domenica 9 marzo 2014

“Dai laboratori alle masse”. Premessa

di Danilo Mariscalco

Presentiamo la premessa del volume Dai laboratori alle masse. Pratiche artistiche e comunicazione nel movimento del ’77, edito da Ombre Corte (2014). Il libro propone un’analisi sulle forme dell’antagonismo liberato dal peso della tradizione del movimento operaio ufficiale  e dentro le quali  si intrecciano nuovi linguaggi, scritture e nuovi strumenti di comunicazione. Ma soprattutto ciò che la ricerca intende mostrare è la possibile benjaminiana “intesa segreta” del movimento autonomo dell’operaio sociale con i soggetti biopolitici della moltitudine contemporanea

Oggetto dell’analisi è la produzione culturale del cosiddetto “movimento del ’77” italiano. La sua individuazione è il frutto di un generale impegno teorico che partigianamente si accosta ai frammenti ereditati dalle pratiche in vario modo antagoniste ai rapporti sociali dominanti nella storia; di una semplice “inclinazione”, si potrebbe sospettare, che però si avvale del conforto scientifico idealmente offerto da significative esperienze degli “studi culturali” internazionali. Queste, sulla falsariga della filosofia della praxis di Antonio Gramsci dalla quale ricavano utili strumenti d’indagine, riconoscono più o meno esplicitamente nella categoria e nella condizione reale di subalternità  la camera ottica  per mezzo della quale è possibile tratteggiare i lineamenti di ogni “scienza della cultura” che si proponga con intenzionale efficacia nei processi sociali di trasformazione ed emancipazione. Il fecondo confronto coinvolgente i teorici della subalternità, per il cui approfondimento si rimanda a un esaustivo saggio di Marcus Green[1], in parte è ruotato intorno alle riflessioni, condensate nel noto interrogativo di Gayatri Chakravorty Spivak[2], sulle capacità di rappresentazione dei gruppi sociali subalterni. Non si vagheggia, nel presente lavoro, un’interpretazione che riduca la polisemia caratterizzante il termine gramsciano; ogni concetto, nel paradigma marxiano da esso evocato, è un’astrazione che sussume diverse determinazioni[3] e che impone in ogni suo utilizzo un confronto costante con “la differenza reale”[4]. Il “caso” esposto nelle seguenti pagine offre una risposta affermativa alla domanda spivakiana nella misura in cui questa presuppone il carattere storicamente determinato dei fenomeni sociali e l’importanza scientifica di definizione delle contingenze agenti nella loro affermazione; nella misura in cui esclude ogni inappagabile richiesta di leggi sociali universali. L’analisi ha prodotto precisazioni storiche e concettuali, (ri)costruzioni di oggetti, considerazioni sulle condizioni sociali di emersione dei fenomeni intercettati; tali risultati, nell’ordine generale sovraesposto, sono presentati nei seguenti capitoli[5] e si offrono a una fruizione che, in questa introduzione alla lettura, deve essere informata sulla parzialità “determinata” dei materiali esaminati: la produzione culturale del ’77 non può in alcun modo sintetizzare le diverse pratiche del movimento suo artefice; ciononostante in essa possono essere individuate le qualità specifiche di emergenti soggettività antagoniste, la loro capacità di autorappresentazione, una tendenza sociale. Essa si configura, profanando le “osservazioni sul metodo” di Marx, come “una luce generale che si effonde su tutti gli altri colori modificandoli. [...] una atmosfera particolare che determina il peso specifico di tutto quanto essa avvolge”[6].

Un’ultima avvertenza è suggerita all’esposizione dagli studi sulla produzione cosiddetta artistica “educati” sul materialismo storico. Quando Enrico Castelnuovo definiva il proprio metodo d’indagine concludeva la serie dei livelli di analisi con la “critica delle ideologie del presente”[7], ovvero con la pratica autoriflessiva attraverso la quale “il ricercatore deve [...] considerare la propria situazione sociostorica ed esistenziale, analizzare il proprio ‘orizzonte’, l’origine e la funzione degli strumenti di cui si serve”[8]. In questa prospettiva il rapporto intercorrente tra il prodotto della ricerca e le recenti emersioni, anche in Italia, di movimenti sociali antagonisti è innegabile. Alcune ipotesi, sviluppate nelle seguenti pagine, trovano fondamento, oltre che negli specifici oggetti raccolti, anche in una partecipazione a quegli eventi che, se non altro, hanno problematizzato diffuse convinzioni sulla “fine” del conflitto capitale/lavoro-sapere sociale. La critica si confonde con la politica e “accademicamente” si espone, come ricorderà chi si è imbattuto nei giudizi di Ernst Gombrich sulla “storia sociale” di Arnold Hauser, ai sospetti di debolezza scientifica[9]. Il passato si piega al presente violando la tanto comunemente auspicata, quanto improbabile, “obiettività” della ricerca[10]. Operazioni teorico-pratiche sulle quali Walter Benjamin, forse per le urgenze dettate dalla persecuzione, erigeva il proprio impegno intellettuale. Presentando a Horkheimer le indagini preparatorie del proprio studio sui passages parigini egli scriveva: “Si tratta [...] di determinare il luogo esatto del presente a cui la mia costruzione storica si riferirà come al suo punto prospettico”[11]. Questa, nell’ipotesi benjaminiana, deve infatti rompere con ogni forma di Historismus e corrispondere, “praticamente”, al processo di trasformazione sociale che, affermandosi, riscatta “nel” passato i dominati e la tradizione culturale:
“La lotta di classe, che è sempre davanti agli occhi dello storico educato su Marx, è una lotta per le cose rozze e materiali, senza le quali non esistono quelle più fini e spirituali. Ma queste ultime sono presenti, nella lotta di classe, in altra forma che non sia la semplice immagine di una preda destinata al vincitore. Esse vivono, in questa lotta, come fiducia, coraggio, umore, astuzia, impassibilità, e agiscono retroattivamente nella lontananza dei tempi. Esse rimetteranno in questione ogni vittoria che sia toccata nel tempo ai dominatori. Come i fiori volgono il capo verso il sole, così, in forza di un eliotropismo segreto, tutto ciò che è stato tende a volgersi verso il sole che sta salendo nel cielo della storia. Di questa trasformazione, meno appariscente di ogni altra, deve intendersi il materialista storico”[12].
Il presente studio, nelle sue intenzioni scientifiche, muove da tali premesse.

[1] Marcus E. Green, Gramsci Cannot Speak: Presentations and Interpretations of Gramsci’s Concept of the Subaltern, in “Rethinking Marxism”, 14, 3 (2002); trad. it. Sul concetto gramsciano di “subalterno”, in Giuseppe Vacca e Giancarlo Schirru, Studi gramsciani nel mondo. 2000-2005, il Mulino, Bologna 2007, pp. 199-232. Il testo era stato presentato alla conferenza “Marxism 2000” (University of  Massachusetts, Amherst, 21-24 settembre 2000).
[2] Cfr. Gayatri C. Spivak, Can the Subaltern Speak?, in Cary Nelson e Lawrence Grossberg (a cura di), Marxism and the Interpretation of Culture, University of Illinois Press, Urbana-Chicago 1988, pp. 271-313. Il saggio è stato rielaborato dalla stessa autrice nel terzo capitolo (“History”) del suo testo A critique of Postcolonial Reason. Toward a History of the Vanishing Present, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts)-London 1999;  trad. it. Critica della ragione postcoloniale. Verso una storia del presente in dissolvenza, Meltemi, Roma 2004, pp. 213-322.
[3] Cfr. Karl Marx, Einleitung (1857), in “Die Neue Zeit”, xxi, 1, 1903; trad. it. Introduzione alla critica dell’economia politica (1857), in Id., Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma 1957, pp. 187-195.
[4] Ivi, p. 196.
[5] In particolare il primo capitolo ospita i “limiti” storiografici e preliminari definizioni concettuali. Nel secondo vengono sviluppate alcune considerazioni sui principali paradigmi interpretativi che hanno accolto, già dal 1977, le pratiche culturali del movimento. Il terzo espone i risultati di uno studio relativamente “immediato” della produzione degli antagonisti. Nel capitolo conclusivo viene infine formalizzata un’analisi dei corrispondenti fenomeni sociali generali.
[6] Marx, Introduzione alla critica dell’economia politica, cit., p. 193.
[7] Enrico Castelnuovo, Il contributo sociologico, in “Quaderni de La ricerca scientifica”, 106, 1980; ripubblicato in Id., Arte, industria, rivoluzioni. Temi di storia sociale dell’arte, Scuola Normale Superiore, Pisa 2007, p. 89.
[8] Ibidem.
[9] Cfr. Ferdinando Bologna, I metodi di studio dell’arte italiana e il problema metodologico oggi, in Storia dell’arte italiana, parte i: Materiali e problemi, a cura di Giovanni Previtali, vol. i: Questioni e metodi, Einaudi, Torino 1979, p. 261; cfr. anche Enrico Castelnuovo, Per una storia sociale dell’arte, i, in “Paragone”, 313 (1976); ripubblicato in Id., Arte, industria, rivoluzioni, cit., pp. 23-49.
[10] “Gombrich [...] allo Hauser rimproverò, tra l’altro, proprio di aver voluto inquadrare il passato alla luce del presente; anzi, di non essersi interessato al passato ‘for its own sake’, bensì di aver trasferito taluni parametri di giudizio dal terreno politico attuale a quello storico [...]. Ad un rimprovero del genere [...] non si può non ribattere [...]. Innanzitutto perché, pur ostentando un’esigenza di neutrale obiettività storiografica, in realtà è politico anch’esso, e nel modo più regrediente: la neutralità ideologica è sempre il segno della solidarietà, per quanto taciuta, con il partito più conservatore” (Bologna, I metodi di studio dell’arte italiana e il problema metodologico oggi, cit., p. 261).
[11] WalterBenjamin, Brief an Max Horkheimer (16.10.1935) in Id., Briefe, a cura di Gershom Scholem e Theodor W. Adorno, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1966; trad. it. Lettera a Max Horkheimer, in Id., Lettere 1913-1940, raccolte e presentate da Gershom Scholem e Theodor W. Adorno, Einaudi,Torino 1978, p. 312. Tali indagini saranno formalizzate da Benjamin nel saggio L’œuvre d’art à l’époque de sa reproduction mécanisée, in “Zeitschrift für Sozialforschung”, 5 (1936); trad. it. L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, in Id., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, Einaudi, Torino 1991, pp. 17-56.

[12] Walter Benjamin, Über den Begriff der Geschichte (1940), in Walter Benjamin zum Gedächtnis, Institut für Sozialforschung, Los Angeles 1942; trad. it. Tesi di filosofia della storia, in Id., Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di Renato Solmi, Einaudi, Torino 1995, pp. 76-77.