
banalmente in un neo-costituzionalismo sovranazionale costruito a misura
neoliberista, senza mai smontare i rapporti stato/società civile e
pubblico/privato.
Coccoli
ci spiega che il “povero” non può essere oggettivato e governato al di là della
soggettività politica che questa condizione materiale esprime, così come
Cristina Morini ci invita a vedere la precarietà come una nuova disciplina dei
corpi e come una funzione centrale del capitalismo basato sull’estrazione di
plusvalore dalla riproduzione sociale senza misura, né restituzione alcuna, per
esempio attraverso il reddito di base incondizionato.
E Federica Giardini che disvela elegantemente la retorica dell’eccellenza restituendola alla sua significazione più nefasta, ovvero alle procedure di selezione meritocratica che, di fatto, ripropongono le logiche escludenti del darwinismo sociale facendoci tornare indietro di secoli.
E Federica Giardini che disvela elegantemente la retorica dell’eccellenza restituendola alla sua significazione più nefasta, ovvero alle procedure di selezione meritocratica che, di fatto, ripropongono le logiche escludenti del darwinismo sociale facendoci tornare indietro di secoli.
In
chiusa verrebbe proprio da dire che se i soggetti del circo politico e
mediatico mainstreaming ogni tanto si fermassero e provassero a
leggere, anziché fare del linguaggio una mera tecnica di persuasione
comunicativa orientata al successo (l’uso smodato di parole come “cambiamento”
e “riforme” ne sono un eloquente esempio) capirebbero che essi stessi, in
realtà, non sono dei soggetti, ma solo delle figurine prodotte dal
neoliberismo. Una sorta di trasfigurazione del vuoto da riempire solo con la
prestazione tecnico-linguistica. In altre parole niente.
Federico Zappino, Lorenzo Coccoli e Marco Tabacchini (a
cura di), Genealogie
del presente. Lessico politico per tempi interessanti , Mimesis, 2014, pp. 275, euro 22