di Gianni Giovannelli
In barba alle direttive europee e al
principio che il contratto di lavoro di riferimento è quello subordinato a
tempo indeterminato, le misure del governo Renzi, liberalizzando totalmente il
contratto a tempo determinato e l’apprendistato, rendono il contratto a termine
(sino a tre anni, rinnovabile ben 8 volte) l’architrave del mercato del lavoro
e ne sancisce la definitiva precarizzazione. Oltre a rendere la precarietà
giuridicamente strutturale (già lo è nella realtà) pone una serie di questioni
rilevante in tema di rappresentanza. Come reagire?
È
stato pubblicato in data 20 marzo sulla Gazzetta Ufficiale, con la firma di Re
Giorgio, il decreto legge numero 34/2014. E’ senza alcun dubbio la più violenta
aggressione ai diritti dei lavoratori di questi ultimi anni, nessun governo di
destra aveva mai osato tanto; nessuna legislazione europea contiene una
liberalizzazione così ampia e totale del contratto a tempo determinato, che
diventa di fatto la forma ordinaria delle assunzioni, in palese contrasto con
la direttiva 99/70 dell’Unione.
Napolitano
e Poletti, due ex comunisti, si sono prestati a colpire, con la complicità
dell’ambizioso Matteo Renzi, i ceti deboli e precari, istituzionalizzando
il ricatto e la minaccia che accompagnano la condizione precaria, unico
possibile accesso al lavoro e al reddito. La scelta autoritaria (repressione e
cancellazione delle tutele) caratterizza il governo delle larghe intese, privo
ormai anche di investitura popolare, e tuttavia deciso ad evitare perfino il passaggio
parlamentare.
È
necessaria una riflessione sullo stato della democrazia rappresentativa in
Italia, quale necessario strumento di lettura del decreto (di immediata
attuazione, dunque già ora in vigore). Il Partito Democratico, senza i voti di
SEL, non avrebbe il premio di maggioranza, ma SEL è confinata all’opposizione;
5 Stelle (la sigla più votata) è contro il governo; della destra coalizzata
Lega e Forza Italia di dicono contrari. Il voto di fiducia è frutto di una
legge elettorale che la Corte Costituzionale ha deliberato illegittima (contro
la Carta) e di una ennesima variante del trasformismo italiano. La compagine di
governo impone con la prepotenza le ragioni di chi ha deciso di allargare la
forbice ricchezza/povertà, di espropriare la fascia debole per risolvere la
propria crisi.
L’articolo
1 del decreto consente di assumere a termine, sempre e senza alcuna reale
motivazione, sia direttamente sia utilizzando le agenzie di somministrazione.
Ogni impresa è libera di scegliere fra assunzione stabile e assunzione
precaria; dunque viene di fatto cancellata dal nostro ordinamento (per almeno
un triennio) qualsiasi assunzione a tempo indeterminato (quale imprenditore, se
non uno scemo destinato al fallimento, potrebbe scegliere un contratto meno favorevole,
potendo evitarlo?). Il testo va letto con attenzione. Il limite del 20% è una
soglia insuperabile, perché riferita all’intero organico: in un periodo di
licenziamenti e di riduzione dell’organico la quota di fatto copre qualsiasi
nuovo ingaggio. La cancellazione della causale (intesa come requisito
necessario e oggettivo per l’utilizzo del contratto a termine) consente inoltre
operazioni di sostituzione di lavoratori licenziati (anche con procedure
collettive) con altri meno costosi e garantiti; basta, secondo l’articolo 3 del
decreto 368/2001, munirsi di accordo aziendale o anche semplicemente modificare
l’inquadramento (le stesse mansioni sono un concetto in fondo assai sfuggente
nelle società di capitalismo avanzato).
Il
nuovo testo consente l’assunzione, e successivamente ben otto proroghe; ma,
attenzione, nell’ambito dei 36 mesi di utilizzo massimo, niente impedisce
all’impresa (con il solo breve intervallo dell’articolo 5 del decreto 368/2001
e facendolo magari coincidere con le ferie) di fare due o tre o quattro
contratti, ciascuno con otto proroghe. L’unico limite rimane quello
dell’articolo 5 del decreto, i 36 mesi con una pluralità di contratti. Ma per
36 mesi di effettivo lavoro (escluse le pause fra un contratto e l’altro) ogni
impresa può frazionare l’utilizzo anche in quote mensili o bimestrali. Mi
spiego: di mese in mese posso decidere (per otto volte) se prorogare o meno,
comunicandolo all’ultimo a chi lavora (e lasciandolo nella costante incertezza,
dunque rendendo stabile la condizione precaria in luogo di rendere stabile
l’aspettativa di retribuzione). Se invece di prorogare l’impresa decide di
sospendere il rapporto per qualche settimana (o per accompagnare la produzione
in forma flessibile o per punire o per semplicemente consentire la rotazione di
un serbatoio), potrà poi stipulare liberamente un nuovo contratto, ancora con
otto proroghe. Questo perverso meccanismo introdotto da Poletti&Renzi
risolve anche, in prossima prospettiva il problema del trattamento di
maternità: basta non prorogare il contratto alla lavoratrice in gravidanza (o
non stipulare quello successivo) e l’impresa si evita spiacevoli maternità a
rischio, assenze facoltative, divieti di licenziamento fino al compimento di un
anno (ed anche in caso di matrimonio, basta attendere la più vicina scadenza e
tanti saluti alla sposa!). Abbiamo scritto delle lavoratrici madri; ma con il
frazionamento si cancellano di fatto anche le tutele per chi incorra in
infortunio, chi sia vittima di malattia. Con lo spirare del termine (frazionato
e sempre ravvicinato) l’impresa si libera di un peso, senza renderne conto a
nessuno. La forma del contratto a termine, nel limite di 36 mesi complessivi,
può essere indifferentemente quella dell’ingaggio diretto come della
somministrazione a mezzo di agenzia d’intermediazione.
Questo
è il decreto appena varato; i despoti hanno avuto la faccia tosta di chiamare
questa operazione di macelleria sociale semplificazione e di invocare, quanto a
necessità ed urgenza nientemeno che il fine di generare nuova occupazione in
particolare giovanile.
Con
grande arroganza Renzi, Poletti e Napolitano hanno violato la costituzione. Il
decreto legge (articolo 77 della nostra Carta) è consentito solo e soltanto in
casi straordinari di necessità e d’urgenza mediante provvedimenti provvisori e
successivamente (il giorno stesso) presentarli alle Camere (anche al Senato)
che (ci dice sempre l’articolo 77 della Costituzione) sono appositamente
convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia se
non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione.
L’articolo
87 della Carta attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di
promulgare (o non promulgare, dunque) i decreti, verificando se ne sussistano i
presupposti. Contro ogni evidenza re Giorgio ha ravvisato che la modifica della
legislazione in tema di contratto a termine (in vigore dal 2001 e oggetto di
ripetuti interventi ordinari del legislatore) costituisse indifferibile
necessità straordinaria, così urgente da non lasciare neppure il tempo di un
esame parlamentare.
È
una palese presa in giro; è, peggio, arroganza dispotica di una casta di
funzionari decisi a massacrare i ceti deboli, a piegare i lavoratori, ad
intimidirli, rastrellando moneta con prelievo indiscriminato a loro danno. Fra
l’altro, fino alla conversione (sessanta giorni, due mesi), è assai improbabile
che le imprese si accostino alla nuova forma contrattuale, con il rischio del
venir meno del decreto. Ma la scelta è quella del decreto per poi arrivare al
voto di conversione ponendo la fiducia.
Le ulteriori disposizioni varate
Sempre
in via urgente (articolo 2) lo sceriffo di Nottingham (mediante metempsicosi
trasmigrato nei corpi di Renzi&Poletti) ha modificato il contratto di
apprendistato (che già era scandaloso, pieno di falle). Ora siamo al
capolavoro; non solo viene eliminato il piano formativo (e non si
sa più quale sia il contenuto della pretesa formazione) ma si consente (per il
bene immediato dell’economia e del mercato!) l’apprendistato anche a chi caccia
(al termine della formazione) tutti i precedenti apprendisti. E si esentano le
imprese da qualsiasi obbligo di formazione esterna all’azienda (si impara solo
lavorando sul posto!) e legittimando una fortissima riduzione dei minimi
contrattuali di riferimento.
L’articolo
3 è l’unico che se non porta reali benefici almeno non fa neppure danni (è una
parità di trattamento nell’uso del servizio per l’impiego fra residenti e non
residenti, parità peraltro imposta dal regolamento europeo fin dal 2004).
L’articolo 4 riguarda i controlli di versamento contributivo; ne parleremo in
altra occasione onde spiegare per quali ragioni ritengo che sia stato assai
gradito alle cosche mafiose e all’apparato criminale che gestisce il lavoro
nero. L’articolo 5 concerne sgravi fiscale e renderebbe necessario fornire una
lunga spiegazione tecnica e contabile; certamente questi tre articoli sono
totalmente privi di urgenza e di straordinarietà, sono il contorno casuale ai
primi due.
Questo
decreto non viola solo la costituzione della Repubblica per il procedimento
usato. Si pone anche in contrasto con la direttiva 28 giugno 1999 n. 70,
adottata dal Consiglio dell’Unione Europea e vincolante anche per l’Italia. Il
decreto legislativo 368/2001 (che il decreto legge 34/2014 ha modificato)
costituiva semplicemente l’attuazione della direttiva. A sua volta la 99/70
aveva recepito l’allegato accordo quadro 18 marzo 1999 sul lavoro a tempo
determinato, stipulato dalla Confederazione Europea dei Sindacati (CES).
L’accordo
quadro, nel suo vincolante considerando 6, precisa che la forma comune dei
rapporti di lavoro è quella a tempo indeterminato, anche perché contribuisce
alla qualità della vita. Soprattutto l’accordo quadro impone di limitare il
contratto (straordinario, non comune) a scadenza a condizioni oggettive escludendo
che vi si possa accedere in assenza di una ragione effettiva. L’articolo
4.1.lettera a) dell’accordo quadro impone agli stati membri (come l’Italia)
ragioni obiettive per la giustificazione dei contratti precari. L’intera
direttiva è volta a prevenire e stroncare gli abusi del contratto a termine; il
decreto Renzi&Poletti si concreta nella sola ipotesi di contratto a termine
slegata dall’esistenza di ragioni effettive ed oggettive, costituisce un
evidente abuso, si pone in contrasto con la direttiva e pertanto il decreto
rappresenta un’infrazione. Questo è un principio di diritto che i lavoratori
debbono fare proprio per opporsi alla prepotenza del governo illegittimo delle
larghe intese; il governo e il partito democratico hanno gettato la maschera, è
un dovere cercare di abbatterlo, di farlo cadere.
A questo punto come contrastare dunque questa durissima aggressione?
Ritengo
che si debba, rapidamente e senza indugio, mettersi al lavoro e, senza porre
steccati, costruire ovunque possibile ogni forma di coalizione che porti alla
cancellazione radicale del decreto; dobbiamo tentare di impedire che sia
convertito il legge o il prezzo da pagare sarà davvero salato.
La
Commissione Europea deve assicurare la corretta applicazione dei trattati e
delle direttive, vigilando sul comportamento degli stati membri (ed è una cosa
diversa dalla Banca Centrale Europea). Pertanto è in suo potere/dovere aprire
le procedure d’infrazione a norma dell’art. 258 del Trattato. Chiunque ha la
possibilità di scaricare dalla rete il modulo per un esposto, chiunque ha il
diritto di presentarlo per l’avvio della procedura d’infrazione, anche a mezzo
di una semplice mail. Il Tribunale del Lavoro, per ottenere pronunzia, deve
invece fondarsi su un contenzioso già in essere (anche se, per il carattere
vincolante delle direttive, si ritiene che il Giudice possa disapplicare la
norma in contrasto con le direttive, senza ulteriori passaggi; ma la questione
non è affatto pacifica).
L’esposto
con richiesta di procedura d’infrazione ha certo maggior peso quando chi lo
promuove ha un peso numerico o politico rilevante. Per questo la battaglia
contro la conversione e per l’apertura del procedimento d’infrazione si
presenta come una scelta di campo di enorme rilievo; e la battaglia cade proprio
nel momento delle elezioni per il rinnovo del parlamento dell’unione.
La
Fiom ha la possibilità di dimostrare, in questo frangente, autonomia e
indipendenza, dispone di giuristi in grado di inviare in tempi rapidissimi la
domanda di apertura del procedimento; ma anche i sindacati di base sono
chiamati ad agire senza indugio, così come i collettivi, gli attivisti, i
singoli compagni che non hanno intenzione di cedere il terreno al nemico.
Un
dirigente del movimento cooperativo (ed ex funzionario del partito comunista)
come Poletti e un cattolico del movimento scout come Renzi si sono rivelati
peggiori di qualsiasi precedente rappresentante di governo (destra o sinistra),
e contano di ottenere via libera per realizzare il disegno repressivo,
depredando i ceti popolari e il già dissestato precariato in favore degli
apparati di potere. Ci attendiamo che i parlamentari di opposizione portino il
conflitto dentro l’aula, mettendo a nudo le contraddizioni, con l’obiettivo di
cancellare questo orrore; i movimenti antagonisti debbono trovare il modo di
aprire invece lo scontro sociale, imponendo alle organizzazioni sindacali di
lottare o sparire. Il momento è grave. Il governo ha già colpito aumentando i
costi di energia e di carburante; ha di nuovo aggredito tassando le prime case
e i servizi essenziali come la rimozione dei rifiuti; ora impone il ricatto
delle continue scadenze per dare lavoro, con l’inevitabile diminuzione del
salario (nominale e reale). La rivolta fiscale saldata alla rivolta dei
lavoratori contro il deterioramento delle condizioni retributive ed
esistenziali si presenta davvero come un’opportunità. Ma va colta subito,
altrimenti finiranno ancora una volta con il prevalere la paura, l’angoscia, il
timore del futuro, la nuova schiavitù imposta dal governo delle larghe intese.